L'ex segretario tra congresso e caduta di Prodi. "Che amarezza per i sospetti di Romano"
Sul suo addio: "Big gelosi del Circo Massimo pieno per me"di CURZIO MALTESE
Veltroni: "Non tifo per nessuno ma no all'armata Brancaleone"
ROMA - Lo fermano quando torna dal mercato, senza scorta, con le borse della spesa e gli chiedono: "Quando torni Walter?": Sono passati cinque mesi e una stagione politica intera dalle dimissioni di Veltroni. Cinque mesi di silenzio. Questa è la prima intervista dell'ex segretario del Pd. Alla vigilia dell'anniversario del Lingotto, dov'era cominciato tutto.
La prima ovvia domanda è: con chi starà nella lotta per la successione fra Bersani e Franceschini?"Io dirò le mie idee con assoluta nettezza. Ma, come ho detto al segretario del partito, al quale mi lega un rapporto di solidarietà e stima, ho deciso di non parteciperò alla fase interna del congresso. Per me vale quello che ha detto Prodi: game over".
Eravamo già pronti all'ennesimo duello Veltroni-D'Alema."Sono stufo io per primo di questo gioco. Tanto più quando dovesse grottescamente manifestarsi per interposta persona. Si confrontano dirigenti validi, sperimentati. Non hanno bisogno di king maker. Tirarmi fuori anche unilateralmente da questo schema è per me un altro atto d'amore per il Pd".
Secondo lei riprenderà il gioco al massacro?"Il Pd è il futuro dell'Italia, ma a una condizione: che sia davvero il grande partito riformista che questo sfortunato Paese non ha mai avuto. Da più di dieci anni in questo campo politico sono stati divorati leader di livello. Ad uno a uno sono stati eliminati come i dieci piccoli indiani. Questo trasmette l'idea di una forza inaffidabile".
Non tutti hanno capito le sue dimissioni. Tanto più dopo le europee. Il Pd ha quasi festeggiato il 26,1%, un anno dopo aver salutato come una catastrofe il 33,2. Qual era il problema?"Il problema ero io. Per questo mi sono tolto di mezzo. La mia stessa presenza avrebbe pregiudicato il progetto cui ho dedicato la vita politica. In settori del partito era diventato più importante fare l'opposizione al segretario che a Berlusconi. Ho fatto un gesto raro in Italia, dimissioni vere. Senza rancore, anzi per amore. Spero soltanto che ora non riprenda il gioco al massacro".
Quando ha capito di essere diventato un problema per i big del Pd?"Paradossalmente, nel giorno più bello, il giorno del Circo Massimo. Ero commosso. Avevo davanti una marea di persone con un'unica bandiera. La prima volta di un'opposizione riformista in piazza. I sondaggi ci avevano riportati al 30%. Ma con la coda dell'occhio vedevo alle mie spalle il palco dei dirigenti, alcuni non avevano la faccia della festa, ma l'espressione di chi ha appena perso un congiunto. Era un successo di tutti, ma lo vedevano come un successo mio e avrebbero preferito un fallimento. Quel giorno ho capito che sarebbe stato un calvario per il Pd".
E il calvario è arrivato. Che cosa l'ha amareggiata di più?"Dopo quella manifestazione ci sono stati in tv i foglietti con i suggerimenti agli esponenti del Polo, le candidature a segretario senza ancora il congresso, la totale assenza di solidarietà sulla sconfitta in Abruzzo. Avevano arrestato mezza giunta e farne carico ai nuovi dirigenti del Pd è stata un'ingiustizia".
Cosa pensa di Prodi che in tv ha detto che lei aveva fatto cadere il suo governo?"Mi addolora non che Romano l'abbia detto in tv, ma che lo pensi. A parte la stima, l'affetto, ma perché avrei dovuto farlo? Avrei avuto tutto da guadagnare con un anno in più. Il fatto è che quella maggioranza non si reggeva. C'erano stati i ministri in piazza contro il proprio governo, a ogni votazione al Senato eravamo nelle mani di un Rossi o un Turigliatto. E dove sono oggi Dini e Mastella? Col centrodestra. In tutto questo, la battuta di Prodi m'è parsa almeno ingenerosa. Ma lasciamo perdere il passato, torniamo al presente".
Il presente ripropone il passato. A cominciare dalle alleanze. Visto che il Pd è sceso al 26% e Di Pietro dà qualche problema, l'ala dalemiana pensa di ripartire dai cocci dell'Unione. Non è realpolitik?"Ma davvero c'è chi pensa di ripresentarsi con un'armata Brancaleone da Cuffaro a Ferrero? Si vede che la storia non insegna nulla. Ma non voglio partire da qui. Piuttosto dalla fine di Berlusconi".
Berlusconi è alla fine, secondo lei?"Vicino alla fine, sì. Non da ora, non per gli scandali. Ha fallito. Governa da nove anni, con in mezzo i venti mesi di Prodi, e il Paese sta molto peggio che nel 2001. Gli indicatori economici sono i più critici dell'Occidente. Nella crisi, ha dimostrato per intero la propria inadeguatezza. Per questo io penso che finirà presto, non per Noemi o le altre. Il Paese vive male ed è pure stufo di sentirsi dire che non è vero. E' disorientato, confuso. Per fortuna che al Quirinale c'è un uomo come Napolitano".
E una volta caduto Berlusconi?"Gli italiani volgeranno lo sguardo dall'altra parte. In cerca di novità, non di armate Brancaleone. Dopo Berlusconi non ci sarà bisogno soltanto di un nuovo governo, ma di un grande ciclo riformista. L'Italia ne ha conosciuti solo due: il centrosinistra dal '63 e il primo governo Prodi. Ho sempre pensato che se quel governo avesse potuto finire il mandato, la storia del nostro Paese sarebbe cambiata nel profondo. E ho sempre pensato che il Pd non fosse altro che l'Ulivo diventato partito. L'Ulivo, un'alleanza di riformisti, con una visione chiara del Paese, alternativa a quella della destra. Non l'Unione, ch'era soltanto un cartello elettorale".
Sarebbe vero se il 33% del suo Pd fosse stato un punto di partenza. Ma pare che si trattasse di un exploit irripetibile."Ma come, già ci rassegniamo? Il Pd doveva nascere dieci anni prima, ma l'hanno impedito perché era un'idea troppo "americana", poco in linea con la tradizione socialista europea. Ora che il socialismo europeo è ridotto com'è ridotto, gli stessi profeti di allora annunciano che bisogna buttare a mare l'idea stessa di una grande forza riformista del 33-35 per cento, che avevamo realizzato in un solo anno di lavoro, pere tornare all'armata Brancaleone, ai vertici con dodici leader. Significa uccidere il progetto Pd. Io rimango dell'idea che un vero Pd può essere fra il 35 il 40% e che solo così si potrà aprire in Italia un ciclo riformista. Ma per far questo bisogna parlare meno di sé stessi e degli stati maggiori degli altri partiti e bisogna entrare nelle case degli italiani, avere l'umiltà di usare la lingua della loro vita e dei loto problemi".
Che cosa dovrà fare il prossimo segretario del Pd?"Dire cose nuove sui problemi sui quali sta franando il consenso della sinistra in Europa, a cominciare dalla sicurezza e dal nuovo welfare. Dico subito che la posizione di Penati o Chiamparino sul primo tema o quella di Ichino sul secondo mi paiono forti e convincenti. Impegnarsi ad affrontare emergenze nazionali, l'evasione fiscale e la corruzione, che non sono battaglie né di destra né di sinistra, ma di sopravvivenza".
Per la propria sopravvivenza, che cosa dovrà fare?"Far avanzare una nuova generazione. Ci sono tante risorse splendide, tanti nomi nuovi di dirigenti e amministratori, qualcuno già molto popolare. Creare un gruppo compatto, entusiasta. Blindarsi così dai segatori di rami, che nel centrosinistra rimane l'occupazione più diffusa".
(27 giugno 2009)
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