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Dicono..

Il futuro del PD si sviluppa se non nega le sue radici.

Dicono..

Messaggioda ranvit il 19/02/2009, 13:42

Dice Severgnini

IDal corriere.it :

TALIANS
Volti nuovi nel Pd: la lezione di Stuart Mill
di Beppe Severgnini

La BUR (Biblioteca Universale Rizzoli) ha festeggiato ieri i 60 anni con un bell'incontro milanese a Villa Necchi Campiglio (hanno sempre un certo fascino, queste case popolari). Sparse sui tavoli, molte colorate riedizioni invitavano al furto amichevole. Prendo «La libertà» (On Liberty, 1858) di John Stuart Mill. Apro e leggo una frase: «Il dispotismo della consuetudine è ovunque una barriera eretta contro il progresso umano». Perfetta per il Partito Democratico. Ma lo capirà? Le dimissioni di Veltroni, ridotto a un puntaspilli dagli amici, hanno aperto il consueto psicodramma.

Tutti contro tutti, sperando di raccattare qualcosa nel caos. Assemblea costituente! Congresso! Segretario di transizione! La faccenda potrebbe essere divertente, non fosse per un particolare: una democrazia ha bisogno di un'opposizione. La democrazia italiana, oggi, più delle altre. Cos'è, oggi, il PD Profondamente Depresso? Popolo Dimissionario? Pasticcione Dilettante? Perso in Discussioni? Occorre un leader, capace di spiegare, spingere e far sognare. E occorre un programma. A tutt'oggi non è chiaro se il partito voglia a) sostenere milioni di giovani precari, sballottati come aquiloni in un tornado b) velocizzare la giustizia, della cui goffaggini approfitta la criminalità d'importazione c) introdurre il testamento biologico d) cambiare questa scandalosa legge elettorale. Quattro temi, ma ce ne sono altri quaranta in cui i dalemiani dissentono dai parisiani, che contestano i lettiani, che s'oppongono ai veltroniani, che scrutano dai fassiniani, che sospettano dei bindiani, che litigano con teodem, laici e rutelliani.

Qualcuno invoca il ritorno di Prodi. Amen. La destra ha un padrone, che ha i mezzi (carismatici, politici, economici, televisivi) per imporre la sua volontà. La sinistra deve trovare un comandante. Se è inesperto, ha bisogno d'un tifone per guadagnarsi il rispetto dell'equipaggio. Bè, il tifone è servito: dopo il Friuli e la Sardegna, arrivano le europee e le amministrative. Ne potrebbe uscire un leader - insospettabile, oggi - capace di far sembrare l'avversario antico e ripetitivo.

E' questa l'unica cosa di cui Berlusconi ha paura. L'infanticidio (politico) di Illy e Soru lo dimostra. Dove può sceglierlo, il Pd, questo capo? Risposta: primarie vere, dovunque. Partito scalabile: ogni candidato presenti un programma di una facciata (formato A4) e dica cosa vuol fare. Non corrano i Rutelli e i D'Alema: hanno già avuto, già perso, già dato. Corrano i Renzi (Firenze) e i Chiamparino (Torino), corrano i Letta e i Bersani, corrano i nuovi, gli esterni e gli sconosciuti. Se un novellino come Obama è diventato presidente degli Stati Uniti, e i conservatori britannici si sono affidati a baby Cameron, perché una giovane donna o un neo-politico non possono guidare un partito in un Paese medio dell'Europa del sud? Se votate a sinistra e tutto ciò vi sembra ingenuo, preoccupatevi. Vuol dire che avete già perso. Un'altra volta, intendo.

http://www.corriere.it/italians
http://www.beppesevergnini.com
19 febbraio 2009
Il 60% degli italiani si è fatta infinocchiare votando contro il Referendum che pur tra errori vari proponeva un deciso rinnovamento del Paese...continueremo nella palude delle non decisioni, degli intrallazzi, etc etc.
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Dice Battista

Messaggioda ranvit il 19/02/2009, 13:52

Dal corriere.it :

INTELLETTUALI E SINISTRA
Il blocco mentale


di Pierluigi Battista


Nel 2002, a un anno dalle elezioni perse contro Berlusconi, la sinistra stordita e sopraffatta dalla sindrome della sconfitta consegnò agli intellettuali girotondisti la missione di riaccendere lo spirito della grande battaglia contro il «Caimano»: fu l’inseguimento affannoso del radicalismo estremista, il rifugio nella sfera onirica della guerra totale contro il nemico. La sinistra riconquistò voti e tensione emotiva fino alla risicata vittoria del 2006.

Ma quella fiammata, come i fatti si sono incaricati di dimostrare, era destinata a spegnersi nel peggiore dei modi. Oggi, a un anno dalla sconfitta del 2008 e dopo un’impressionante sequenza di rovesci culminata nella disfatta sarda e nella crisi devastante del Pd, la sinistra potrebbe trarre una salutare ispirazione da un altro intellettuale, un sociologo lontanissimo dalla tipologia girotondista ma che non ha mai nascosto la sua appartenenza alla cultura della sinistra: Marzio Barbagli. Nell’intervista rilasciata a Francesco Alberti per il Corriere, Barbagli racconta di una formidabile lotta tra i suoi «schematismi» culturali e i dati della realtà che lo hanno costretto, sul tema della criminalità connessa all’immigrazione, a rivedere drasticamente le proprie «ipotesi di partenza».

«Non volevo vedere », confessa con cristallina onestà intellettuale Barbagli, «c’era qualcosa in me che si rifiutava di esaminare in maniera oggettiva i dati sull’incidenza dell’immigrazione rispetto alla criminalità. Ero condizionato dalle mie posizioni di uomo di sinistra. E quando finalmente ho cominciato a prendere atto della realtà e a scrivere che l’ondata migratoria ha avuto una pesante ricaduta sull’aumento di certi reati, alcuni colleghi mi hanno tolto il saluto». Il racconto di Barbagli riassume con grande pathos espressivo il senso di un percorso sofferto: «ho fatto il possibile per ingannare me stesso»; «era come se avessi un blocco mentale ».

Fino alla conclusione catartica, ma malinconica e solitaria: «sono finalmente riuscito a tenere distinti i due piani: il ricercatore e l’uomo di sinistra. Ora sono un ricercatore. E nient’altro». La conclusione di Barbagli segna il dramma della sinistra italiana che si strazia nel vortice delle ripetute sconfitte. Il suo bagno nella realtà, il suo immergersi nei dati empirici per capire che cosa si muove nella società italiana senza essere percepito dagli occhiali deformanti del politicamente corretto, sanciscono un divorzio tragico tra il «ricercatore» e «l’uomo di sinistra». La sinistra lamenta ritualmente il proprio distacco dalla realtà, il proprio ripiegarsi autoreferenziale in una retorica incomprensibile al «vissuto » della società come realmente è e pensa.

Ma per lasciarsi «assalire dalla realtà », come usava dire tra i liberal americani sommersi dall’ondata culturale neoconservatrice, deve impegnarsi per ricomporre la frattura esistenziale raccontata da Barbagli. Deve dimostrare che tra la «ricerca » e la sinistra, tra i «dati» e il discorso dominante nei suoi circuiti autisticamente chiusi in se stessi non c’è guerra o alterità, e che per risollevarsi occorre disfarsi del «blocco mentale» che l’ha paralizzata in questi anni, precludendosi ogni comunicazione con ciò che sta fuori di essa. Scegliere Barbagli e non chi gli «ha tolto il saluto». La realtà e non i sacerdoti di una «correttezza» politica sempre più vuota.

19 febbraio 2009
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Dice Paolo Franchi

Messaggioda ranvit il 19/02/2009, 13:52

Dal corriere.it :

Serve più coraggio, congresso subito
Non è questo il partito che sognavo da una vita, e la colpa è in primo luogo mia, dice Walter Veltroni nel giorno dell'addio: non si può che dargli atto di una dignità del tutto ignota a molti protagonisti e comprimari della nostra politica. Ma, al di là dei suoi limiti e dei suoi errori, il problema non è solo né soprattutto Veltroni. Il problema è il Partito democratico.

Chi scrive, come forse qualche lettore ricorderà, non ci ha mai creduto; e ha sempre pensato, e detto, e scritto, che sia nato male e cresciuto peggio, senza un'anima e senza un'intuizione dei tempi e del mondo prima ancora che senza identità, senza valori comuni e senza regole condivise. Veltroni, che ci credeva fin dalla svolta con cui nel 1989 Achille Occhetto pose fine al Pci, ha fatto, seppure a giorni alterni, quanto sapeva e poteva per dargliele. Adesso si appella ai suoi, cui pure non troppo larvatamente rimprovera di non averlo sostenuto, o peggio di essersi preoccupati soprattutto di logorarlo, perché portino avanti l'impresa.

Con tutta la stima e tutto il rispetto di questo mondo, è lecito dubitare che ci creda più di tanto. E si capisce. Del Pd, nel bene e nel male, Walter era il leader naturale, e non solo perché tre milioni e passa di persone lo avevano incoronato nelle primarie: questa è stata la partita della sua vita. Per la gran parte dei maggiorenti del partito, invece, a cominciare da quelli che, pur senza apprezzarlo più di tanto, un paio d'anni fa bussarono alla sua porta per indurlo a gettarsi subito nella mischia, vale un discorso molto diverso, ex diessini o ex margheritini che siano: il Pd, più che sognato, lo hanno subìto, o in ogni caso vi si sono acconciati senza troppi entusiasmi e con molte riserve. «Indietro non si torna», come ha sintetizzato ieri sera il titolo d'apertura del Tg3, rieditando inconsapevolmente un antico slogan del Pci? Sì, Veltroni ha detto più o meno questo.

Ma in realtà, anticipando un'uscita di scena che in tanti avrebbero voluto rinviare all'indomani delle elezioni europee, ha di fatto restituito la parola a questi stati maggiori, al momento peggio che squinternati, caricandoli di una pesantissima responsabilità politica: non ci sono più io a fungere da schermo e da parafulmine, adesso tocca a voi dire se, e come, e con quale leadership, pensate di restare insieme per proseguire, spes contra spem, questa avventura. Altrimenti, trovate il coraggio di proclamare con tutta la solennità e la drammaticità necessarie, e pagando i prezzi del caso, che considerate ormai impossibile convivere sotto lo stesso tetto, e separatevi, sempre che sia ancora possibile, magari non proprio consensualmente, ma almeno senza scannarvi.

Terze vie non ce ne sono, o meglio ce n'è una soltanto, quella che porta dritto a un'implosione dagli effetti devastanti, primo tra tutti il venir meno per chissà quanto tempo in questo Paese a qualcosa che somigli a una sinistra, a un centrosinistra, a un'opposizione democratica. Non sapremmo dire se questo sia esattamente il pensiero di Veltroni, ma questo è il messaggio che le sue dimissioni consegnano (un tempo si sarebbe detto: oggettivamente) al Pd, o a quel che ne resta. Ne derivano, o ne dovrebbero derivare, almeno due conseguenze.

La prima, con tutta la considerazione per Dario Franceschini, è che non sembra proprio il caso di perdere tempo nominando reggenti e rinviando il confronto, o lo scontro, e insomma il congresso, al prossimo autunno, come (pare) sarà chiamata a decidere, sabato, l'assemblea nazionale del partito, quasi che il Pd, alle elezioni di primavera, potesse permettersi di andare allo sbando: certo, i tempi tecnici di un congresso sono quelli che sono, ma ci sono frangenti in cui la volontà politica e, se è ancora lecito citarla, la passione politica, sempre che ci siano, devono trovare la strada per imporsi.

La seconda, ma non in ordine di importanza, è che il confronto, o lo scontro, e insomma il congresso, non si svolga per procura, ma veda in campo con le loro idee, con i loro programmi, con i loro sì e i loro no (sempre che ne abbiano) i protagonisti veri della contesa, quelli che sono su piazza da decenni come, se esistono, quelli cresciuti magari a nostra insaputa in questi anni, chiamati a far capire alla loro gente e all'opinione pubblica di che pasta è fatto il «nuovo » di cui sono portatori. Tutto questo il Pd, chiamato bruscamente a stabilire se ha un futuro o se la sua storia è malamente terminata prima ancora di cominciare, lo deve in primo luogo a se stesso e alla sua gente. Ma non è retorica segnalare che lo deve pure a quella democrazia italiana di cui voleva essere la principale forza di rinnovamento.

Paolo Franchi
19 febbraio 2009
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Sondaggio del Corriere

Messaggioda ranvit il 19/02/2009, 13:57

Walter Veltroni si è dimesso. Chi vorresti alla guida del Pd?

Un candidato nuovo 22.9%
Pierluigi Bersani 14.3%
Renato Soru 10.1%
Anna Finocchiaro 9.1%
Massimo Cacciari 6.9%
Rosi Bindi 5.0%
Sergio Chiamparino 4.9%
Enrico Letta 4.8%
Massimo D’Alema 4.3%
Sergio Cofferati 3.7%
Romano Prodi 3.7%
Matteo Renzi 1.9%
Nicola Zingaretti 1.6%
Paola Binetti 1.6%
Mercedes Bresso 1.4%
Piero Fassino 1.3%
Dario Franceschini 1.2%
Francesco Rutelli 0.7%
Franco Marini 0.4%
Arturo Parisi 0.3%
Numero votanti: 30492
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Interessante!
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Sondaggio di repubblica

Messaggioda ranvit il 19/02/2009, 14:01

POLITICA
IL NUOVO SEGRETARIO DEL PD Dopo le dimissioni di Veltroni, chi potrà guidare, secondo voi, il partito?

Un nome nuovo (17552 voti) 21%

Pierluigi Bersani (16133 voti) 19%

Rosy Bindi (3260 voti) 4%

Mercedes Bresso (1658 voti) 2%

Massimo Cacciari (3950 voti) 5%

Sergio Chiamparino (3744 voti) 5%

Sergio Cofferati (4005 voti) 5%

Gianni Cuperlo (854 voti) 1%

Massimo D'Alema (3255 voti) 4%

Piero Fassino (836 voti) 1%

Anna Finocchiaro (8633 voti) 10%

Dario Franceschini (843 voti) 1%

Enrico Letta (2318 voti) 3%

Franco Marini (266 voti) 0%

Giovanna Melandri (729 voti) 1%

Arturo Parisi (264 voti) 0%

Matteo Renzi (1625 voti) 2%

Francesco Rutelli (645 voti) 1%

Renato Soru (9901 voti) 12%

Nicola Zingaretti (2324 voti) 3%

82795 voti alle 12:57. Sondaggio aperto alle 09:48 del 18.02.2009
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Abbastanza simili sondaggi!
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