pierodm ha scritto:Il concetto di politica industriale non mi sembra così etereo o così stravagante.
Un governo, un partito politico, non può non avere un'idea di quale tipo di economia produttiva sia buona per la nazione - fosse anche l'idea che tutto dev'essere demandato al Mercato: anche questa è una scelta di politica industriale, anche se non penso che ci siano stati ocidentali in cui il governo non abbia emanato regole e non abbia individuato un indirizzo di massima nei confronti del mercato stesso, degli insediamenti industriali, il credito, e tutto quanto concerne il settore - a prescindere dall'erogazione di finanziamenti e incentivi.
Sicuramente la democrazia cristiana aveva idee precise sul fatto che si producessero o meno dei preservativi ma il mercato aveva idee diverse. Il problema del "buono per la nazione" è quello che corrisponde alla domanda delle 100 pistole. Chi stabilisce cosa è buono per la nazione? Il problema non è l'indirizzo: chiunque abbia potere puo' in effetti indirizzare .... ma non è garantito che l'indirizzo sia "buono", che non sia fuori tempo, che non sia dettato da interessi privati o da visioni ideologiche (vedi DC e preservativi).
Il problema è perché indirizzare. E che risultati ci attendiamo.
Coi tempi lunghi della politica, ogni intervento è fuori tempo, stonato, crea un solo vantaggio ma anche 20 danni imprevisti.
Il concetto di politica industriale era assodato 40 anni fa. Oggi invece è fuori dalla storia.
Il che non vuol dire affatto che in Italia, dove il lavoro e lo sviluppo economico sono latitanti assai piu' nascosti ed introvabili del mafiosi e dei camorristi storici, che non serva un ministro dello sviluppo economico.
Serve ma solo per individuare tutti e 100'000 i passi indietro che lo Stato deve fare, come regolamentatore, normatore, irrigidimentatore. Questo in decine di settori dai trasporti ai servizi, dalle professioni alle tariffe. La Svezia è piu' liberalizzata di noi e lo stesso dicasi per i paesi dell'ex-cortina di ferro.
Franz