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A che serve l'opposizione

Il futuro del PD si sviluppa se non nega le sue radici.

A che serve l'opposizione

Messaggioda pierodm il 06/07/2008, 12:32

Quindici anni fa c'è stata Tangentopoli.
Dopo decenni di denunce, e di una consapevolezza diffusa, circa il malaffare che correva tra imprese e politica e settori della P.A., locali e nazionali, finalmente scoppiò il sozzo bubbone: prove, confessioni, uomini un attimo prima potenti alla sbarra, che facevano i nomi dei complici.
Piazza pulita? Macché: piazza sì, con tutto ciò che di brutto riserva la piazza, ma niente fu davvero ripulito, e tutto rimase come prima.
Anzi no: la vera vittima di quella stagione, ossia ciò che non rimase uguale, fu la speranza di cambiamento, cioè quella cosa in apparenza così idealistica eppure così necessaria ad un minimo di decenza democratica che fa credere che "forse un giorno, quando quello che sappiamo sarà finalmente dimostrato al di là di ogni dubbio, forse un giorno ci sarà giustizia", o comunque fa credere a ciascuno qualcosa di simile, aiutandolo a dare un senso alla parola "politica" e al proprio eventuale impegno di cittadino - alle proprie parole, alle discussioni, ai faticosi ragionamenti che presuppongono un mondo migliore in contrasto con una realtà crudele, che dura tutta una vita.

Da allora, da quella stagione di disillusione, è scaturito un senso ineluttabile di vanità, che ha tolto "forza al cuore e calore al ragionamento", nonostante un grande viavai retorico centrato sul rinnovamento, sulla nuova politica, e sullo scoppiettare di nuovi partiti che saltellavano fuori come pop-corn.
Intere partite di parole, pacchi di concetti e di idee sono transitati nella più definitiva delle macerazioni: l'indifferenza, o meglio l'afasia, la perdita di senso. Questa è, in effetti, la sorte delle rivoluzioni mancate.

Pochi anni fa, una seconda "rivoluzione" si è prospettata, assai simile alla prima, sebbene inerente un settore meno fondamentale, eppure così carico di valori culturali di massa che lo assimilano per molti versi alla politica.
Parliamo, ovviamente, di Calciopoli.
Anche qui: una consapevolezza antica e diffusa sul malaffare, sui maneggi di traffichini senza scrupoli, su uno sport che non è più sport, su antichi padronati e consolidate sudditanze, così come una vecchia politica non era più politica ma comitato d'affari. Una consapevolezza diffusa che finalmente veniva confermata per tabulas.
Piazza pulita? Macchè. Poca piazza, e tanto meno pulita. Tutto è rimasto come prima.
Anzi no: anche qui la vittima è stata la speranza, e con essa la perdita di senso delle parole, la voglia non solo di pronunciarle, ma anche solo di pensarle.
Si è insomma certificato che immaginare uno sport che sia uno sport, e non un comitato d'affari, è una roba da "anime belle", da illusi e da perditempo.
Se prima il cinismo e l'opportunismo - e l'affarismo - erano trionfanti, ma tutto sommato un peccato da nascondere, sia pure dietro un pallido velo, adesso erano diventati la regola, se non una virtù.
Le malefatte continuano, ma nessuno ha più la voglia, o la forza, di denunciare, di lottare, o anche soltanto di continuare a pronunciare quelle parole da "anima bella" che dàanno un senso all'esistenza stessa di una competizione sportiva.

I tutti questi anni, in definitiva, è scomparsa l'opposizione.
Non tanto, e non solo, quella istituzionale o parlamentare, che può essere fatta bene o male, essere più o meno rumorosa, ma che in fondo è una questione di ruoli - una parte assegnata.
E' scomparsa - o meglio, è scomparso il senso, la possibilità stessa di un'opposizione, nella società, nella cultura diffusa, nella comunicazione.
Quando certe parole, certi valori non trovano un seguito, ossia non trovano il modo di diventare "cosa", di incidere nella realtà, nessuno ci crede più, nessuno li sente più come protagonisti: non importa se protagonisti vincenti o perdenti, perché il ruolo dell'opposizione non è quello di inventarsi una vittoria fasulla, dopo una sconfitta, ma di far rimanere protagonisti quei valori e quelle idee che, ovviamente, non sono rappresentati da chi ha vinto.
Per quanto riguarda la politica, vale la pena fare un esempio per tutti, il più semplice da citare: dopo anni ei quali si era combattuto contro la malformazione culturale, e di sistema, delle Tv commerciali, che senso ha avuto dichiarare che Mediaset "è una grande risorsa del nostro paese"? Dichiarare questo e, naturalmente, comportarsi di conseguenza.

Personalmente, per quel che vale, non ho più voglia di ragionare, discutere, analizzare. Non si tratta di un rifiuto a freddo, di una volontà in negativo, sdegnosa, che ha l'intento di offendere polemicamente qualcuno o qualcosa.
Si tratta in realtà di una scomparsa del significato: afasia, le parole e i pensieri riesco bene a formularli, ma mi sembrano privi di senso, e io per primo ne provo una stanca nausea, come se fossero un gioco inutile.
A che serve discutere di politica, e di varia umanità sociale, e "a chi" serve?
Dov'è un partito, un'istituzione, un'associazione di persone nella quale i nostri pensieri riescono a confluire, avendo la parvenza di qualche efficacia, una reazione, una risposta?.
Se mi sforzo, riesco pure ad accozare un feticcio, un "quelo" che mi posa illudere - magari aiutato da un certo impegno di esegesi documentale.
Ma lo so che è uno sforzo, nel quale in fondo m'invento un partito che non c'è, al solo scopo di continuare nel mio gioco di "buon cittadino che collabora".

I peccati peggiori, quelli che anche nella nostra vita è più difficile perdonare, non riguardano ciò che abbiamo fatto di sbagliato, ma ciò che non abbiamo fatto. Le omissioni. Il vuoto. La rinuncia all'opposizione e all'obiezione di coscienza.
E dio solo sa se, in questo periodo, ci sono mille e mille ragioni per fare una ferma (feroce?) opposizione ad un ancien regime di ritorno.

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Re: A che serve l'opposizione

Messaggioda mario il 06/07/2008, 17:45

Non rinunciare alle tue idee. Continua a combattere.
Oltretutto non sei il solo a pensarla così.
Si tratta solo di trovare i giusti modi e le giuste occasioni.
Comincia col partecipare alla manifestazione del 8 luglio e a lottare all’interno del PD contro chi vuole impedire il dibattito.
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Re: A che serve l'opposizione

Messaggioda annalu il 06/07/2008, 18:12

pierodm ha scritto: [...] In tutti questi anni, in definitiva, è scomparsa l'opposizione.
Non tanto, e non solo, quella istituzionale o parlamentare, che può essere fatta bene o male, essere più o meno rumorosa, ma che in fondo è una questione di ruoli - una parte assegnata.
E' scomparsa - o meglio, è scomparso il senso, la possibilità stessa di un'opposizione, nella società, nella cultura diffusa, nella comunicazione.
[...]
Personalmente, per quel che vale, non ho più voglia di ragionare, discutere, analizzare. Non si tratta di un rifiuto a freddo, di una volontà in negativo, sdegnosa, che ha l'intento di offendere polemicamente qualcuno o qualcosa.
Si tratta in realtà di una scomparsa del significato: afasia, le parole e i pensieri riesco bene a formularli, ma mi sembrano privi di senso, e io per primo ne provo una stanca nausea, come se fossero un gioco inutile.
A che serve discutere di politica, e di varia umanità sociale, e "a chi" serve?
Dov'è un partito, un'istituzione, un'associazione di persone nella quale i nostri pensieri riescono a confluire, avendo la parvenza di qualche efficacia, una reazione, una risposta?.
[...]
I peccati peggiori, quelli che anche nella nostra vita è più difficile perdonare, non riguardano ciò che abbiamo fatto di sbagliato, ma ciò che non abbiamo fatto. Le omissioni. Il vuoto. La rinuncia all'opposizione e all'obiezione di coscienza.
E dio solo sa se, in questo periodo, ci sono mille e mille ragioni per fare una ferma (feroce?) opposizione ad un ancien regime di ritorno.


Cito solo alcune frasi, perché sono quelle alle quali vorrei saper rispondere.
E comincio dalla fine. Che i peccati peggiori siano le omissioni, può essere vero a volte, ma non sempre. Spesso è ciò che si fa che produce catastrofi, e tra queste la peggiore è l'annullamento del desiderio di agire.

La possibilità di una opposizione seria, motivata, responsabile non scompare. Mai.
Ma fare questo tipo di opposizione richiede un impegno vero, soprattutto obiettivi seri, valori importanti.
Scopo di una vera opposizione è mantenere vivi ideali e "comune sentire" non presenti nella maggioranza. E a questi ideali, a questi valori bisogna saper rimanere fedeli nel tempo.

Quando la situazione politico-sociale del paese e del mondo cambiano drasticamente, come è accaduto al giro di boa del nuovo millennio, anche gli obiettivi devono evolversi adattandosi alla realtà, pur senza rinunciare a ciò che si ritiene importante, come l'equità sociale, la democrazia e la libertà di pensiero.

In questo particolare periodo storico di grande difficoltà, tutti siamo rimasti spiazzati. Dal giovane attivista all'anziano politico. Anche per questo non c'è stato ricambio tra i dirigenti.
Ma non è questo il momento per l'afasia e per la rinuncia, anzi!

C'è chi, da destra e non solo, accusa l'opposizione di avere come unico collante l'antiberlusconismo. Questo è vero in parte, ma non sarebbe un gran male.
Quando un Berlusconi accusa chi lo considera un pregiudicato di giustizialismo, come se chiedere onestà e trasparenza ai politici fosse un abuso; quando un politico può promettere sogni (prima di tutto "abbasseremo le tasse!") e poi legiferare nella direzione opposta preoccupandosi solo dei propri affari, allora l'opposizione deve esserci, e farsi sentire.

Il problema, a mio parere, è la tendenza di molti di suggerire modi per fare l'opposizione - troppo urlati, oppure al contrario, troppo accomodanti - studiati solo come tatticismo per rovesciare in tempi brevi l'attuale maggioranza, con l'ovvio risultato di fallire lo scopo.
Chi per vincere si adatta ad inseguire gli obiettivi dell'avversario, è difficile che vinca davvero.
E' la diversità, la proposta di una strada diversa che può convincere e quindi portare a vincere.

In questo momento, qual'è la situazione?
La pentola del malcostume è stata aperta più di una volta (come hai già detto tu, tangentopoli, calciopoli, ma non solo) però poi non si sono proposte valide alternative.
Alla fine, molti si sono rassegnati a preferire un mascalzone di successo, che si vanta di ciò che fa, a persone che più che un nuovo sistema di rigore e di onestà, parevano riproporre un ritorno a vecchi metodi di ipocrisia e di onestà di facciata.

Uscire da questa situazione non sarà facile, ma abbiamo il dovere di provarci.
Coi politici che abbiamo, purtroppo, ma anche con quelli che, con impegno e passione, potranno salire alla ribalta, sperando che non siano troppo ligi agli insegnamenti dei loro predecessori.

Ma le persone nuove verranno solo quando ci saranno idee veramente nuove.
E questa è la sfida di oggi: trovare idee realizzabili, concrete e innovative.
E persone capaci di farl camminare.

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Re: A che serve l'opposizione

Messaggioda ranvit il 06/07/2008, 19:22

Credo che nella vita di un popolo ci siano momenti di bassa e momenti di alta.....noi siamo in una bassa.
Tutto qua.
Vittorio
Il 60% degli italiani si è fatta infinocchiare votando contro il Referendum che pur tra errori vari proponeva un deciso rinnovamento del Paese...continueremo nella palude delle non decisioni, degli intrallazzi, etc etc.
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Re: A che serve l'opposizione

Messaggioda pinopic1 il 08/07/2008, 18:50

Cancellato perché duplicato erroneamente
Ultima modifica di pinopic1 il 08/07/2008, 19:02, modificato 1 volta in totale.
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Re: A che serve l'opposizione

Messaggioda pinopic1 il 08/07/2008, 19:00

Approvo quanto sto ascoltando da una oratrice a Piazza Navona.
Sono 15 anni che la sinistra (il centrosinistra dico io) non si difende dalle offese, dalle accuse, dalle calunnie, dalla DEMONIZZAZIONE (dico io ) portata avanti da questi politici e pennivendoli e imbonitori televisivi della destra. dal porcellum ai "brogli elettorali" alla mortadella e shampagne in Senato passando per Il governo Prodi il peggiore della storia d'Italia, Prodi ci porta i rumeni, l'euro di Prodi, Prodi mette le mani in tasca agli italiani e ... (aperto a contributi).
E' ora di smetterla di farsi intimidire, basta farsi bastonare. Tanto poi se siamo dialoganti e moderati ci accusano anche di "buonismo".
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Re: A che serve l'opposizione

Messaggioda pierodm il 09/07/2008, 0:11

Come dice Vittorio: ci sono momenti di alta, e momenti di bassa. Ha ragione.
Ma il problema è che questa "seconda repubblica" si era presentata come il momento di alta, dopo decenni di situazione bassissima.
Alta politica, alta democrazia, alta governabilità: federalismo, personalizzazione, maggioritario, bipartitismo, concretezza dei "programmi". Perfino le Primarie, perdindirindina.

Ma in fondo non è nemmeno questo l'aspetto peggiore della situazione, perchè non ha molto senso - al di là della battuta da uomini di mondo, che la sanno troppo lunga per mostrarsi scandalizzati.
Il fatto è che avere questa coscienza del tempo - vale a dire la coscienza dei cicli e dei ritorni storici - è un sintomo sicuro che una società, non dico una persona, è irrimediabilmente vecchia: magari saggia, ma vecchia.
Quando siamo giovani, non sappiamo, non vogliamo sapere - e se lo sappiamo non riusciamo a dargli peso - se il nostro mondo è peggiore o migliore di quelli che l'hanno preceduto: lo vediamo com'è, o come siamo capaci di vederlo, insieme con le sue imperfezioni, le sue brutture, le sue ingiustizie, e con le sue cose belle.
Tutto è assoluto, quando siamo giovani: non è una saggezza filosofica, ma certamente è una saggezza politica, anche se a molti piace chiamarla saggezza poetica - i giovani, almeno fino a quando non hanno cominciato ad essere una categoria ed erano (eravamo) soltanto un tempo della vita, non la chiamavano in nessun modo, nemmeno saggezza

Siamo un popolo vecchio, che nei momenti migliori ci piace definire antico.
Vecchio, da tempo incapace di provare indignazione, scandalo e vergogna. Incapace di sognare.
Perché abbiamo il vizio di credere d'essere furbi, i più furbi di tutti.
Un popolo di avvocati e di prefetti, che trasforma ogni problema esistenziale e morale in un problema di legge e di diritto, ed è capace di vedere solo i reati, ma è insensibile alle colpe: un popolo cattolico. Formale e dottrinario.
Per inciso, se qualcuno pensa che sto citando, in parafrasi, Pasolini, ha ragione: sto citando Pasolini.
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Re: A che serve l'opposizione

Messaggioda incrociatore il 10/07/2008, 13:03

L'opposizione, ovviamente, serve a far politica e smuovere le coscienze... il guaio è quando si confonde la politica con lo show-business come ci ricorda mirabilmente Curzio Maltese su Repubblica, oggi.

Show-business sul palco
di CURZIO MALTESE


Manifestazioni come quella di Piazza Navona dell'altro giorno sono show business. Servono a sfogare i sentimenti di un pubblico di spettatori, servono ai protagonisti a vendere merci sul mercato: libri, dvd, spettacoli teatrali. Non servono a cambiare le cose. Quindi non sono politica. I guai cominciano se si scambia lo show business per politica e lo si prende sul serio.

Quando Beppe Grillo o Sabina Guzzanti o altri comici sanno di dover intervenire a una manifestazione pubblica, riuniscono i loro autori e chiedono un "pezzo" efficace. Un testo per una riunione politica è diverso da un testo comico per il teatro, ma segue regole rigide. Non dev'essere serio ma neppure troppo divertente: sarebbe un errore. Si bruciano belle battute del repertorio, che è giusto riservare al pubblico pagante dei teatri e dei palazzetti. Oltretutto, se la gente ride troppo, pensa. E se pensa non si scalda abbastanza, non urla. Bisogna dunque tenere alto il livello dell'emozione e "spararle grosse". Contro un bersaglio non scontato. Altrimenti non si fa notizia. Occorre anche valutare se alla manifestazione parteciperanno altri comici, come nel caso di piazza Navona. In tal caso il livello di fuoco aumenta, perché si corre il rischio di essere oscurati dalla concorrenza, in gergo televisivo "impallati".

La logica è simile a quella che si segue per lanciare un film o un libro in una comparsata televisiva importante, uno show del sabato sera o il festival di Sanremo. È inutile parlare del prodotto in sé, perché il pubblico se lo aspetta e si perde l'effetto sorpresa. Benigni, quando doveva lanciare un film, non andava a parlare del film da Baudo o dalla Carrà ma s'inventava memorabili performances, tipo toccare gli attributi di Baudo o palpare le curve della Raffaella nazionale, con gran successo di promozione. Non tutti naturalmente, parlando di sesso o di altri temi "bassi" - penso al magnifico "Inno del corpo sciolto" - mostrano il talento di poeta contadino di Roberto. Le allusioni sessuali comunque funzionano sempre, soprattutto in Italia. Un altro trucco è attaccare un bersaglio imprevisto e in teoria intoccabile. Insomma, se Grillo o la Guzzanti si fossero limitati ad attaccare Berlusconi, nessuno ne avrebbe parlato. Per questo, hanno spostato l'obiettivo sul presidente della Repubblica e sul Papa.

Nulla è lasciato al caso. Si tratta di strategie calcolate, testi scritti e riscritti, trucchi del mestiere di grandi teatranti. Stiamo parlando di professionisti. Dello spettacolo. Scambiati per professionisti della politica. Da un punto di vista morale saranno discutibili. Ma che c'entrano la morale o la politica? In Italia, nel volgere di pochi secoli, si è finalmente capito che etica e politica sono separate. Per la verità, lo si è capito fin troppo. Un giorno si capirà che anche politica e spettacolo sono campi separati. Per ora, il giorno è lontano.

Gli eventi creati di Beppe Grillo, dai Vaffa Day in poi, non sono azioni politiche. Il fine non è cambiare le cose, ma accrescere la popolarità del protagonista. Basterebbe un po' di lucida attenzione per comprenderlo. Purtroppo, chi vi partecipa e chi li osteggia non brilla in lucidità. La maggior parte dei bersagli di Grillo sono irrilevanti, innocui oppure marginali. Che importanza volete che abbia la presenza di diciotto parlamentari condannati in Parlamento, su mille, quando ce ne sono stati in passato due, tre, cinque volte tanti e 200 inquisiti? D'altra parte se la presenza in politica di un pregiudicato fosse un tema così importante, i seguaci di Grillo non si affiderebbero a lui, che ha una condanna definitiva e ricopre un ruolo politico, per quanto improprio, assai più importante dei diciotto messi assieme. Lo stesso discorso vale per altri obiettivi, come il doppio mandato, l'ordine dei giornalisti, i finanziamenti ai giornali di partito. Tutte storture, tutte battaglie condivisibili, s'intende, ma quisquilie. Nel caso del referendum sulla legge Gasparri non si tratta di una quisquilia, ma è ancora peggio. È un suicidio politico. Se si votasse oggi, quel referendum sarebbe una catastrofe per l'opposizione e un trionfo per Berlusconi.

Ma la cosa più probabile è che il referendum non si faccia, per fortuna. Nessuna delle altre proposte avrà poi uno sbocco politico. Che senso ha dunque sbattersi tanto? Senso politico, nessuno. Ma il comico ha enormemente aumentato il proprio seguito, pubblico, clientela. Dico subito che trovo indegno e ridicolo ogni moralismo in proposito. Grillo è un uomo di spettacolo, è grottesco giudicarlo sulla base di un metro politico o etico. In più, se guadagna tanto, se lo merita. Ha fatto scelte coraggiose che gli hanno impedito di accedere alla principale fonte di arricchimento degli attori, la televisione pubblica e privata. È giusto che si cerchi altre audience. Il blog è la principale alternativa e lui lo ha intuito fra i primi. Ma se fosse un po' più sincero, dovrebbe ammettere che il suo blog non è tanto uno strumento di lotta politica e confronto di opinioni (peraltro, sono tutti d'accordo) quanto un fenomenale punto vendita di merci autoprodotte. O quanto meno è l'uno e l'altro. Grillo è dotato di un altro talento tipico dei comici, la scelta dei tempi. I suoi interventi sono ottimamente calibrati. Non frequenti, non distanti.

Appena calano l'attenzione e le vendite, ecco l'evento, il vaffanculo col botto mediatico. Nelle settimane successive, le vendite e la popolarità schizzeranno di nuovo alle stelle. Gli altri hanno capito e lo imitano. Oggi la frase che gli agenti di spettacolo si sentono ripetere più spesso dagli attori, ma ormai perfino da registi, scrittori e professori di diritto comparato col saggio in uscita, è "facciamo una cosa alla Grillo, facciamo un gran casino". S'intende, per lanciare il prodotto. I più avveduti o i più aristocratici, come Nanni Moretti, si sono sottratti per tempo alla trappola.

L'interesse delle persone di spettacolo a usare eventi politici a fini di popolarità e commerciali è insomma piuttosto evidente. Come dovrebbero essere chiare le analogie di meccanismo e di linguaggio fra queste tecniche e il populismo berlusconiano. Misteriosa è invece la ragione per cui i politici e gli organizzatori si prestino a queste operazioni di marketing, dalle quali hanno tutto da perdere. Paolo Flores ha il grande merito di aver avviato con la manifestazione del Palavobis del 2002 la stagione dei movimenti che, negli anni successivi, riempì le piazze italiane di milioni di persone. Da storico e filosofo di valore, può stimare lui stesso l'abissale distanza che separa la sobria e feconda forza politica del Palavobis di allora con la sguaiata impotenza di Piazza Navona. L'ultima adunata non avvierà una stagione di protesta. Al contrario, può aver contribuito a stroncarla sul nascere.

I toni, i modi, l'eco mediatica per quanto parziale e magari ingiusta dell'evento, hanno contribuito a rafforzare il disegno del "nemico" berlusconiano. Il quale da anni cerca di rovesciare la questione centrale della criminalità delle classi dirigenti italiane nel suo contrario, l'emarginazione fra gli estremisti di chi difende la magistratura e i valori della Costituzione. Con gli insulti di piazza Navona gli si è reso un enorme favore.

Quanto ad Antonio Di Pietro, non gode forse degli stessi strumenti culturali di Flores, ma ha di sicuro fiuto politico. Capirà prima o poi che la strada in cui si è messo porta a un finale scontato: Grillo in cima alle classifiche dei best sellers e l'Italia dei Valori allo 0,5 per cento dei voti. Perché prima o poi gli toccherà dissociarsi, anzi ha già cominciato, e sarà bollato come codardo e venduto.

Ma in questo scambio di favori ed equivoci fra primedonne, l'unico aspetto che davvero intristisce è l'inganno del pubblico. Le persone che sono andate a Piazza Navona da cittadini e si sono ritrovati spettatori, come sempre. Hanno applaudito un idolo che attaccava un altro idolo. Portando a casa la sera il tacito, amaro dubbio che le cose non cambieranno. E come potrebbero? A colpi di eventi? Gli show servono a consolare, non a cambiare la realtà. Lo show di Berlusconi, che rimane l'inventore del metodo, si rappresenta da quindici anni e l'Italia è il paese meno cambiato al mondo. Soltanto ogni giorno un po' più volgare, ignorante e incattivito. È la politica che cambia le cose, e quella non c'è più.

(10 luglio 2008)
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Re: A che serve l'opposizione

Messaggioda matthelm il 10/07/2008, 17:01

Non si poteva scrivere meglio lo stato d'animo popolare (non chic!).
Sottoscrivo.
"L'uomo politico pensa alle prossime elezioni. Lo statista alle prossime generazioni".
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Re: A che serve l'opposizione

Messaggioda centine il 14/07/2008, 23:07

Le opinioni che riporto sono di Flores D'Arcais, e quindi sono solo sue opinioni, ma i numeri di Mannheimer sono numeri!

E il numero piu' importante e' che, fra gli elettori del PD, il 48,2 per cento s'e' detto d'accordo con Piazza Navona e solo il 39,2 per cento contro!

Quelle che seguono sono conclusioni personali, discutibili quanto si vuole, di Flores D'Arcais, ma leggiamo tutti i numeri, soprattutto quelli interni all'elettorato PD.

**********************

Renato Mannheimer ha pubblicato sul “Corriere della sera” del 13 luglio un sondaggio clamoroso sulla manifestazione di piazza Navona. Sulla base di un campione rappresentativo – per sesso, età, titolo di studio, professione, area geografica, ampiezza del comune di residenza - dell’intero corpo elettorale, solo il 55.3% giudica la manifestazione negativamente, il 15,3% non esprime giudizi, e un incredibilmente alto 29,4% la giudica positivamente.

Si badi, questi giudizi non vengono espressi sulla base di una conoscenza diretta di quanto avvenuto a piazza Navona (una diretta tv, per esempio), ma di una informazione (per la maggior parte degli italiani esclusivamente televisiva) che ha violentemente manipolato e distorto i fatti, ha “demonizzato” l’evento, ha cancellato come inesistente la maggior parte degli interventi, e ha ridotto quella che – se fosse giornalismo - dovrebbe essere una cronaca imparziale, ad alcune battute estrapolate da due interventi di due comici.

Malgrado questo, malgrado la tv abbia fatto di tutto (e di più) per presentare la manifestazione come ignobile, vergognosa, estremista (senza mai dire nulla dei suoi veri contenuti), le cifre del giudizio del corpo elettorale lasciano felicemente sbalorditi. Proviamo a confrontare i numeri di Mannheimer con i risultati elettorali di alcuni mesi fa. Il 15,3% che si astiene dal giudizio corrisponde, se si votasse, a chi non si reca alle urne, o vota scheda bianca e scheda nulla. Perciò il 29,4% che approva la manifestazione equivarrebbe, in termini di voti validi, al 34,7%. Il partito di Veltroni, alle scorse elezioni, ha ottenuto il 33,2.

Altro che estremisti isolati, dunque. Oltre un terzo del corpo elettorale che si esprime, sta dalla parte di piazza Navona. Neppure ai tempi di piazza san Giovanni nel 2002 il riscontro di opinione era stato tanto positivo. E allora i cittadini avevano potuto seguire la manifestazione in diretta su “La7” e i telegiornali, benché non abbiano praticato neppure allora una “imparzialità anglosassone”, erano restati ben lontani all’indecenza di manipolazione del TgUnico dei giorni scorsi.

Ma ancora più clamorosi sono i dati di Mannheimer nella loro forma disaggregata, riferita ai vari settori del corpo elettorale. Sempre trascurando gli astenuti, e quindi ricalcolando le percentuali in relazione ai soli “voti validi”, il 23% degli elettori leghisti (praticamente uno su quattro!) “vota” per piazza Navona. E a favore della manifestazione si esprime perfino il 14% degli elettori di Berlusconi/Fini (probabilmente molti di più tra gli ex di Alleanza nazionale che non di Forza Italia).

E’ evidente, insomma, che un’opposizione coerente e intelligente, capace di mostrare come “giustizialismo” e “garantismo” siano due facce di una sola medaglia, quella di una intransigente POLITICA DELLA LEGLITA’, può strappare consensi popolari, di massa, nello schieramento opposto, tra cittadini illusi dalle sirene populiste ma rapidamente delusi (se l’opposizione si oppone, anziché dialogare e offrire puntelli) dalla evidente logica dell’interesse “particulare” di Berlusconi a cui si piega tutta la sua coalizione.

Infine, tra noi “estremisti” di piazza Navona (ripeto: nella versione demonizzante delle tv) e Veltroni che quella manifestazione condanna, la maggioranza degli elettori di Veltroni non ha dubbi, sta con piazza Navona, 48,2 contro 39,2, il che, ricalcolato senza tener conto del 12,4 di astenuti, significa 55% con piazza Navona contro il 45% col segretario del Pd. Che dunque, contro un candidato di piazza Navona, perderebbe oggi le primarie dentro il suo stesso partito!

Chi ha parlato di fallimento della manifestazione, e di irresponsabilità di chi l’ha promossa, ha materia su cui riflettere, se gli resta ancora qualche oncia di buonafede. Perché un conto è sostenere che in una manifestazione politica si preferirebbe ascoltare certi accenti e toni piuttosto che altri, fin qui siamo nel campo delle preferenze soggettive (io stesso ho le mie, molto nette). Un conto è parlare di fallimento e di irresponsabilità, con il che, in genere, si pretende di dare un giudizio “oggettivo”, che trascura le intenzioni (anche le migliori) e guarda alle conseguenze, ai risultati (voluti o non voluti, previsti o non previsti: non averli saputi prevedere costituirebbe, appunto irresponsabilità).

I risultati sono ora sotto gli occhi di tutti. Lo stesso Mannheimer ne sembra impressionato, e riconosce che “un orientamento critico verso l’operato del Cavaliere … sta emergendo anche all’interno la maggioranza” il che “rappresenta un fatto nuovo nel panorama politico che si è evidenziato proprio a seguito dell’evento di piazza Navona” (sott. mia).

Tutto questo grazie all’impegno di quattro gatti per un paio di settimane, impegno che è bastato a far da catalizzatore alle infinite energie sopite della società civile democratica, che si sono rapidamente auto-organizzate con generosità e sacrificio personale.

Che cosa potrebbe fare un’opposizione degna del nome, con le gigantesche risorse del Pd e non dei quattro gatti, lo capisce chiunque. Ecco perché ho parlato tante volte di “inciucio per omissione”. Ma temo che ora Veltroni, D’Alema, Rutelli, di nuovo in reciproco sgambetto permanente, abbiano deciso qualcosa di peggio: l’alleanza organica con il Partito di Cuffaro (pseudonimo: Udc). Speriamo che i militanti del Pd sappiano - prima che il Pd sia definitivamente ingaglioffito a nuova Dc - lanciare l’ultimatum: “Usque tandem abutere patientia nostra?”.
(14 luglio 2008)

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Ripeto, nessuno e' tenuto ad essere d'accordo con Flores D'Arcais, ma coi numeri non si puo' essere in disaccordo, perche' e' nel PD che siamo e che vogliamo rimanere, e non lo vogliamo estinto.
centine
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