Un doppio bacione da FirenzeDel congresso di Firenze di Sinistra Ecologia e Libertà che ha incoronato ieri mattina Nichi Vendola presidente due o tre cose che mi sono piaciute e altre due o tre che mi sono piaciute meno.1- La più importante, certamente, è la scelta del campo di gioco. La riscrittura dei valori, il ritorno all’ascolto della società, per provare a vincere non più contro Berlusconi, ma anche senza Berlusconi, oltre Berlusconi. E oltre la sinistra: «La parola sinistra non basta senza la parola libertà», ha scandito il governatore pugliese, e non è poco. Da questo punto di vista gli attacchi di Vendola a Marchionne rappresentano un indizio: oggi, per paradosso, una critica ancora più dura nei confronti dell’uomo del maglioncino arriva dal versante opposto, da Gianfranco Fini, che già due giorni fa aveva rispolverato un’altra antica parola d’ordine della sinistra radicale, la tassazione delle rendite finanziarie. A dimostrazione di come tutto sia in rapido rimescolamento. Vincerà chi su questo terreno di gioco riuscirà a presentare la miscela più riuscita e più esplosiva. Ricette come quelle presentate da Enrico Letta in un lungo articolo sull’ “Unità” di ieri sembrano appartenere a un’altra epoca: si vince con le politiche, cioè con la buona amministrazione, non con la politica, cioè «la narrazione» di Vendola, pura astrazione, ha scritto il numero due del Pd. E invece non è così: i governi di Prodi amministravano bene, ma soprattutto nella fase dell’Unione avevano smarrito il filo del progetto. Uno, in particolare: quale modello istituzionale? L’Ulivo di Prodi, con le primarie, i comitati, la figura del leader, la società civile mobilitata, alludeva a un presidenzialismo “buono”, non putiniano, non berlusconiano, ma all’americana. E invece, dopo aver invocato un cambiamento così radicale, il centrosinistra si è ritrovato per anni raffigurato da un sinedrio di capipartito e dalle loro sottoquote. Il mondo è cambiato, deve cambiare anche il centrosinistra italiano.
2- Vendola ha rivendicato la sua identità religiosa: per lui il cattolicesimo non è un fatto privato, ma pubblico, e dunque politico. È una svolta rispetto a tanti leader della sinistra senz’anima che ormai non credono più a nulla e anche rispetto ai cattolici alla Prodi o alla Bindi, cresciuti alla scuola del Concilio, testimoni della possibilità di conciliare la fede con la laicità della politica, dare a Dio e dare a Cesare, fieri avversari di ogni integralismo nell’Europa delle guerre di religione, dell’alleanza trono-altare, del clerico-fascismo. Vendola anche in questo si atteggia a politico all’americana: per Obama, Martin Luther King, Bob Kennedy la fede in una trascendenza è un motore della storia, è un’ansia di liberazione. A sinistra si faranno molte ironie su questi toni profetici. Oggi sulla “Stampa” Riccardo Barenghi sfotte Santo Nichi: «sembra il Papa o addirittura Gesù». Sul “Giornale” un anonimo dirigente del Pd, citato da Vittorio Macioce, definisce Vendola «un cattocomunista berlusconiano». Roba da scappare a gambe levate, se così fosse, in effetti. Ma in tutto il resto del mondo la cultura religiosa ha piena cittadinanza a sinistra. Da noi, invece, la sinistra è anticlericale. E la destra berlusconiana è atea.
3- La presenza discreta del compagno di Vendola, il canadese Eddy. Qualcuno ha scritto che era nascosto sotto il palco. Errore: c’era, ma senza mettersi in prima fila, senza buttarsi nella mischia dei fotografi a rilasciare dichiarazioni e interviste. E se fosse invece questo il modello virtuoso che dovrebbero seguire anche le compagne (e i compagni) degli altri leader?
Tra le cose che non mi sono piaciute, invece, ci sono i toni di certe cronache, messianici. Certi paragoni fuoriposto. Un nascente culto della personalità che comincia a infastidire. Vendola farebbe bene a prenderne subito le distanze, con ironia e leggerezza. Come farebbe bene a prendere le distanze da Bertinotti e dai reduci del bertinottismo che lo avvolgono. Dovrebbe criticare anche quell’esperienza, fallimentare almeno quanto la sinistra riformista che il governatore attacca ogni santo giorno. «Non vogliamo più perdere bene, vogliamo vincere bene», ha gridato Nichi dal palco. Bellissimo slogan, però ora deve essere conseguente: lasci Bertinotti al suo narcisismo, alle sue future collaborazioni con il “Giornale”. E volti pagina.
Per voltare pagina sarà importante attendere un altro fine settimana in programma dal 5 al 7 novembre, alla stazione Leopolda, di nuovo a Firenze. A riunirsi saranno i giovani amministratori del Pd, convocati dal sindaco di Firenze Matteo Renzi e dal consigliere regionale lombardo Pippo Civati.
Li hanno definiti i Rottamatori, gli sfasciatutto. Ieri in tv Lucia Annunziata ha chiamato per tutta la sua trasmissione Renzi il «ragazzo», con una punta di sarcasmo. Dimenticando che nell’aprile 1997 i Tories inglesi avevano preparato un terroristico spot contro l’allora 44enne candidato laburista Tony Blair utilizzando l’argomento della giovane età: «Non affidate a un ragazzo il lavoro di un uomo». Si è visto com’è andata: il ragazzo, The Boy nella biografia di Andrea Romano, ha dominato la scena per più di dieci anni.
Nel Pd c’è un discreto terrore dei giovani rottamatori (ma non si potrebbero chiamare, semplicemente, innovatori?). Oggi la dalemiana Velina Rossa attacca Vendola e Renzi insieme, li definisce «i nuovi messia che si atteggiano a salvatori della patria». Il punto, però, è proprio questo: cosa succederebbe se Vendola e i boys più interessanti del Pd, Renzi, Zingaretti, Civati, trovassero il modo di darsi una mano anzichè ostacolarsi? Se Firenze uno e Firenze due si scoprissero a parlare un linguaggio comune, anzichè ricalcare schemi antichi, Vendola con Bersani a rifare il vecchio Pci, Renzi a copiare la giovanile arroganza del Rutelli dei tempi d’oro? Questa sì che sarebbe una rivoluzione democratica. Quando esattamente quarant’anni fa, nel 1970, Francois Mitterand diventò segretario dei socialisti francesi mettendo le basi della rivincita della gauche “Le Figaro” commentò: «Finalmente il partito ha trovato un leader e il leader ha trovato un partito». Anche oggi in Italia c’è un popolo che cerca leader e leader che cercano un popolo. Si ritroveranno a Firenze?
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