flaviomob ha scritto:Infatti io stavo descrivendo un quadro "patologico", che più che riguardare singole aziende mi pare rappresentare l'intero sistema-paese. In Italia esiste un buon numero di "organizzazioni" (aziende, pubblico impiego et similia) che non premiano l'impegno ma piuttosto la raccomandazione (o il leccaculaggio, o l'appartenenza politica) e contemporaneamente esiste quell'astio di cui parlava bidellissimo, che evidentemente ha registrato un dato reale e non se l'è inventato.
Ok, d'accordissimo. Allora ripartiamo da qui. Il quadro è patologico e dopo anamnesi e diagnosi occorre una prognosi.
Ogni tanto vado a vedermi le definizioni di certi termini su wikpedia. Ecco cosa trovo sotto al voce meritocrazia.
http://it.wikipedia.org/wiki/Meritocrazia
La meritocrazia è una forma di governo dove le cariche amministrative, le cariche pubbliche, e qualsiasi ruolo che richieda responsabilità nei confronti degli altri, è affidata secondo criteri di merito, e non di appartenenza lobbistica, familiare (nepotismo e in senso allargato clientelismo) o di casta economica (oligarchia).
Parliamo solo di pubblico impiego (è una crazia) mentre in aziende mettere al cento il merito e la competenza non implica per forza una "crazia".
Ora puo' darsi (anzi sono assolutamente sicuro) che le forme di meritocrazia introdotte nel pubblico impiego italiano siano carenti e sbagliate (si puo' fare in mille modi, moltissimi dei quali inadatti o sbagliati) ma il concetto di una amministrazione della cosa pubblica basata sul merito è giusto e spero che questo non si discuta.
Magari si discute di quale merito e di come misurarlo e su chi deve misurarlo. Ci sono vari sistemi ma è solo provandoli che si possono migliorare. Non esiste scienza infusa ma solo il confronto con chi ha già fatto queste cose nel mondo.
Il fatto che la logica del merito valga solo nell'industria (o in senso lato nel mondo del lavoro privato) e non debba valere nel pubblico è aberrante. A parte il fatto che si fa confusione tra merito e competizione (e questo l'ho fatto emergere nella mia prima risposta a bidellissimo, facendo notare che il merito in tantissimi casi è nella cooperazione, nella collaborazione, nel lavoro in team) se il merito valesse solo nel privato avremmo un forte degrado dell'amministrazione pubblica (cosa che in effetti ritroviamo).
L'insieme dei lavotori dipendenti (17 milioni, secondo l'ultimo rilevamento ISTAT) è composto da lavoratori privati e lavoratori del comparto pubblico. In base ai dati emessi dalla ragioneria generale dello stato i dipendenti pubblici sono 3.375.331 e quindi circa il 20% del totale dei lavoratri dipendenti (sommando sia quelli a tempo determinato che quelli a tempo indeterminato). Abbiamo quindi che in Italia un lavoratore dipendente su 5 lavora per la cosa pubblica. Se solo la parte privata usasse il merito (selezionando i migliori, premiandoli e scartando i peggiori) avremmo come pessima conseguenza che i peggiori troverebbero rifugio nell'amministrazione della cosa pubblica. I peggiori non potrebbero mettersi in proprio (gli altri 5.769.000 di indipendenti che servono per arrivare al totale di 22.758.000 lavoratori). Solo una grande organizzazione che rifiuta la logica del merito sarebbe per loro un comodo rifugio. Ma anche i migliori, quelli che valgono e sanno fare, se ne andrebbero dallo stato. In pratica mentre con la logica del merito e della competenza, forse basterebbero solo due dei tre milioni e 375 mila dipendenti pubblci, gli italiani onesti (non gli evasori) sono costretti a pagare stipendi extra a chi non se lo merita. E che magari fa anche il doppio o troplo lavoro. Se questo avvenisse in un'azienda, io come consumatore potrei scegliere i prodotti di un'altra ditta. Con lo stato non ho scelta, se non votando o al limite emigrando.
Il fatto che passare da un'organizzazione clientelare, lobbistica, nepotistica ad una meritocratIca comporti disagio e stress per qualcuno (verosimile e vero) non è un alibi per gridare contro la meritocrazia definendola "bubbone".
Franz