E il partito così a cosa serve? A piantarci i fiori?
http://www.huffingtonpost.it/luca-di-ba ... _ref=italyUn partito per piantare fiori
Pubblicato: 01/07/2013 13:32
Diciamoci la verità: chi programmaticamente punta a separare le due cariche immagina un partito che non si candida a cambiare il paese ma ad esistere per il fatto stesso di esistere ed occupare potere. In questo senso il partito di Barca e Rossi non è uno strumento della politica (e quindi soggetto a mutamento, e in qualche caso persino a morte) ma un fine.
A leggere la valanga di dichiarazioni che da settimane arrivano sul congresso Pd c'è da farsi due domande. La prima è: se lo statuto era da cambiare perché non è stato fatto nei tre anni e passa nei quali Bersani ha avuto saldamente in mano l'assemblea nazionale e il Pd? La seconda è: ma che idea di partito hanno in mente se per loro la funzione di segretario e quella di candidato premier vanno separate con un colpo di spada?
Veniamo alla prima questione: lo statuto ha subito durante gli anni della segreteria Bersani alcuni cambiamenti che corrono tutti su una stessa linea. Il primo avvenne nel 2010 (con la regia di Migliavacca) quando si immise la possibilità di primarie di coalizione per la premiership. Questo non c'era neppure in ipotesi del Pd nato nel 2007, tanto è vero che quando nel 2008 si formò una coalizione stretta con l'Idv non fu messa in alcun modo in discussione la candidatura di Veltroni in quanto segretario del Pd e neppure che il programma di governo fosse quello elaborato dai democratici.
Insomma l'idea di un partito a vocazione maggioritaria che costruisce "intorno a se" anche possibili alleanze elettorali. La vittoria di Bersani al congresso del 2009, era politicamente giocata sull'idea di un partito che rappresentasse un campo e che cercasse programmaticamente alleanze elettorali per governare (o anche alleanze post elettorali). Per questo l'idea di primarie di coalizione sul modello dell'Unione venne ritirata fuori. Ma non venne invece toccato lo statuto nella parte che oggi si vuole cambiare perché anche Bersani sapeva bene che questa separazione avrebbe indebolito tutti, sia il segretario del Pd (ridotto a fare come dice Barca "il coordinatore dei democratici americani") sia il possibile candidato premier che avrebbe avuto nel segretario del Pd una sorta di "alleato" o meglio di alleato-concorrente come ai tempi della prima repubblica quando si parlava di delegazioni di ministri appartenenti a un partito (che qualche volta avevano persino un coordinatore, ovvero un antipremier). In sintesi: quello che non andava bene ai tempi di Bersani diventa improvvisamente indispensabile e persino naturale oggi.
E non si venga a parlare della candidatura di Renzi resa possibile nell'ottobre 2012 con una modifica dello statuto perché la modifica non riguardava in alcun modo l'unitarietà tra segretario e candidato premier ma la possibilità che ci fossero altri candidati del Pd (oltre al segretario che era candidato di fatto) in primarie di coalizione. E' nelle primarie di coalizione, insomma, che risiede questa possibilità. E se il Pd sceglierà di fare primarie di coalizione la prossima volta (mi auguro di no) ci saranno possibili candidati del Pd in aggiunta al segretario.
Ma l'altro tema è nell'idea di partito di chi programmaticamente punta a separare le due cariche. Un partito che non si candida a cambiare il paese ma ad esistere per il fatto stesso di esistere ed occupare potere. In questo senso il partito non è uno strumento della politica (e quindi soggetto a mutamento, e in qualche caso persino a deperire e morire) ma un fine.
Chi ha in mente tutto questo ragiona come se il Pd fosse un partito identitario del Novecento e non un partito riformista e valoriale capace di cogliere domande profonde da cittadini che hanno idee e culture politiche anche distanti da quelle di sinistra. Ragiona come se il Pd fosse il quarto acronimo del Pci e come se esso incarnasse nelle forme moderne la strategia togliattiana (e berlingueriana) dell'incontro tra (post)comunisti e (post)democristiani. Per questo il segretario viene dipinto come un uomo che "si dedica" alla cura del partito e che quindi non ha neppure voglia di occuparsi del governo e del cambiamento dell'Italia.
Così siamo arrivati all'assurda polemica di Rossi contro Renzi, il quale ha il "torto" di dire che lui vuole cambiare l'Italia e non il partito e si sente rispondere che "considera il partito come un taxi". E, nei casi migliori, si fa l'occhiolino a Renzi dicendogli: va bene tu ti occuperai del governo ma il partito lascialo a noi.
E il partito così a cosa serve? A piantarci i fiori?
Il 60% degli italiani si è fatta infinocchiare votando contro il Referendum che pur tra errori vari proponeva un deciso rinnovamento del Paese...continueremo nella palude delle non decisioni, degli intrallazzi, etc etc.