Pagina 1 di 4

Ichino alla direzione del Pd

MessaggioInviato: 17/01/2011, 12:56
da ranvit
http://www.pietroichino.it/?p=12218

Ia parte

BERSANI HA CONCLUSO LA RIUNIONE DELLA DIREZIONE DEL PARTITO DEMOCRATICO FACENDO ESPLICITAMENTE SUE LE CONSIDERAZIONI PROPOSTE NEL MIO INTERVENTO SULLE QUESTIONI SOLLEVATE DAGLI ACCORDI DI POMIGLIANO E DI MIRAFIORI
Quello che segue è il testo scritto dell’intervento che ho svolto, in forma più sintetica per rispettare i limiti di tempo, alla Direzione del Pd il 13 gennaio 2010 - Poichè il giorno dopo la maggior parte dei media ha voluto dare l’immagine di un partito spaccato su questo tema (come su altri), va detto invece che proprio nel dibattito svoltosi in quella sede quasi tutti gli interventi dedicati a questa materia, pur con qualche sottolineatura diversa, hanno segnato una convergenza sostanziale su tre punti: 1) è di vitale importanza per il Paese che il piano industriale Fiat sia attuato e che quindi i relativi accordi vengano confermati, ma con una drastica correzione nella parte relativa alla rappresentanza sindacale in azienda; 2) per questo è urgente una legge che colmi la grave lacuna dell’ordinamento vigente, ponendo con chiarezza le regole necessarie per l’efficacia e l’effettività dei contratti collettivi negoziati dalla coalizione sindacale maggioritaria, ma al tempo stesso garantisca anche al sindacato che sceglie di non firmare il contratto il diritto alla rappresentanza in azienda; 3) è inoltre urgente che si promuova la possibilità di scelta, mediante accordo aziendale, tra una ampia gamma di forme di partecipazione dei lavoratori nell’impresa, che garantiscano a questi ultimi la necessaria informazione e possibilità di controllo su ogni aspetto dell’attuazione dei piani industriali. Nel concludere i lavori della Direzione, il segretario del partito Bersani ha esplicitamente richiamato, facendoli propri, i contenuti del mio intervento che segue.
IL MIO INTERVENTO
Se fossimo un Paese normale, non ci sarebbe niente di strano o di male nel fatto che ci siano alcuni di noi che si pronunciano a favore del “no” al referendum di Mirafiori e altri che si pronunciano a favore del “sì”. Si tratta del “sì” e del “no” a un accordo sindacale; e in un Paese normale un partito come il nostro che ha tra i suoi principi fondamentali il rispetto dell’autonomia del sindacato si guarderebbe bene dall’interferire nelle scelte relative alla stipulazione di un contratto collettivo. In quel Paese normale ci sarebbe, tra i lavoratori aderenti al Partito democratico, una parte che, considerate meno gravi le ombre nell’accordo e nel piano rispetto al buio pesto in cui ci si troverebbe altrimenti, e ritenendo che tutto sommato Sergio Marchionne fin qui abbia dato buona prova di sé come imprenditore, decide di votare “sì”; un’altra parte che invece decide di votare “no”, ritenendo che i sacrifici superino i benefici, oppure ritenendo inaffidabile un imprenditore che preannuncia “festeggiamenti a Detroit” in caso di bocciatura dell’accordo, oppure ancora ritenendo incompatibili con un’equa ripartizione dei frutti della scommessa comune i compensi milionari che l’Amministratore delegato riserva personalmente a sé stesso anche in riferimento a risultati aziendali di breve termine. Entrambe le scelte sono pienamente ragionevoli; e dovrebbe essere ovvio il pieno diritto di cittadinanza, in un Partito democratico rispettoso dell’autonomia della sfera sindacale, per i sostenitori dell’una come per i sostenitori dell’altra.
Il fatto che, invece, il “sì” e il “no” di Mirafiori assumano una valenza politica tale da costringerci a discuterne in questa sede è l’effetto di una circostanza gravissima che caratterizza oggi il nostro Paese: la sua drammatica chiusura agli investimenti stranieri. Il problema è questo: da quindici anni, nonostante il nostro ingresso nel sistema dell’euro, nessuna altra grande multinazionale è venuta a investire in casa nostra. Con la conseguenza che oggi, di fronte all’aut aut dell’Amministratore delegato della Fiat, i lavoratori sono totalmente privi di alternative. Questo essendo il problema, ciò su cui il Pd deve pronunciarsi in modo chiaro e netto non è tanto il “sì” o il “no” al piano industriale di Marchionne, quanto la diagnosi circa questa malattia mortale del Paese e la terapia necessaria per guarirla.
Insomma, credo che dobbiamo porre al centro della nostra riflessione non Marchionne e il suo piano per la Fiat, ma gli altri 29 Marchionne di cui nessuno parla (poi vi dico perché proprio 29): tutte le grandi multinazionali che potrebbero investire nel nostro Paese e non lo fanno. Vorrei proporvi di discutere delle questioni sollevate dalla vicenda Fiat come se la vicenda Fiat fosse già risolta, in un senso o nell’altro, o non si fosse mai posta. Del problema dell’incapacità del nostro Paese di attirare investimenti stranieri noi dovremmo discutere comunque, … etsi Marchionne non daretur.
La questione è di vitale importanza, perché, per un verso, l’Italia nei prossimi cinque anni deve trovare almeno 40 miliardi ogni anno per adempiere l’obbligo comunitario di ridurre drasticamente il proprio debito pubblico. Sarà un miracolo riuscire a trovarli, attingendo in modo equilibrato a riduzioni di spesa, dismissioni di patrimonio pubblico e – forse – anche un’imposta patrimoniale straordinaria; ma il rischio gravissimo sarà di strangolare, con questa manovra, la nostra economia. Per altro verso, l’unica fonte di risorse per rilanciare lo sviluppo economico del Paese può essere costituita dall’apertura agli investimenti stranieri. Su questo terreno i dati disponibili ci mostrano l’Italia penultima della classe in Europa, per capacità di intercettare gli investimenti nel mercato globale dei capitali (dietro di noi c’è solo la Grecia); e gli stessi dati ci dicono che, se in quella graduatoria l’Italia riuscisse a recuperare il distacco che la separa da un Paese europeo mediano, come l’Olanda, questo le consentirebbe di avere ogni anno un maggior flusso di investimenti stranieri pari al 3,6 per cento del suo Pil: cioè pari a quasi 60 miliardi all’anno (ecco perché parlo degli altri 29 Marchionne: se lui ci propone, per i prossimi dieci anni, 2 miliardi di investimento ogni anno, dobbiamo porci il problema degli altri 29 investimenti analoghi a questo che restano ogni anno fuori dal nostro Paese e che dovremmo invece essere capaci di tirare in casa nostra).
Fino a un anno fa, a chi avvertiva che un contributo determinante alla chiusura dell’Italia è dato dal nostro sistema vischioso e inconcludente delle relazioni industriali, la risposta usuale era quella “benaltrista”: le “vere cause” della chiusura sono i difetti di funzionamento delle amministrazioni pubbliche e delle infrastrutture, i servizi alle imprese troppo cari per mancanza di concorrenza nei rispettivi mercati, la criminalità organizzata. In questa risposta c’era e c’è sicuramente molto di vero. Ora, però, la vicenda Fiat ci dice una cosa diversa: Marchionne non indica come questione cruciale da risolvere per dar corso al suo piano industriale né la nostra burocrazia pubblica, né le nostre infrastrutture difettose, né la criminalità diffusa, bensì essenzialmente la questione dell’effettività ed efficacia del contratto aziendale nei confronti di tutti i lavoratori interessati, in un ordinamento come il nostro che questa effettività ed efficacia oggi non è in grado di assicurare. Non è in grado di assicurarle per due gravi lacune delle regole: in materia di rapporti tra contratti collettivi nazionali e aziendali – la questione dei requisiti e dei limiti per la derogabilità del contratto collettivo nazionale ‑ e in materia di efficacia della clausola di tregua, cioè dell’impegno a non scioperare contro il contratto.
Ancora oggi sono in molti ad affannarsi a dire che i veri ostacoli agli investimenti stranieri sono tutt’altri; ci saranno certamente anche gli altri, ma nel caso Fiat la questione critica è questa: un sistema delle relazioni industriali vischioso e inconcludente, nel quale è difficile negoziare un piano industriale che si discosti dal modello-standard delineato (magari quarant’anni fa) dal contratto collettivo nazionale di settore; e anche quando si è riusciti a negoziarlo non si è affatto sicuri che esso possa davvero funzionare. Ed è molto ragionevole ritenere che questi stessi ostacoli, magari in modo meno evidente di quanto si osserva nel caso Fiat, svolgano un ruolo importante anche nel chiudere l’Italia ai piani industriali di altre grandi multinazionali che potrebbero altrimenti essere interessate a investire da noi.
È dunque di vitale importanza che noi affrontiamo questa questione, non tanto per i due miliardi di investimenti all’anno per 10 anni che ci propone Marchionne, ma per recuperare alla crescita del Paese quei 60 miliardi di investimenti che ogni anno mancano all’appello e che invece potremmo tirare in casa nostra se il nostro Paese funzionasse (non dico come la Finlandia o la Gran Bretagna, ma anche soltanto) come l’Olanda. Investimenti che ci porterebbero non soltanto domanda di lavoro aggiuntiva, con il conseguente aumento delle retribuzioni, ma anche innovazione tecnologica e organizzativa, che significa aumento di produttività, la quale è a sua volta la condizione essenziale per un ulteriore miglioramento delle condizioni di lavoro.
Dovrebbero essere per primi i sindacati a occuparsi del recupero di questo flusso di investimenti a cui noi oggi sistematicamente ci chiudiamo: perché per i lavoratori non c’è protezione più efficace – né di fonte legislativa, né di fonte collettiva – di quella che è data da un mercato del lavoro che offre a tutti un’ampia possibilità di scelta tra aziende diverse, quindi la possibilità di sbattere la porta in faccia al datore di lavoro che ti tratta male, o meno bene di altri, avendo a disposizione molte alternative.
Entro domani, in un modo o nell’altro la vicenda Fiat verrà decisa dal referendum di Mirafiori; ma quest’altra questione trenta volte più importante resterà apertissima. E su questo terreno – molto più che sul “sì” o sul “no” a Mirafiori – il Pd non può esimersi dal dire chiaro ciò che pensa e ciò che propone. Fino a oggi non lo ha fatto con la chiarezza e la tempestività che sarebbero state necessarie.

Re: Ichino alla direzione del Pd

MessaggioInviato: 17/01/2011, 12:57
da ranvit
IIa parte

Il Pd deve dire ciò che pensa, innanzitutto, circa il rapporto tra contratto nazionale e contratti aziendali nello stesso settore. Su questo tema difficile e delicato abbiamo assistito negli ultimi mesi a un vero e proprio fuoco di sbarramento da quella parte del movimento sindacale e della sinistra politica che vede nella regola della rigida inderogabilità del contratto collettivo nazionale una garanzia di protezione dei “diritti fondamentali” dei lavoratori. La difesa dei “diritti fondamentali” è stata invocata anche in riferimento specifico agli accordi di Pomigliano e di Mirafiori; ma, a ben vedere, il motivo vero dell’opposizione a quegli accordi non è costituito dal contenuto delle deroghe in essi contenute al contratto collettivo nazionale: ciò che preoccupa la sinistra sindacale e politica è che con l’ammettere la derogabilità del contratto nazionale ci si collochi su di un piano inclinato, dove “si sa dove si comincia ma non si sa dove si va a finire”. Noi, però, sappiamo benissimo dove l’Italia va a finire se resta ferma, se non ricomincia a crescere; sappiamo anche che per tornare a crescere occorre che il nostro Paese si apra all’innovazione nel processo produttivo; e che l’innovazione – direi quasi “per definizione” – non si presenta quasi mai come fenomeno che investe un intero settore produttivo, bensì come esperimento che interessa una singola azienda e solo in un secondo tempo si estende alle altre. Se dunque, in materia di organizzazione del lavoro, struttura delle retribuzioni, distribuzione degli orari, inquadramento professionale, conserviamo la vecchia regola di rigida inderogabilità del contratto collettivo nazionale di settore, il risultato è una chiusura del sistema all’innovazione in tutti questi campi. Certo, non c’è soltanto l’innovazione buona: c’è anche quella cattiva; ma non possiamo, per paura dell’innovazione cattiva chiuderci anche a quella buona. E per aprirci all’innovazione buona abbiamo bisogno di un sindacato che sappia operare come intelligenza collettiva dei lavoratori nella valutazione dei piani industriali e, se la valutazione è positiva, sappia guidare i lavoratori nella scommessa comune con gli imprenditori su quei piani. A questa idea di sindacato si ispira la riforma del diritto sindacale proposta nel disegno di legge n. 1872 presentato da 55 senatori democratici nel 2009 – ben prima che si aprisse la vertenza Fiat – e che, credo, dobbiamo tutti oggi sostenere con grande determinazione. Non per imporre il modello del “sindacato della scommessa” rispetto a quello tradizionale del “sindacato dei diritti”, ma per garantire la possibilità di un confronto aperto e fluido tra i due modelli; per garantire ai lavoratori una reale possibilità di scelta tra di essi, nelle diverse circostanze e in considerazione della diversa qualità dei piani industriali che vengono loro proposti, nonché della diversa qualità degli imprenditori che li propongono.
Il Pd deve dire chiaramente ciò che pensa, poi, sulla questione che Susanna Camusso ha indicato con l’espressione un po’ sindacalese “esigibilità del contratto”, ma che è più chiaro indicare con l’espressione validità ed efficacia della clausola di tregua, cioè dell’impegno contenuto nell’accordo sindacale a non scioperare contro l’accordo stesso finché esso è in vigore. Oggi in quasi tutti i Paesi dell’occidente industrializzato è pacifico che la clausola di tregua contenuta in un contratto collettivo vincoli tutti i lavoratori cui il contratto stesso si applica. Da noi questa regola è stata introdotta, vent’anni fa, soltanto in riferimento ai servizi pubblici essenziali, mentre per tutti gli altri settori su questa materia è rimasta una lacuna legislativa; ora la vicenda Fiat mostra come sia necessario che questa lacuna venga colmata, perché sia garantita l’effettività dei contratti collettivi. Non soltanto nell’interesse dell’impresa, ma anche nell’interesse dello stesso sindacato e dei lavoratori che esso rappresenta: perché un sindacato che al tavolo delle trattative non può spendere la moneta di scambio di un impegno credibile di tregua è un sindacato privo di potere contrattuale.
La nostra iniziativa per un sistema delle relazioni industriali più aperto ed efficiente deve dunque indicare tra i suoi punti fondamentali la riforma non solo delle regole in materia di rappresentanza nei luoghi di lavoro, ma anche delle regole sulla contrattazione collettiva, ivi compresa la materia della clausola di tregua, perché ne risultino definiti in modo chiaro sia il diritto della coalizione sindacale maggioritaria a negoziare contratti con efficacia vincolante nei confronti di tutti i lavoratori interessati, sia il diritto del sindacato minoritario alla rappresentanza riconosciuta in azienda, anche quando esso ritenga di non dover sottoscrivere il contratto.
Il Pd deve, infine, mobilitarsi con decisione per l’ampliamento degli spazi di partecipazione dei lavoratori nell’impresa. Va ribadito in proposito che la sede ideale per la partecipazione dei lavoratori alle scelte strategiche è l’accordo aziendale sul piano industriale; ma questo non toglie che sia necessario un intervento legislativo per consentire e potenziare tutte le altre possibili forme di trasparenza della gestione, di informazione e controllo sull’andamento della scommessa comune tra lavoratori e imprenditore. A questo tende il disegno di legge sulla “partecipazione” alla cui elaborazione abbiamo dato un contributo decisivo in seno alla Commissione Lavoro del Senato, raggiungendo in proposito anche un accordo con la maggioranza, ma che ciononostante giace ormai da un anno e mezzo, bloccato dal veto del ministro del Lavoro.
Su questi temi, che sono oggetto di un importante documento sulla riforma delle relazioni industriali pubblicato il 29 dicembre scorso da parlamentari di tutte le aree del Pd, mi sembra che l’elaborazione e il dibattito di questi ultimi due anni abbiano creato le condizioni per una convergenza di tutto il Partito democratico: è ora che questa convergenza si traduca in una forte iniziativa politica, nel Paese e in Parlamento.

Re: Ichino alla direzione del Pd

MessaggioInviato: 18/01/2011, 9:49
da Manuela
Bravissimo Ichino. L'unica cosa di cui dubito è che davvero tutto il PD sia schierato su queste posizioni. Magari.

Re: Ichino alla direzione del Pd

MessaggioInviato: 18/01/2011, 10:09
da ranvit
Certamente no. Non hanno il coraggio di fare scelte decise. Sono mediocri e privi di idee.
Cosi' come non l'hanno avuto quando si passo' dal Pci al Pds e poi Ds senza una aperta critica e relativo disconoscimento del comunismo....praticamente passarono dal comunismo alla destra della socialdemocrazia senza dire niente. Cosi' ognuno ha potuto continuare a credere che le idee che ognuno aveva/ha in testa fossero/siano quelle di tutto il partito.
Anche qui sul forum la confusione è totale, ci sono posizioni cosi' distanti, quasi opposte, che sembra kafkiano dichiarare di essere tutti (o quasi) elettori del Pd.

No, le tesi di Ichino non saranno trasformate in realtà dal Pd, ci penserà il centrodestra....non questo berlusconiano ma il prossimo venturo.

Vittorio

Re: Ichino alla direzione del Pd

MessaggioInviato: 18/01/2011, 13:59
da annalu
ranvit ha scritto:Certamente no. Non hanno il coraggio di fare scelte decise. Sono mediocri e privi di idee. [...]
Anche qui sul forum la confusione è totale, ci sono posizioni cosi' distanti, quasi opposte, che sembra kafkiano dichiarare di essere tutti (o quasi) elettori del Pd.[...]

Vedi, quello che mi colpisce è il salto qualitativo dall'esporre tesi come quelle di Ichino, che mi sembrano del tutto condivisibili e in larga parte condivise, con una polemica astiosa verso chi non condivide completamente le tue opinioni.
Che i dirigenti del Pd non siano all'altezza del loro compito di fare una opposizione realistica ed efficace, purtroppo è vero. Personalmente mi piace Bersani, condivido molte delle sue prese di posizione (quando le prende), ma mi sembra un segretario debole in un partito dove ogni dirigente piccolo o grande pensa di ragionare meglio di tutti gli altri. Tra il famigerato "centralismo democratico" e l'anarchia totale ci devono poter essere posizioni intermedie, che richiederebbero però un minimo di convergenza di base sugli obiettivi da raggiungere: insomma, un minimo di chiarezza.
Che come conseguenza della mancanza di chiarezza dei vertici, anche nella base ci sia una tendenza ad incattivire il dibattito, a ritenere sempre "colpevole di tutto" il vicino che si permette di dissentire, poco o tanto non importa, mi pare normale: se non si riescono a vincere le battaglie vere, ci si sfoga incolpandone l'alleato, che tristezza!!
Quello che mi dispiace è che un simile atteggiamento venga assunto anche da persone capaci di ragionare e di argomentare, come molti dei forumisti che intervengono qui.
Per esempio, io intervengo poco soprattutto perché non ho molto tempo disponibile, ma anche perché, trovandomi ad avere posizioni intermedie, mi troverei a dover dirmi in disaccordo (o in accordo) a volte con gli uni ed a volte con gli altri, posti qui in "schieramenti" opposti. Ci ho provato qualche volta, e subito sono stata etichettata come facente parte di uno schieramento oppure dell'altro, a seconda dell'opinione che avevo condiviso o contestato. A quel punto avrei sempre dovuto rispondere, chiarire, precisare ... ci vuole troppo tempo!
A me non pare strano che si possa essere non dico tutti concordemente elettori del Pd, ma tutti concordemente all'opposizione rispetto alla destra berlusconiana.
E questo per ora dovrebbe essere già un elemento di coesione. Invece non lo è, ed io questo faccio fatica a capirlo.

annalu

Re: Ichino alla direzione del Pd

MessaggioInviato: 18/01/2011, 14:45
da matthelm
Annalu, d'accordo su molte cose che hai scritto. Ma l'esperienza insegna che noi stiamo ancora pagando il dazio di un'Unione con Prodi, che pure era tutta contro Berlusconi!, perché avevamo con noi le stesse persone con cui siamo dialetticamente in totale contrasto.
Vogliamo che si ripetano gli stessi errori con gli stessi soggetti? Io, modestamente, non ci sto. E in tutte le occasioni che posso contrasto questa deriva suicida.
Vorrei un Pd che dicesse chiaramente queste cose e delle nebbie si diraderebbero subito. Enrico Letta ha forse iniziato a capire.

Vedi, anche se non c'entra poco, io in questo momento come Pd chiederei fortemente le elezioni anticipate con un'alleanza che escluderebbe i pasdaran in discussione. Credo che il Pd sarebbe premiato, quantomeno finalmente si saprebbe cosa vuole e dove va.

Re: Ichino alla direzione del Pd

MessaggioInviato: 18/01/2011, 15:37
da annalu
matthelm ha scritto:A[...[...] noi stiamo ancora pagando il dazio di un'Unione con Prodi, che pure era tutta contro Berlusconi! [...]
io in questo momento come Pd chiederei fortemente le elezioni anticipate con un'alleanza che escluderebbe i pasdaran in discussione. Credo che il Pd sarebbe premiato, quantomeno finalmente si saprebbe cosa vuole e dove va.

Cerchiamo di continuare a discutere serenamente.
Dunque, tu "colpevolizzi" l'Unione e Prodi per le catastrofi che sono seguite alla caduta del suo governo, e su questo io non sono d'accordo. Concordo con te che la sinistra bertinottiana e Bertinotti stesso (che definì Prodi "poeta morente") hanno certo contribuito a creare un clima sfavorevole al governo Prodi; però senza l'iniziativa inopportuna di Veltroni sull'"andiamo da soli" (lo ha detto anche lo stesso Prodi di recente a "Che tempo che fa"), Mastella e Dini non avrebbero fatto cadere il governo (perché, ricordiamolo, alla fine sono stati Dini e Mastella a farlo cadere).

Quanto alle elezioni anticipate, dubito che sarebbe una buona idea, soprattutto andando di nuovo "da soli" (perché la sinistra-sinistra, coerentemente con la tua posizione, non la vorremmo noi, ed il centrodestra di Casini e Fini, indipendentemente dalle ostilità che trova tra alcuni di noi, sono loro a non volere il Pd).
Se il centrodestra non fosse berlusconiano, non mi preoccuperei di fronte alla prospettiva anche di perderle le elezioni, in cambio di una ritrovata chiarezza interna, ma così, col rischio che Berlusconi possa, malgrado tutto, essere ancora rivotato, eviterei di correre rischi.
Un domani che Berlusconi si fosse ritirato dalla scena politica (ed io spero che accada presto: mi sembra che le sue azioni abbiano superato ogni limite di accettabilità per chiunque abbia rispetto per questo povero paese), allora tutto si rimescolerà, e probabilmente la matassa inizierà a sbrogliarsi, ed anche le ostilità tra "amici" più o meno potenziali si allenteranno.
Se Berlusconi dovesse farcela anche questa volta a farsi perdonare comportamenti inammissibili e veri reati, allora davvero non saprei cosa dire sul senso dell'etica e sul rispetto delle donne da parte degli italiani.
Spero proprio di no.

annalu

Re: Ichino alla direzione del Pd

MessaggioInviato: 18/01/2011, 16:44
da pierodm
Vedi, quello che mi colpisce è il salto qualitativo dall'esporre tesi come quelle di Ichino, che mi sembrano del tutto condivisibili e in larga parte condivise, con una polemica astiosa verso chi non condivide completamente le tue opinioni.

A me sembra di essere in un incubo, di quelli in cui corri corri e stai sempre fermo.
Ho aperto il reply, avendo la sensazione di avewre qualcosa da dire, ma mi accorgo che sarei costretto a ripetere cose già dette e ridette, inutilmente.
Del livore ho già parlato. Adesso tu lo chiami "astio". Bene.
Non è solo una questione di bon ton, o di carattere delle persone.
Questo partito - sarebbe meglio dire area politica - è uno spazio vuoto, dove chiunque può pensare di galoppare a piacimento: capita di confrontarsi su concetti fondanti, senza alcun riferimento che ci accomuni, come se fossimo all'anno zero del pensiero politico, della sociologia, della filosofia, della storia.
L'astio, il livore nascono da qui: dal fatto che si fanno polemiche che non hanno dietro di sé un punto di riferimento, e che vedono davanti a sé "avversari" inventati, arbitrariamente costruiti attraverso un cumulo di semplificazioni e di luoghi comuni.
L'indirizzo di queste polemiche astiose sembra essere personale, inevitabilmente, ma in realtà è del tutto impersonale e astratto: la "persona" è solo un pretesto.

Comunque, Ichino.
Io non trovo niente di che entusiasmarmi nel suo discorso.
E' un grande soufflè, che a stringere significa solo "la proposta di Marchionne mi piace", con l'ambizione di inquadrare la cosa in una vasta visione epocale dai monumentali significati.
Come dico in altro post, passare da Marx a Menenio Agrippa mi sembra un po' riduttivo.
E poi, ogni volta - rara - che mi capita di ascoltarlo in viva voce mi ricorda quei ragionieri di Balzac, intimi del signor conte, che nel salotto delle signore di provincia passano per uomini di mondo.

Re: Ichino alla direzione del Pd

MessaggioInviato: 18/01/2011, 18:08
da ranvit
Annalù, ho inserito questo discorso di Ichino qui e non nel forum di economia, proprio per portare un esempio di contrapposizione interna al Pd, inconciliabile con l'essere un unico partito. Dopodichè ho trasferito il discorso al forum (era il mio intento) per rilevare come anche qui ci sono posizioni assolutamente contrapposte.

Non so perchè ed a che titolo tu parli di astio. Non ho il piacere di avere questi sentimenti...cosi' come non sono romantico. Semmai altri, che ora fanno gli angioletti, hanno manifestato a piene mani questi sentimenti con attacchi ed offese personali (ripeto "personali", da non confondere con giudizi duri ma generali da me usati, come quando definisco infantile e velleitaria la sinistra "italiana").

Il punto è che non sta scritto da nessuna parte che bisogna necessariamente trovare un punto di incontro. Con la sinistra-sinistra non c'è alcuna possibilità di andare d'accordo. E come ti ha già detto matthelm non basta essere antiberlusconiani per governare insieme.

Vittorio

Re: Ichino alla direzione del Pd

MessaggioInviato: 18/01/2011, 18:15
da ranvit
Sono anni, ben prima dell'arrivo sulla scena di Marchionne, che Ichino sostiene le sue tesi (tra cui l'abolizione dell'art. 18).
Tesi che io condivido in pieno poichè le sostengo da prima che sentissi parlare di Ichino.

Vittorio