da pierodm il 10/09/2010, 15:54
Flavio - Ci si potrebbe chiedere se questo genere di selezione per cooptazione... sia degna - o per lo meno coerente - di un partito che si definisce progressista, sia che rinunci (come il PD) o meno (come DS e PDS) alle propri radici socialiste.
No, certamente non è degna, almeno non lo è secondo ciò che la gran parte di noi identifica con il socialismo e la democrazia.
In realtà sia i tanti partiti socialisti sparsi nel mondo, sia gli altri partiti sono degli organismi che spesso (anzi, quasi sempre) hanno un funzionamento interno che non ha un rapporto ben chiaro e diretto, e tanto meno coerente, con ciò che pretenderebbero di essere.
Per inquadrare il fenomeno bisognerebbe studiare i vari soggetti politici (ma non solo politici, anche aziendali) proprio nella loro veste che ho accennato: organismi, che obediscono alle leggi che presiedono qualunque struttura complessa nella quale si esercita un potere.
Non saranno proprio dei meccanismi legati alla paura ad aver generato una modalità così conservativa, nel principale partito di sinistra, di selezione della classe dirigente? Paura inconscia di un'insicurezza sociale crescente, tanto da far ritenere che ogni cambiamento potesse essere foriero di un peggioramento, vista anche l'arroganza e l'aggressività della destra
Volendo sintetizzare e trovare un'immagine, potremmo anche definirla paura, salvo specificare cosa ci mettiamo dentro a questo concetto.
Però io non credo che si tratti di paura, anche perché - come l'invidia - la paura la vedo come un atteggiamento individuale, o - se collettivo - più tipico di una folla in fuga, o di un sentimento popolare legato gl'istinti: insomma, assai poco adattabile ad un partito, a meno che per "partito" s'intenda la sua base elettorale, il che ci fa tornare agl'istinti popolari e alla psiclogia di massa.
Io credo che si tratti invece di un'omissione dalle radici piuttosto lunghe: una sinistra che ha mancato di prendere coscienza (come invece aveva fatto la sociologia e la filosofia politica) delle trasformazioni sociali degli ultimi trent'anni, e ha continuato a ritenersi proiettata nel futuro, nel progresso, insomma destinata a vincere quella che riteneva una battaglia di prima linea, quando in realtà si trattava della guerra precedente ormai finita.
Da qui l'impressione "conservatrice".
In realtà, io penso che le cose siano ancora più complicate, perché in questo conservatorismo c'è solo una parte assai modesta di fattori e valori realmenti obsoleti (o che meritano di essere considerati tali), mentre la gran parte sono valori che meritano di essere conservati e difesi.
Quindi, direi che l'omissione riguarda soprattutto una deficienza di rinnovamento, ossia l'incapacità o la trascuratezza nel ridefinire le nuove forme sia dei problemi, sia dei valori, sia dei soggetti della "vecchia politica" e della società.
In particolare, la sinistra - nonostante la grande quantità e qualità di studi e di approfondimenti sul tema, in tempi assolutamente utili - ha mancato di aggiornare la propria visione politica in relazione alla democrazia di massa, e la democrazia di massa l'ha fregata: quando, dopo tangentopoli, la sinistra si è ritenuta ad un passo dalla vittoria, ovvero ad un passo dal poter dimostrere tutto il proprio valore, si è scoperta afona e incapace di farsi ascoltare, e ha scoperto che tutto il tesoretto di valori che pensava di possedere era fuori corso.
La democrazia di massa e la società consumistica e della comunicazione globale erano un realtà assai diversa, e inconciliabile, con la politica umanistica che nel bene e nel male era propria dei vecchi partiti, del "vecchio" mondo uscito dalla seconda guerra mondiale.
Il problema è che il "nuovo" è costituito per la gran parte dai fenomeni e dai valori (o disvalori) della democrazia di massa, post-industriale e ormai anche post-consumistica.
Per una sinistra che non si è aggiornata a tempo debito, il compito sarebbe quello di dover fare non uno solo, ma due gradini evolutivi tutt'insieme.
Difficile anche per gente brava.