Mariateresa Fumagalli
L'Europa delle confluenze
Appunti su una discussione bolognese
A Bologna, al Dipartimento di Storia, abbiamo discusso il 22 ottobre, con Franco Cardini, Daniela Romagnoli, Alessandro Vanoli, Riccardo Fubini e Sofia Boesch Gajano, di una Europa con molti madri e molti padri. Matrici conflitti e retaggi di un Medioevo multietnico ossia di una Europa che si è formata – diciamo un millennio fa – come cultura alla confluenza di molte etnie, linguaggi e tradizioni. Per questo incontro di tradizioni e popoli suggerisco l’analogia con la confluenza di fiumi, ruscelli, torrenti, più efficace a mio parere della metafora un po’ usurata delle discusse “radici”, solide e più immodificabili delle acque che si mescolano e confondono continuamente.
Le stesse “componenti” (romane, arabe, ebraiche, cristiane, “barbare” del nord…) dell’Europa meticcia di allora e di oggi, non erano, a loro volta, entità definite una volta per tutte, ma stati culturali “liquidi” in continua evoluzione per l’incrocio con gli “altri”.
È lo storico a operare un fermo/immagine per studiare le caratteristiche di un dato periodo, congiuntura o evento (per esempio un movimento, fatto artistico o un testo letterario o filosofico). Ma intanto le cose fuori, nel mondo, si muovono e si mescolano…
Detto questo, è evidente che alcuni elementi presenti nell’ Europa di allora (la cultura greco-romana e quella cristiana) erano più evidenti e distinguibili di altri, tuttavia ugualmente reali.
Daniela Romagnoli è partita da alcune riflessioni di Le Goff sulla “nascita dell’Europa”; la Boesch ha segnalato come luoghi di intreccio e scambio le città e i modi di vita urbani della Spagna medievale; Franco Cardini l’ intreccio a molti sensi delle culture cristiane e musulmane dopo il Mille.
Quanto a me, ero incaricata di parlare da una prospettiva filosofica - o meglio di storia della filosofia: il compito mi sembrava un po’ complesso perché il pensiero contenuto nei testi che chiamiamo filosofici è per l’ appunto fluido e inafferrabile più delle “cose” e degli avvenimenti; non si percepisce e non si vede, ma va con pazienza analizzato e confrontato in continuazione in documenti, scritti, tra l’altro, in un linguaggio astratto, privilegio delle classi dominanti e “letterate”. Ho scelto di portare alcuni esempi di tracce “diverse” ossia non latino/cristiane presenti in testi scritti nei secoli medievali.
Parlando del pensiero medievale si può non iniziare da Agostino, dal suo imprinting formidabile? Si potrebbe infatti sostenere che gran parte della filosofia medievale è un insieme di note a pie’ di pagina a Agostino d’Ippona. È noto che Agostino era africano; sua madre, l’amatissima Monica, con tutta probabilità berbera: lui stesso, giovane, a Milano, avvertiva a volte con disagio la propria “diversità”. Nonostante il suo linguaggio scritto sintatticamente e lessicalmente fosse impeccabile, il suo accento nella conversazione quotidiana faceva trapelare quelle origini africane che a volte lo imbarazzavano.
Ma tracce, chiamiamole non latine, sono presenti e si avvertono anche nei suoi testi filosofici? Non sono la sola a segnalare la presenza -qualcuno dice l’ “irruzione” (Fontaine) – della mentalità e della fantasia semitica e biblica nell’elegante prosa latina delle sue opere: immagini, analogie, presenza vivida di colori e suoni, salti emotivi, metafore nuove affollano le Confessioni e molte delle lettere di Agostino. È qualcosa di molto poco “classico” che porta nel latino – una lingua secca, lucida, ma povera per numero di vocaboli – uno stile nuovo e singolare. Come il mutamento nel cinema dal bianco e nero ai colori.
È con Agostino, o meglio anche con lui, che il linguaggio filosofico dei secoli medievali si arricchisce di metafore fondate sulla percezione sensibile, sul ricordo e sulle emozioni, stili propri di una altra cultura, quella biblica.
La presenza degli “altri”, non cristiani e non latini, si fa evidente e dichiarata in alcuni autori più frequentemente dopo il Mille, quando la cristianità europea avverte la pressione culturale dei musulmani e degli ebrei: è allora che alcuni intellettuali cristiani denunciano all’interno della christianitas la chiusura di orizzonti che ostacola la stessa ricerca filosofica e religiosa.
Due soli esempi, Abelardo maestro a Parigi e l’inglese Adelardo Di Bath entrambi del XII secolo.