da pierodm il 24/02/2009, 19:21
Mi capita spesso di ascoltare Angelo Mellone, per radio: giornalista, amico di Gianfranco Fini, dichiaratamente fascista, è un uomo intelligente e garbato.
Con il suo garbo - e con una buona dose di riferimenti culturali - si distingue dalla rozzezza di un Gasparri, ma alla fine i suoi discorsi vanno tutti a finire lì: l'egemonia culturale della sinistra fatta di falsi miti e parole d'ordine, il buonismo, la falsità della superiorità morale della sinistra, la puzza sotto al naso, e via cazzeggiando.
Il guaio è - sia detto tra parentesi - che alla stessa radio, cinque minuti prima e cinque minuti dopo, spesso telefonano e interloquiscono ascoltatori dichiaratemente di destra, che nove volte su dieci sono un grumo d'ignoranza, di maleducazione e di stronzaggine.
Ma per altri versi - cioè quando si parla in particolare di qualcuno dei personaggi di quella "egemonia culturale" - Mellone, da uomo colto e non sprovveduto, è molto più cauto, e anzi spesso non può fare a meno di riconoscerne le qualità intellettuali o artistiche, delle quali parla con grande competenza.
Ecco, io credo che Vittorio somigli molto più a Gasparri che al fascista Mellone.
Il suo post è il tipico esempio di quando, arrivati al fondo, si continua a scavare.
Giulio Verne dice, in un suo romanzo: gl'ignoranti non si limitano a non sapere, ma sanno ciò che non è ... e intorno alla luna la sapevano lunga .
Vittorio non conosce Pasolini e nemmeno De André, ma su Pasolini e su De André la sa lunga - e ci tiene pure a condividere la sua ignoranza con noi.
Se la sua stravaganza si limitasse a lui stesso, e basta, lo lascerei andare per conto suo, e chissenefrega.
Ma il fatto è che lui e persone come lui stanno dentro quest'ultimo residuo di partito che ha su di sé la responsabilità di rappresnetare sulla scena politica metà dell'elettorato. E che certe sue affermazioni rischiano di mettere fuori strada i tanti che appartengono alle generazioni più recenti, che questa roba la sentono ripetere fin troppo in questi anni e potrebbero cominciare a pensare che le cose stiano davvero così.
Pasolini non è mai stato un "mito" per nessuna forza organizzata, e tanto meno per un partito, e tanto meno poi per il PCI.
Troppo scomodo e troppo anticonformista - e troppo poco politico: lui stesso teneva moltissimo a dichiararsi un "artista", ben diverso perfino dai politici in pectore quali sono i sociologi.
I suoi scontri, violentissimi, con uomini dell'apparato del Partito sono praticamente un cult: da ricordare tra tanti quello con Maurizio Ferrara, padre di Giuliano, all'epoca direttore dell'Unità.
Se Pasolini fu mito, lo fu semmai di quelli ai quali insegnava a guardare alla realtà con occhi sgombri da risonanze di partito, senza pietismi e senza calcoli ideologici, e ad avere il coraggio di prendere posizione senza contare quanti compagni ci stanno al fianco: questa era la sua idea di "essere un intellettuale", oltre che una persona di sinistra, un "comunista". Per la nomenklatura di partito, semmai, un mito da demolire e da esorcizzare.
Più brevemente, Pasolini è stato uno degl'intellettuali più importanti del '900 italiano.
De André, più di Pasolini distaccato da un'identificazione di partito e di schieramento politico.
Non solo perché la musica è di per sé meno legata a idee catalogabili, di quanto non lo sia la letteratura, la poesia o la filologia, ma perché era soprattutto un anarchico. Un poeta della pietà e della libertà.
Fabrizio De André è stato quanto di più lontano si possa immaginare da un uomo riducibile ad un partito o ad uno schieramento politico: solo i fascisti più imbecilli, e più gretti, hanno potuto fare confusione, e solo nei momenti di volantinaggio politico, così come sono abituati da sempre a chiamare "comunista" chiunque abbia sentimenti umanitari, che sia contro la pena di morte, contro la discriminazione razziale, contro l'ipocrisia dei benpensanti, contro chi insomma sia una persona civile.
Pasolini e De André sono (stati) amati e mitizzati da un'intera generazione, o forse anche due o tre: fortunatamente, non tanto per loro, quanto per chi li ha amati.
Non tutti di quelle generazioni erano di sinistra, e non tutti hanno saputo fondere gli amori intellettuali e sentimentali con le scelte politiche - per colpa grave della politica.
Laddove la fusione era impossibile, c'è chi ha scelto la poesia e chi ha scelto la politica, come spiraglio da cui guardare il mondo.
Dopodiché, anche Gasparri sopravvive benissimo, e fa pure il ministro.