Il testo dell'intervento di Bersani
da
pd.it Care democratiche e cari democratici, cari amici e cari compagni,
prima di ogni altra cosa voglio che da questa nostra Assemblea venga un saluto affettuoso al Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e un ringraziamento per la personalità, la forza e l’equilibrio con cui sta esercitando il Suo altissimo ruolo di garanzia.
Un saluto voglio rivolgere anche a nome vostro a Romano Prodi. Lo sentiamo qui con noi nelle radici profonde della nostra grande avventura e conosciamo l’affetto e l’attenzione con cui segue le vicende del nostro e del suo Partito.
Un ringraziamento anche a tutti quelli che ci hanno portato fin qui in una vicenda complessa, difficile, ma esaltante. In particolare un ringraziamento a Dario Franceschini che mi ha preceduto in questo ruolo e che si è confrontato lealmente con me e con Ignazio Marino in nome delle migliori prospettive del Partito.
Nei temi che ricorrono in questa relazione c’è ovviamente molto di mio, ma anche non poco di loro perché mentre ci confrontavamo ho cercato sempre di ascoltarli. Infine un ringraziamento e un saluto cordiale ai Rappresentanti delle quaranta Ambasciate che sono presenti oggi e che testimoniano con la loro presenza il rilievo del nostro appuntamento.
Ho detto più volte che non credo al Partito di un uomo solo ma ad un collettivo di protagonisti. So bene che la formazione di un collettivo deve avere forme nuove e contemporanee; ma rinunciarvi, per un partito popolare, non sarebbe andare avanti, sarebbe regredire.
Dunque mi rivolgo a voi non come ci si rivolge ad una folla ma come ci si rivolge al largo gruppo dirigente del nostro Partito corresponsabile con me di questa nostra straordinaria avventura. Vi propongo subito e con chiarezza i nostri essenziali compiti. Costruire il Partito, preparare l’alternativa. Sono compiti che richiedono un lavoro importante per durata e per profondità. Inutile cercare scorciatoie o immaginare strade senza inciampi. Cerchiamo piuttosto di darci solidità, di darci una tranquilla certezza di noi stessi e obiettivi chiari. La forza c’è e la si è vista in questi mesi. La sera delle primarie ho detto che dentro la vittoria di tutti c’era anche la mia vittoria. E’ stata davvero una vittoria di tutti. Più di 400.000 (466.573 pari al 56% aventi diritto) iscritti hanno partecipato ai congressi di circolo, più di 3 milioni (3.102.709) di cittadini hanno votato alle primarie.
Una spinta enorme, un incoraggiamento enorme!
Quante cose possiamo capire meglio dopo questa vicenda!
Cose che riguardano noi e cose che riguardano l’Italia. Cose che riguardano noi innanzitutto. Ad esempio la evidente sintonia fra iscritti e cittadini elettori ci dice, al di là della contingenza, una cosa molto profonda, che purtroppo abbiamo avuto in dubbio fin qui e che ora possiamo fissare con certezza. E’ possibile immaginare un grande Partito in cui organizzazione ed apertura alla società si tengono, non sono in tensione od in alterità ma possono rafforzarsi reciprocamente. E’ un assunto determinante per indicarci la strada. Ma più ancora da questo nostro percorso è venuta una parola nuova all’Italia, una parola che non dobbiamo lasciare spegnere, una parola sulla questione democratica aperta nel Paese, sulle possibili prospettive della nostra democrazia. Ancor più dopo queste settimane, noi siamo orgogliosi di sentirci costruttori di un Partito. Orgogliosi, perché costruendo un Partito realizziamo la nostra Costituzione che parla di Partiti e non di popoli. Costruendo un Partito in un modo nuovo e con larghi meccanismi di consapevole partecipazione noi diciamo con i fatti che esiste un’altra modernità alternativa alla deformazione populista e plebiscitaria del nostro quadro politico e costituzionale. Una novità che può venire dall’innovazione dei partiti secondo regole che siamo pronti a discutere in applicazione dell’art. 49 della Costituzione. Una novità che può venire dal rafforzamento e dalla riforma del sistema parlamentare. Una novità che può venire da una legge elettorale che riconsegni ai cittadini la scelta dei parlamentari.
Un mese fa, alla nostra Convenzione ho descritto come in molti Paesi del mondo emerga una caduta di efficacia e quindi di credibilità della democrazia rappresentativa per la natura dei problemi e dei poteri che si muovono oggi nel mondo, problemi e poteri difficili da afferrare e da riportare al controllo dei cittadini rappresentati; ho cercato di dire come nella particolare situazione italiana tutto questo possa scivolare in deformazioni e semplificazioni regressive della rappresentanza col rischio di rimpicciolire il nostro Paese nel contesto delle grandi democrazie mondiali, ne impedirebbe la modernizzazione, lo lascerebbe ostaggio delle sue arretratezze.
Ho anche detto, e lo ripeto qui, che questo rischio non può essere affrontato con una impostazione difensiva o nobilmente conservatrice. Ci chiamiamo Democratici perché poniamo al Paese il problema di una democrazia efficiente. Ci chiamiamo Riformisti perché vogliamo le riforme. Noi rifiutiamo in radice l’idea che il consenso venga prima delle regole, che la partecipazione democratica significhi eleggere un capo, che la società civile sia ridotta a tifoseria. Riconosciamo, nel contesto delle grandi democrazie del mondo, la pari dignità di modelli parlamentari e di modelli presidenziali bilanciati. Ma rivendichiamo per il nostro Paese in ragione della nostra grande tradizione costituzionale e in ragione delle concrete nostre condizioni sociali, culturali e storiche, un modello parlamentare rinnovato, rafforzato e reso efficiente. E quindi avanziamo una nostra idea di riforma. Un idea di riforma che non affidiamo al cosiddetto dialogo, parola malata ed ambigua, ma al confronto trasparente nelle sedi proprie e cioè nel Parlamento.
Proponiamo di partire da quattro punti:
Superamento del bicameralismo perfetto, Senato federale, riduzione del numero dei parlamentari, rafforzamento delle funzioni reciproche di Governo e Parlamento;
Attuazione dell’art. 49 della Costituzione con una coerente e moderna legislazione sui partiti;
Nuova legge elettorale che consenta ai cittadini di scegliere i Parlamentari, attraverso un confronto con le forze politiche cominciare da quelle dell’opposizione senza escludere una legge di iniziativa popolare;
Nuove norme sui costi della politica fissando parametri che ci mettano stabilmente e chiaramente nella media comparata dei principali Paesi europei;
Queste sono le nostre priorità sul fronte istituzionale e costituzionale. Altre ne segnalerò più avanti sul fronte economico e sociale. Non pretendiamo di imporre queste priorità ma non accetteremmo che l’agenda delle riforme ci fosse semplicemente dettata da altri. Voglio dire una parola chiara anche sul tema della giustizia, sul quale insiste una confusa pressione da parte di Governo e maggioranza, paradossalmente in assenza di proposte leggibili. Se parliamo del servizio-giustizia noi non pensiamo che le cose vadano bene così. Al netto delle immancabili eccezioni, la giustizia è un servizio inefficiente e negato a gran parte dei cittadini. Nella crisi economica attuale, ad esempio, le recenti norme sulla giustizia civile appaiono palliativi di fronte ad un sistema in cui le relazioni economiche non hanno un vero presidio e chi esige un proprio diritto è spesso nell’abbandono e non raramente nella disperazione.
Vogliamo discutere, nella crisi, di norme urgenti e radicali sulla giustizia civile; vogliamo parlare di ragionevole durata del processo? Vogliamo partire da qui e affrontare, a partire da qui i problemi che hanno rilievo anche nella dimensione costituzionale? Siamo d’accordo. Ma non possiamo non vedere l’enorme difficoltà di un confronto totalmente e unicamente centrato sull’equilibrio dei poteri e soprattutto invaso dall’insuperabile interferenza di questioni che si riferiscono alle situazioni personali del Presidente del Consiglio, e segnato dall’aggressività e dalla volontà di rivincita scagliate contro il sistema giudiziario e la Magistratura; sono sentimenti ed intenzioni che oggettivamente inquinano la discussione. E’ in grado la maggioranza di liberare il tavolo da queste ipoteche? Questa è la domanda, ed è una domanda ineludibile. Obiettivamente ineludibile.
In questa lunga campagna congressuale ho cercato di mettere al centro un tema che ripropongo qui. Fra questione democratica e questione sociale c’è un nesso inscindibile. Dobbiamo sapere che nella divisione e nella incomunicabilità di queste due questioni c’è la nostra sconfitta. Nella loro consapevole connessione c’è la prospettiva vincente dell’alternativa. Parliamone al concreto. Le condizioni reali dell’economia e della società non hanno un reale rilievo nella discussione pubblica e nel confronto politico. Ciò avviene perché il sistema è deformato non solo dal lato dell’informazione e della comunicazione ma nei suoi aspetti strutturali cioè nella formazione delle decisioni.
La narrazione fatta di cieli azzurri e di nuvole passeggere che ci ha costretti all’immobilità e all’impotenza davanti alla realtà dei problemi non avrebbe potuto aver luogo se la formazione delle decisioni e delle leggi non fosse stata imbrigliata da un meccanismo che consente la nomina dei Parlamentari, che consente la valanga di voti di fiducia e di decreti omnibus, e che induce alla passività non solo la società politica ma, inevitabilmente, anche quella civile. Come nel gioco delle tre carte il luogo e il tempo per discutere i problemi reali sono sempre altri. Il vuoto viene coperto da divagazioni addirittura paradossali su cui si adagia il conformismo. Abbiamo discusso per alcuni giorni di posto fisso mentre decine di migliaia di precari il posto fisso lo stavano trovando a casa loro!
Tutto questo alza un muro pericoloso fra dimensione sociale e realtà istituzionale e politica. Riscopriamo che senza dialettica politica e parlamentare non c’è dialettica sociale, non c’è la possibilità di inquadrare una gerarchia di problemi davvero riconoscibile dai cittadini. Parliamo dunque con linguaggio di verità di questa crisi. La crisi non è psicologica, non è una nuvola passeggera, non l’abbiamo alle spalle. Nessuno di noi vuol fare il pessimista o il catastrofista. Pretendiamo semplicemente che si riconosca che abbiamo un problema serio, un problema che non si risolve da sé, un problema che altri non risolveranno per noi. Pretendiamo, dopo diciassette mesi, che il Governo si rivolga al Parlamento e al Paese con una analisi realistica e con proposte e intenzioni che mostrino finalmente la consapevolezza della situazione internazionale e nazionale.
La situazione internazionale, innanzitutto. Abbiamo alle spalle la crisi finanziaria? A guardare profitti e bonus delle grandi banche del mondo si direbbe di sì. Ma ciò deriva da fiumi gratuiti di denaro che arrivano dalle Banche Centrali e che vanno su azioni e titoli piuttosto che sull’economia reale mentre i default delle famiglie possono ancora crescere, mentre le difficoltà delle imprese aumentano, mentre il livello di capitalizzazione della Banche resta inadeguato. Ciò sospinge a una tendenza di fondo. Le banche non si prendono rischi nuovi verso l’economia reale. Intanto, niente di veramente sostanziale si è mosso per la riforma dei mercati finanziari e c’è un rischio reale di tornare a poco a poco dove si era prima. Quanto all’economia reale, la domanda mondiale è bassa, i paesi esportatori in particolare soffrono, c’è una sovraccapacità produttiva difficile da assorbire. Il sostegno pubblico alla domanda che avviene nei più grandi Paesi del mondo è una ricetta necessaria che tuttavia mette sul futuro non solo l’ipoteca del debito ma anche il rischio di riproporre gli stessi modelli squilibrati nelle relazioni economiche mondiali che sono stati la vera origine della crisi. Solo negli Stati Uniti e nel Giappone si affaccia l’idea peraltro ancora incerta di correzioni del modello di crescita. Altrove non se ne vede traccia. Si tratta di correzioni che dovrebbero essere il vero nuovo orizzonte delle politiche progressiste nel mondo sul quale avviare un confronto internazionale che ancora non si vede. Percome si muovono le cose nella dimensione mondiale non possiamo pensare che gli altri risolvano i nostri problemi. Noi abbiamo alle spalle lunghi anni di minor crescita a causa di condizioni che, se non corretta, agiranno ancora facendoci uscire più lentamente di altri dalla crisi.
Tutto ci dice che nell’inerzia tornare per noi alle condizioni del 2007 sarà una strada lunga. Bisogna che non sia troppo lunga. Se permettiamo cioè che l’impatto della recessione sia troppo duro sull’apparato produttivo ne avremo danni difficili da rimediare. Se lasciamo che la recessione indebolisca ancora la nostra già incerta attitudine ad un salto tecnologico del sistema produttivo ne avremo danni difficili da rimediare. La sostanza è che rischiamo un ridimensionamento strutturale delle nostre attività e quindi difficoltà serie nel dare prospettive di lavoro alle nuove generazioni. Per questo invochiamo una risposta nazionale ad uno sforzo che solleciti nel Paese il contributo anche di chi non sta vivendo la crisi, per fronteggiare con più determinazione i rischi che si affacciano. Non ci si presenti per favore, con una finanziaria fatta di segnali irrilevanti. Ci servono misure vere.
E’ ora di recuperare il tempo perduto e di affrontare una nuova agenda sia dal lato dell’emergenza, sia dal lato delle riforme.
Parliamo dunque di emergenza. Molte piccole e medie imprese non hanno fiato sufficiente per una crisi lunga. Il loro fiato si chiama liquidità. La liquidità è fatta di pagamenti, di pagamenti della Pubblica Amministrazione, di carico fiscale, di accesso al credito e di costo del credito. Si devono scegliere dentro a questo mix soluzioni più concrete e forti di quelle viste fin qui. Non vado nei particolari. Siamo pronti a dire la nostra. Anche la capitalizzazione delle imprese può servire a dar fiato purchè non sia affidata a meccanismi barocchi ed estranei al senso comune della nostra imprenditoria.
Ancora sull’emergenza. Gli ammortizzatori. Non è vero che tutto funziona. C’è un problema di massimali, c’è un problema di prolungamento della cassa ordinaria, c’è un problema di erogazione della cassa in deroga, c’è una larga scopertura del precariato. Molte famiglie di lavoratori sono in gravi difficoltà, alcune sono nel dramma.
E ancora: per rianimare i consumi bisogna cominciare a portare risorse ai reddito medio-bassi impoveriti (salari, stipendi, pensioni) e a chi è sotto la soglia di povertà. Per stimolare minimamente l’economia ci vuole un grande piano di immediate piccole opere da affidare ai Comuni e un potenziamento degli interventi per il risparmio e l’efficienza energetica. Tutto questo costa. Costa peraltro poco di più di quella sciagurata manovra di inizio legislatura che tra abolizione totale dell’ICI, cancellazione della tracciabilità nei pagamenti, straordinari e Alitalia ci fece sprecare più di dieci miliardi mentre la crisi era già lì. Sappiamo bene che per affrontare sia l’emergenza che le riforme bisogna garantire l’equilibrio dei conti. Lo si può ottenere solo in tre modi:
Abbandonare i tagli lineari e mettere le mani nei meccanismi che generano la spesa pubblica a cominciare dai grandi comparti e dall’acquisto di beni e servizi imponendo a tutti i livelli, centrali, regionali e locali e a tutti i centri di spesa le migliori pratiche e riorganizzando su questa base la Pubblica Amministrazione;
Incrementando la fedeltà fiscale non solo con tecniche deterrenti ma con meccanismi che introducano in modo fisiologico una riduzione dell’evasione e del nero e spostando altresì il carico fiscale dal lavoro alla rendita, a cominciare da quella finanziaria;
Migliorare i tassi di crescita con riforme capaci di attivare le forze di mercato.
Sono operazioni a volte scomode, davanti alle quali è facile che tremi la mano. Ma non si può pretendere che le rose del Governo siano senza spine. Davanti ad una assunzione di responsabilità esplicita, concreta e visibile da parte del Governo noi non ci sottrarremmo a qualcuna di quelle spine. Ma se continuiamo a sentirci dire che il problema non c’è o che si può aggiustare con palliativi per noi diventa davvero difficile discutere. Uno strumento formidabile per fronteggiare la crisi è il sistema delle autonomie, Nel momento in cui più forte potrebbe essere il suo coinvolgimento sia sul versante degli investimenti, sia sul versante sociale (a partire dalla risposta alle nuove povertà e a questioni acute come quelle dell’immigrazione) noi assistiamo ad un tradimento vero e proprio dei Comuni che non sanno né come fare i bilanci né come muovere le risorse che hanno. Propongo dunque come prima iniziativa di mobilitazione del Partito una assemblea di mille Amministratori del PD aperta ad Amministratori di ogni orientamento per denunciare il federalismo delle chiacchiere ed affermare quello dei fatti (non si pensi, a cominciare dalla Lega, di poter raccontare qualsiasi favola con noi che stiamo zitti!).
Parliamo adesso di riforme. Preparare l’alternativa vuol dire riprendere l’orizzonte di riforme economiche e sociali e proporre una nostra agenda. Il record di dieci anni di governo di cui Berlusconi si vanta ci ha dato propaganda prossima a mille e riforme prossime a zero. Come nell’emergenza, così nelle riforme, noi partiamo dal lavoro. Il lavoro è il problema numero 1 del Paese, il lavoro deve essere il primo impegno del nostro Partito. Lavoro e impresa. Quando dico lavoro intendo dire lavoro e impresa a cominciare dalla piccola e media impresa. Chiarisco subito che noi avremo un nostro punto di vista e una nostra posizione autonoma in questo campo, così come su tutto l’arco delle riforme, come si conviene ad un grande Partito popolare che riconosce e difende l’autonomia delle forze sociali, sindacali e di impresa e sollecita un confronto con loro a partire però da una sua idea di società e senza essere a rimorchio di nessuno.
Al concreto noi mettiamo al centro
una politica dei redditi contro l’impoverimento dei redditi da lavoro compresa l’esigenza di garantire soglie minime di reddito, di salario e di pensione;
l’allestimento di un percorso largamente unificato e progressivamente garantito per l’ingresso al lavoro dei giovani,
la necessità di uno sguardo di prospettiva sull’impianto del sistema pensionistico alla luce dei suoi effetti sulle nuove generazioni.
Una rivisitazione della legislazione sull’immigrazione e sulla cittadinanza.
Poniamo altresì il tema di una ripersa delle politiche industriali e di ricerca che per noi si riferiscono agli orizzonti indicati dal progetto Industria 2015 e un riorientamento di investimenti e consumi nella chiave dell’economia verde. L’economia verde dovrà essere da qui in poi un motore della crescita, nel campo industriale, dell’edilizia, dei trasporti e delle energie rinnovabili. Abbiamo proposte precise da discutere e chiediamo che non ci si distragga col tentativo illusorio di afferrare qui e ora in Italia un nucleare di terza generazione.
Vogliamo essere il Partito dell’ammodernamento del Welfare, capace di presidiare con una vera cultura di governo (che comprende anche per intenderci la sostenibilità finanziaria) quei beni che non intendiamo affidare al mercato e per i quali pretendiamo un approccio universalistico: salute, istruzione, sicurezza. La nostra valutazione è questa. In questi sistemi assistiamo prevalentemente ad una riduzione e a un degrado dell’offerta, realizzati con violenti tagli lineari e con la predisposizione di battage ideologici, dal grembiule, alle ronde, ai fannulloni e con un approccio ai temi della Pubblica Amministrazione non in chiave di riorganizzazione ma in chiave di richiamo all’ordine. I risultati li vediamo nell’impoverimento dell’organizzazione scolastica e formativa che si scarica su studenti, famiglie, insegnanti e nella condizione di disagio estremo in cui lavorano gli operatori della sicurezza. Decreti e voti di fiducia in tutte queste materie non hanno portato soluzioni, hanno portato problemi. Chiediamo che sia possibile finalmente una discussione nel merito, a cominciare ad esempio dalle nuove norme sull’Università, nelle quali riconosciamo alcune delle nostre indicazioni e che siamo quindi interessati a discutere, con il solo vincolo di una riconsiderazione dei tagli indiscriminati che si sono abbattuti su Università e Ricerca. Il Partito che presidia e ammoderna le grandi tutele sociali e i meccanismi di inclusione e di integrazione è anche il Partito che combatte per l’apertura e la regolazione dei mercati, che si oppone a meccanismi monopolistici, corporativi e di posizione dominante e a meccanismi confusi che agganciano il pubblico agli interessi del privato così come avverrebbe con le norme che si affacciano sui servizi pubblici locali. E’ il Partito, come ho detto più volte, che sta con chi bussa alla porta e non con chi la tiene chiusa e che pretende che il cittadino consumatore e utente sia rispettato, che considera l’equità del carico fiscale un obiettivo di civiltà e ritiene i condoni una vergogna e una iattura.
[ continua ... ]