Due giorni fa è morto un ragazzo. In un letto d'ospedale.
Anagraficamente non era più un ragazzo. Io lo conoscevo bene.
Negli anni '70, gli anni di piombo, era un adolescente, io un poco più grande.
Era un ragazzino, con la faccia da pupo, gli occhi ridenti e una massa di capelli ricci.
Abitava in un quartiere "nero" e frequentava un giro di pariolini, ragazzi di destra, per i quali la politica era un'avventura e una scommessa, un gioco tra camerati, Golf GTI, corse in una villa o l'altra del Circeo o di Punta Ala.
Ragazzi per i quali non era un affare di ideologia, e tanto meno lo era per lui, che di questa parola non sapeva nemmeno il significato.
Quel ragazzino, come fosse un gioco, si ritrovò a partecipare a spedizioni, pistola e bombe nel bagagliaio, coltelli e complotti senza senso. Un gioco più grande, e molto più vecchio, di lui.
All'improvviso, una sera, il gioco si trasformò in tragedia. La fuga, la galera, le botte.
Qualche anno dopo si ritrovò pulito e riuscì perfino a imboccare una carriera di quelle buone, grazie all'aiuto della famiglia.
Percorse quella carriera sempre con la faccia da bambino, il sorriso disarmante e a mano a mano con qualche capello in meno.
Ma quel periodo di bombe e di corse, di galera e di botte, l'avevano segnato e spezzato, là dove la frattura non si sente nemmeno - o forse era storia già scritta.
Droga, depressione, e due giorni fa la fine.
Una delle vittime fuori tempo degli anni di piombo, se qualcuno cercasse un colpevole.