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Prodi: «Manovra, il coraggio di essere impopolari»

Il futuro del PD si sviluppa se non nega le sue radici.

Prodi: «Manovra, il coraggio di essere impopolari»

Messaggioda annalu il 24/05/2010, 9:25

Da Il Messaggero di oggi:

Prodi: «Manovra, il coraggio di essere impopolari»

di Romano Prodi

ROMA (23 maggio) - Una manovra correttiva è sempre un esercizio difficile. Lo è ancora di più quando si è incessantemente ripetuto che non vi è niente da correggere. Comunque, visto che le correzioni sono necessarie, è bene farle in fretta, in modo da renderci più tranquillamente a riparo dalle tempeste che in questi giorni impazzano in Europa.

La fretta non può tuttavia esimerci dal tenere conto di alcuni principi fondamentali che riguardano le conseguenze della manovra stessa sulle condizioni di vita degli italiani, anche perché si parla di almeno 27 miliardi di euro, una somma cospicua, riguardo alla quale non è certo indifferente vedere dove questi soldi vengono presi.

Partiamo dalla constatazione che in quasi tutti i paesi sviluppati il lavoro ha perso progressivamente terreno nella distribuzione del reddito ma che in Italia questa perdita è stata superiore a quella degli altri. Negli ultimi quindici anni la quota di Pil che va a remunerare il fattore lavoro (pensioni comprese) è calata di otto punti percentuali. Essa è passata dal 77 al 69% : un calo enorme che, in cifra assoluta,si colloca intorno ai 130 miliardi di euro.

Questo calo ci ha portato in linea con gli altri Paesi avanzati ma con una grande differenza di fondo. La differenza sta nel fatto che, di fronte a una quota di Pil del 69%, il lavoro contribuisce all’insieme dell’entrate tributarie per oltre l’80%. Possiamo perciò ragionevolmente stimare che in Italia il lavoro paghi quasi 50 miliardi di tasse in più rispetto alla quota di reddito percepita. Si tratta di una redistribuzione rovesciata rispetto a paesi come la Francia e la Germania che, attraverso lo strumento fiscale, trasferiscono risorse nette al lavoro. Il tutto, naturalmente, senza tenere conto dell’evasione che, in via prudenziale, è stimata intorno ai 100 miliardi e che è generata dal lavoro per una quota nettamente inferiore al 69%. Anche in conseguenza dell’evasione la quota del lavoro si vede perciò sottrarre ulteriori margini di reddito.

È chiaro che non è compito della così detta manovra aggiuntiva sanare questi squilibri, che sono anche la conseguenza della globalizzazione e di nuovi rapporti di forza nell’ambito internazionale. Penso tuttavia che il ministro dell’Economia, invece di rincorrere disperatamente tanti diversi addendi per arrivare all’agognata somma di 27 miliardi, farebbe bene a meditare su queste peculiarità e, sensatamente, a considerare l’opportunità di utilizzare questa contingenza per iniziare a restringere una divaricazione ormai insostenibile. Capisco che questo non è un obiettivo facile, soprattutto in un momento storico in cui il lavoro dipendente, pubblico o privato che sia, viene considerato come qualcosa di incidentale, da cui la storia si sta allontanando.

Dobbiamo inoltre convenire che molte regole del lavoro debbono essere cambiate in modo da rendere i lavoratori stessi più responsabili e più produttivi, ma questo non può avvenire attraverso un processo di marginalizzazione anche economica del lavoro stesso. E dobbiamo pure convenire che i lavoratori privilegiati e protetti debbono dare un doveroso contributo per farci uscire dalle difficoltà in cui siamo, ma non possiamo illuderci che il necessario sacrificio di ventimila pubblici dipendenti possa essere decisivo per il risanamento delle finanze pubbliche. L’esempio è importante in una società democratica ed è quindi giusto che anche la classe politica dia il suo contributo, come in analoghe circostanze avevo deciso diminuendo, rapidamente ed in silenzio, le remunerazioni dei ministri di ben il 30%. Questi passi nobili e necessari hanno effetti quantitativi assai scarsi di fronte ai grandi mutamenti a cui stiamo assistendo e di fronte alle necessità del Paese.

Non avendo oggi alcuna possibilità di sapere come questi 27 miliardi saranno raccolti ed avendo ragionati dubbi che la quasi totalità di essi possa venire da generici risparmi della spesa, mi sembra opportuno che il ministro dell’Economia si ponga almeno l’obiettivo di non squilibrare ulteriormente la distribuzione del reddito. Non è certo un compito facile soprattutto quando si è abolita l’Ici anche per le categorie di reddito più elevate e quando ogni suggerimento di usare le imposte a scopo almeno parzialmente redistributivo viene ritenuto un modo illegittimo di mettere le mani in tasca agli italiani. D’altra parte il mestiere del ministro dell’Economia non è mai stato un mestiere popolare. Tuttavia i peggiori ministri sono sempre stati quelli che hanno cercato la popolarità ad ogni costo.

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Al bivio euro tiriamo avanti

Messaggioda annalu il 24/05/2010, 12:27

Da Il Sole 24 Ore:

Euro al bivio: o maggiore coordinazione delle politiche economiche o sciglimento

di Romano Prodi, 22 maggio 2010

Quando è stato creato l'euro, tutti sapevano che, prima o poi, si sarebbe verificata una crisi. Era inevitabile, infatti, che nell'ambito di un progetto così ambizioso e senza precedenti in alcuni paesi (perfino nei più virtuosi) si sarebbe commesso qualche errore o si sarebbe verificato un evento imprevisto. Altrettanto chiaro, come ho detto anche in passato, è che il Patto di stabilità e di crescita era "stupido", non perché avesse finalità sbagliate, ma perché si basava su parametri meramente matematici, senza potere discrezionale alcuno, senza strumento politico in grado di farlo rispettare. Germania e Francia sono stati i primi paesi a violarlo, quantunque non in modo destabilizzante: i loro ministri delle Finanze hanno semplicemente deciso di non tener conto delle obiezioni della Commissione europea (verosimilmente perché erano "troppo grandi per poter fallire").

A causa delle difficoltà politiche, non è stato possibile proteggere l'euro. Per anni ho messo in guardia dal fatto che, benché non sia imputabile a nessuno in particolare, si sarebbero potuti verificare alcuni eventi straordinari che avrebbero costretto a una coordinazione condivisa delle politiche fiscali. Poi è subentrata la crisi greca, seria per ciò che riguarda le violazioni che l'hanno provocata, ma facilmente risolvibile, se si tiene conto delle modeste dimensioni dell'economia di quel paese.

Nondimeno è venuto a mancare un intervento tempestivo, che di fatto ha reso impossibile raggiungere un accordo in tempi rapidi in materia di disciplina fiscale. Le elezioni nello stato tedesco del Nord Reno-Westfalia hanno differito la presa di coscienza che la crisi greca rappresentava un'opportunità notevole per prendere i provvedimenti necessari in direzione di una governance economica che non era possibile quando fu creato l'euro. Ciò comporta la creazione di nuove istituzioni o enti che possano monitorare i budget degli stati membri, imporre la disciplina fiscale e sanzioni per chi viola ripetutamente le normative in questione.

Molti paesi, tuttavia, ancora adesso non sono disponibili a effettuare un cambiamento così radicale in materia di sovranità economica, anche se un'eventuale crisi (e non necessariamente quella greca) è stata argomento al centro di ricorrenti discussioni negli ambienti politici e universitari.

Ci troviamo pertanto a un bivio. L'unica alternativa a una maggiore coordinazione delle politiche economiche è lo scioglimento dell'euro: ciò infliggerebbe però un colpo devastante al progetto europeo e, per la Germania, sarebbe particolarmente rovinoso. Malgrado la ristrutturazione avvenuta negli ultimi dieci anni, la competitività tedesca sarebbe fortemente ridimensionata da svalutazioni monetarie nei paesi periferici della zona euro. Di conseguenza, le sue eccedenze commerciali si prosciugherebbero in poco tempo.

A suo tempo mi adoperai moltissimo per far entrare l'Italia nella zona euro, per dare al mio paese la disciplina di cui necessitava, per porre fine alla sfilza di continue svalutazioni monetarie che avevano reso fragile la sua economia e pregiudicato le sue finanze pubbliche, malgrado la presenza di un forte settore manifatturiero.

Considero pertanto le recenti decisioni prese a Bruxelles un passo importantissimo in direzione di una creazione graduale del federalismo fiscale europeo. Mettere insieme le risorse dei paesi dell'Eurozona e della Commissione con quelle della Bce è un progresso notevole rispetto al Patto di stabilità e di crescita. Di fatto, la creazione di enti in grado di operare preventivamente e intervenire con successo implicherebbe che il Patto è stato ormai sostituito da un coordinamento più efficace.

La parte più rilevante del nuovo Fondo di stabilizzazione europea - del valore di 440 miliardi di euro - è formata dai fondi nazionali di 16 paesi della zona euro ed è limitata a tre anni; ma noi tutti sappiamo quanto sia difficile tirarsi indietro rispetto a un obbligo simile.

Sebbene le divisioni politiche e i ritardi nel processo decisionale abbiano indebolito fortemente l'euro e innescato grande scompiglio nei mercati, la decisione di puntellarlo con una collaborazione finanziaria vicendevole è un considerevole passo avanti.

Incertezze continueranno a esserci, perché molti aspetti operativi legati all'attuazione delle decisioni prese hanno ambiti e contorni alquanto ampi. Tuttavia, la Bce, la Commissione e la maggior parte dei paesi europei hanno ricevuto poteri più forti, incarichi e responsabilità maggiori e di più vasta portata rispetto al passato, e i mercati ne terranno sicuramente conto.

Resta da capire come si concretizzeranno questi poteri, nel momento in cui vari paesi devono affrontare l'irrequietezza politica e in qualche caso veri e propri disordini tra la popolazione in conseguenza dei provvedimenti d'austerità varati. Nondimeno, anche se questo intervento di salvataggio è arrivato in ritardo rispetto a quanto sperato, con una spesa estremamente più alta, dopo che è stato arrecato un danno all'immagine dell'Europa, adesso l'Unione Europea ha imboccato la rotta giusta. L'accordo di Bruxelles dimostra che non esiste alternativa positiva all'euro.

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Re: Prodi: «Manovra, il coraggio di essere impopolari»

Messaggioda Stefano'62 il 25/05/2010, 12:19

Io sono d'accordo sul coraggio di essere impopolari e stimo moltissimo Prodi da un bel pezzo.
Però io accetterò di buon grado una manovra impopolare SOLAMENTE da parti di chi prima avesse fatto una doverosa manovra invece molto popolare come quella di tagliare (a sangue) con una bella scure tutti i privilegi,gli stipendi e le oltraggiose pensioni di quella manica di incapaci che stanno seduti a nostre spese a non fare un tubo,e che dunque (finchè non lo faranno) non saranno legittimati a parlare di riforme del lavoro nè di produttività e altre amenità varie.
Sacrifici ?
Ok,prima loro che possono,poi (e solo poi) tutti gli altri.
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Re: Prodi: «Manovra, il coraggio di essere impopolari»

Messaggioda franz il 25/05/2010, 16:17

Stefano'62 ha scritto:Io sono d'accordo sul coraggio di essere impopolari e stimo moltissimo Prodi da un bel pezzo.
Però io accetterò di buon grado una manovra impopolare SOLAMENTE da parti di chi prima avesse fatto una doverosa manovra invece molto popolare come quella di tagliare (a sangue) con una bella scure tutti i privilegi,gli stipendi e le oltraggiose pensioni di quella manica di incapaci che stanno seduti a nostre spese a non fare un tubo,e che dunque (finchè non lo faranno) non saranno legittimati a parlare di riforme del lavoro nè di produttività e altre amenità varie.
Sacrifici ?
Ok,prima loro che possono,poi (e solo poi) tutti gli altri.

Ok. Prima tagliere le rendite parassitarie, i privilegi delle corporazioni, i monopoli pubblici e privati, le clientele, lo stato ed il parastato delle 600'000 auto blu'.
Ci vuole molto coraggio per farlo. Perché è gente che strilla sottovoce ma in modo assai imperativo.

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Re: Prodi: «Manovra, il coraggio di essere impopolari»

Messaggioda annalu il 25/05/2010, 17:40

Da Corriere.it:

Summit mondiali e proposte
La «tela» di Romano Prodi

E il fedelissimo Rovati: se passa il presidenzialismo il Pd metta in campo lui

La soluzione di forte profilo per rilanciare Nomisma, affidata a un uomo in grado di far interagire politica ed economia come Pietro Modiano, è solo l’ultimo segnale. La settimana scorsa Romano Prodi aveva portato a Bologna re, capi di Stato e di governo di 53 Paesi africani, più i rappresentanti di Cina, Usa e Ue: era il primo vertice (i prossimi si faranno a Washington e ad Addis Abeba) della nuova Fondazione dei popoli, erede di «Governare per», il pensatoio web creato dal Professore per la campagna elettorale 2006. Che all’epoca fu considerata un mezzo disastro, ma dopo le nette sconfitte successive riluce quasi come un’età dell’oro.

Nessuno dei segni di questi ultimi mesi —il pressing collettivo per il Comune di Bologna, l’editoriale sul Messaggero per proporre la riforma federale del Pd, la lettera al Corriere sulla questione euro — va interpretato come l’avvisaglia del fatidico «ritorno», che sarebbe smentito in primo luogo dall’interessato. Ma è un fatto che il lavoro di Prodi alla costruzione di un profilo internazionale passa anche attraverso il lavoro culturale in Italia. Ed è un fatto che qui l’alter ego del Professore, Silvio Berlusconi, è saldamente al comando: alla testa del governo non c’è un Cameron, un leader di nuova generazione, ma c’è l’avversario naturale che Prodi è stato l’unico a battere (e per tre volte, comprese le Regionali 2005); mentre il Partito democratico e più in generale il centrosinistra non hanno trovato un Miliband, un erede, e neppure risolto la questione della leadership.

«Silvio e Romano sono speculari l’uno all’altro — ragiona Angelo Rovati, che è buon amico di entrambi, e da sempre trait d’union tra Prodi e gli ambienti finanziari milanesi —. Sono gli unici due innovatori degli ultimi quindici anni, i soli a essersi inventati due grandi partiti dal nulla. La differenza è che nel suo campo Silvio lo vogliono tutti, mentre Romano non lo vuole nessuno. Non è compatibile con il loro Dna. Forse il vero errore è stato non fare una lista con il suo nome. Ora qui tornano tutti — prima D’Alema, adesso pure Veltroni — tranne lui. Ci tocca ascoltare lezioni da personaggi che hanno distrutto il partito. Nei giorni drammatici delle dimissioni di Delbono, quando tutta Bologna compresi Roversi Monaco e Guazzaloca guardava a Romano come a una speranza, Bersani non ha certo dato l’impressione di spingerlo in campo, anzi, non so neppure se gliel’abbia chiesto davvero. Quando poi Prodi ha avanzato la sua proposta per un partito federale, con venti segretari regionali che scelgono il leader, si è sentito dare del folle. Per scherzo gli ho detto: "Romano, qui non ti lasciano fare neppure più il consigliere circoscrizionale...". Lui mi ha risposto: "Angelo, credo che tu abbia ragione"».

Eppure Rovati non è persuaso dallo scenario di un Prodi fuori dai giochi. «Facciamo un’ipotesi: passa la riforma presidenzialista; si vota direttamente il capo dello Stato. Quali altri nomi potrebbe mettere in campo il centrosinistra contro Berlusconi, se non quello di Romano Prodi? E, con la crisi finanziaria drammatica che infuria in Europa, ci si può permettere di lasciare una tale risorsa priva di una dimensione operativa? Hanno creduto di essersene liberati. Ora si rendono conto che uno come Prodi non si trova dietro ogni angolo». Di sicuro, il Professore non pensa più a guidare una coalizione in una campagna elettorale. All’ultima assemblea del Pd non si è fatto vedere. La stessa nomina di Modiano a Nomisma, da Prodi ovviamente approvata, è stata gestita di persona dai due ultimi presidenti, Paolo De Castro e Gualtiero Tamburini. La famiglia, a cominciare dalla moglie Flavia, molto influente sulla vita del marito, lo protegge da un’esposizione eccessiva. Ma a Bologna non è un mistero che Giulio Tremonti, da sempre estimatore di Prodi, gli abbia parlato in via riservata più volte, di finanza pubblica e crisi internazionale. Che il nome del Professore circoli per il Fondo monetario o per la segreteria dell’Onu certo non gli fa dispiacere, anche se per queste cose occorrerebbe il sostegno dell’esecutivo del proprio paese. Viceversa, non ha fatto certo piacere a Prodi il modo risentito con cui è stata accolta la sua proposta di riforma del Pd.

Ragiona Filippo Andreatta, il quarantenne più vicino al Professore: «La crisi è sociale, non politica. Quindi non c’è bisogno di fare politica attiva per esserci. E Prodi c’è. È ancora in grado di dare un grande contributo al Paese. Il suo bagaglio di contatti e di esperienza è una ricchezza per l’Italia e per il centrosinistra; anche perché la sua credibilità è rimasta intatta pure nella sconfitta. Prodi è tornato a casa sul serio, non è rimasto attaccato alla poltrona, e questo gli dà un’autorevolezza di segno diverso rispetto ai tanti che hanno perso ma sono rimasti lì. Personaggi, da D’Alema a Veltroni, che hanno sempre guardato Prodi dall’alto in basso, in virtù di una presunta superiorità tecnica. Ma è proprio la politica professionale, in cui cambiano i partiti ma non i leader dei partiti, ad allontanare l’elettorato. Prodi in questo è come Berlusconi: se la gioca tutta, se perde va a casa; e queste cose i cittadini le sentono. Romano è stato coerente, ha dimostrato di non essere un uomo per tutte le stagioni. Ora si prepara una stagione difficile». Qualcuno comincia a pensare che potrebbe essere, in forme diverse dal passato, una stagione da Prodi.

Aldo Cazzullo
25 maggio 2010
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Re: Prodi: «Manovra, il coraggio di essere impopolari»

Messaggioda Stefano'62 il 26/05/2010, 1:34

franz ha scritto:Ok. Prima tagliere le rendite parassitarie, i privilegi delle corporazioni, i monopoli pubblici e privati, le clientele, lo stato ed il parastato delle 600'000 auto blu'.
Ci vuole molto coraggio per farlo. Perché è gente che strilla sottovoce ma in modo assai imperativo.

Hai proprio ragione,viviamo in un Paese dove ci vuole più coraggio a fare le scelte popolari piuttosto che quelle impopolari.
:(
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Re: Prodi: «Manovra, il coraggio di essere impopolari»

Messaggioda franz il 26/05/2010, 12:01

Stefano'62 ha scritto:
franz ha scritto:Ok. Prima tagliere le rendite parassitarie, i privilegi delle corporazioni, i monopoli pubblici e privati, le clientele, lo stato ed il parastato delle 600'000 auto blu'.
Ci vuole molto coraggio per farlo. Perché è gente che strilla sottovoce ma in modo assai imperativo.

Hai proprio ragione,viviamo in un Paese dove ci vuole più coraggio a fare le scelte popolari piuttosto che quelle impopolari.
:(

Ma è chiaro. Chi arriva a far parte del potere, ne rimane avvolto e diventa parte stessa della casta (per esempio la Lega, che a "Roma Ladrona" ora ci mangia allegramente). Difficilmente si mette di traverso pestando i piedi alle corporazioni, ai poteri piu' o meno forti, ... Un po' perché vuole rassicurare (cambieremo qualche cosa ma in sostanza non cambierà nulla) ed un po' perché riceve sicuramente compensazioni trasversali (voti, appalti, percentuali in affari per gli amici).
Questo è il dramma dovuto all'esistenza di un forte potere politico (pubblico).
Inizio a capire le ragioni di chi chiede meno stato. I potenti rimangono tali, con meno stato, ma quando si appoggiano (o peggio corrompono) uno stato forte, il disastro si moltiplica. Se poi al disastro si deve por mano con i tagli, pagano i soliti.

Franz
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Re: Prodi: «Manovra, il coraggio di essere impopolari»

Messaggioda lucameni il 26/05/2010, 21:59

Nooooooooooooooooooo Rovati nooooooooooooooooo.
Madonna.........quello che lodava Berlusconi per il suo fare innovativo e aver permesso questo bipolarismo.
Ma perchè bisogna ancora stare appresso a questi personaggi!!!
"D' Alema rischia di passare alla storia come il piu' accreditato rivale di Guglielmo il Taciturno" (I. Montanelli, 1994)
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Re: Prodi: «Manovra, il coraggio di essere impopolari»

Messaggioda Stefano'62 il 26/05/2010, 22:51

Ho paura che il perchè lo abbia spiegato il buon Franz negli ultimi suoi post....
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