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L'Italia non è meritocratica

Il futuro del PD si sviluppa se non nega le sue radici.

Re: L'Italia non è meritocratica

Messaggioda franz il 21/09/2010, 8:11

flaviomob ha scritto:Infatti io stavo descrivendo un quadro "patologico", che più che riguardare singole aziende mi pare rappresentare l'intero sistema-paese. In Italia esiste un buon numero di "organizzazioni" (aziende, pubblico impiego et similia) che non premiano l'impegno ma piuttosto la raccomandazione (o il leccaculaggio, o l'appartenenza politica) e contemporaneamente esiste quell'astio di cui parlava bidellissimo, che evidentemente ha registrato un dato reale e non se l'è inventato.

Ok, d'accordissimo. Allora ripartiamo da qui. Il quadro è patologico e dopo anamnesi e diagnosi occorre una prognosi.
Ogni tanto vado a vedermi le definizioni di certi termini su wikpedia. Ecco cosa trovo sotto al voce meritocrazia.
http://it.wikipedia.org/wiki/Meritocrazia
La meritocrazia è una forma di governo dove le cariche amministrative, le cariche pubbliche, e qualsiasi ruolo che richieda responsabilità nei confronti degli altri, è affidata secondo criteri di merito, e non di appartenenza lobbistica, familiare (nepotismo e in senso allargato clientelismo) o di casta economica (oligarchia).

Parliamo solo di pubblico impiego (è una crazia) mentre in aziende mettere al cento il merito e la competenza non implica per forza una "crazia".

Ora puo' darsi (anzi sono assolutamente sicuro) che le forme di meritocrazia introdotte nel pubblico impiego italiano siano carenti e sbagliate (si puo' fare in mille modi, moltissimi dei quali inadatti o sbagliati) ma il concetto di una amministrazione della cosa pubblica basata sul merito è giusto e spero che questo non si discuta.
Magari si discute di quale merito e di come misurarlo e su chi deve misurarlo. Ci sono vari sistemi ma è solo provandoli che si possono migliorare. Non esiste scienza infusa ma solo il confronto con chi ha già fatto queste cose nel mondo.

Il fatto che la logica del merito valga solo nell'industria (o in senso lato nel mondo del lavoro privato) e non debba valere nel pubblico è aberrante. A parte il fatto che si fa confusione tra merito e competizione (e questo l'ho fatto emergere nella mia prima risposta a bidellissimo, facendo notare che il merito in tantissimi casi è nella cooperazione, nella collaborazione, nel lavoro in team) se il merito valesse solo nel privato avremmo un forte degrado dell'amministrazione pubblica (cosa che in effetti ritroviamo).

L'insieme dei lavotori dipendenti (17 milioni, secondo l'ultimo rilevamento ISTAT) è composto da lavoratori privati e lavoratori del comparto pubblico. In base ai dati emessi dalla ragioneria generale dello stato i dipendenti pubblici sono 3.375.331 e quindi circa il 20% del totale dei lavoratri dipendenti (sommando sia quelli a tempo determinato che quelli a tempo indeterminato). Abbiamo quindi che in Italia un lavoratore dipendente su 5 lavora per la cosa pubblica. Se solo la parte privata usasse il merito (selezionando i migliori, premiandoli e scartando i peggiori) avremmo come pessima conseguenza che i peggiori troverebbero rifugio nell'amministrazione della cosa pubblica. I peggiori non potrebbero mettersi in proprio (gli altri 5.769.000 di indipendenti che servono per arrivare al totale di 22.758.000 lavoratori). Solo una grande organizzazione che rifiuta la logica del merito sarebbe per loro un comodo rifugio. Ma anche i migliori, quelli che valgono e sanno fare, se ne andrebbero dallo stato. In pratica mentre con la logica del merito e della competenza, forse basterebbero solo due dei tre milioni e 375 mila dipendenti pubblci, gli italiani onesti (non gli evasori) sono costretti a pagare stipendi extra a chi non se lo merita. E che magari fa anche il doppio o troplo lavoro. Se questo avvenisse in un'azienda, io come consumatore potrei scegliere i prodotti di un'altra ditta. Con lo stato non ho scelta, se non votando o al limite emigrando.

Il fatto che passare da un'organizzazione clientelare, lobbistica, nepotistica ad una meritocratIca comporti disagio e stress per qualcuno (verosimile e vero) non è un alibi per gridare contro la meritocrazia definendola "bubbone".

Franz
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Re: L'Italia non è meritocratica

Messaggioda ranvit il 21/09/2010, 11:57

Per me i "miserabili" sono quelli che si sentono seduti sul trono pontificio senza essere Papa, nè averne alcun altro titolo che non sia l'arroganza e la presunzione tipica di quelli che io definisco pseudo-intellettuali, e facendo leva sull'unica dote che hanno : una cultura parolaia, sparano sentenze sull'ignoranza di questo o quello e addirittura di tutto il popolo italiano.
Questi "miserabili" hanno rovinato l'Italia....prima ancora di Berlusconi, che sta facendo il resto.


Per quanto riguarda bidellismo....non è che uno se ne puo' venire qua avviando una discussione surreale senza pretendere che ci sia chi lo rilevi!

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Re: L'Italia non è meritocratica

Messaggioda pierodm il 21/09/2010, 12:54

A questo punto della discussione mi sembra evidente che ci siano due punti di vista - che non riguardano soltanto questo argomento, ma il modo stesso di affrontare molti temi socio-politici.

Da una parte il metodo-Franz, che prende in esame un fenomeno in via astratta e ideologica: la meritocrazia adesso, il liberalismo ieri, etc.
Franz ne analizza e ne illustra con dovizia di esempi e immagini i presupposti teorici, o quelli "idealizzati", sforzandosi di convincere questa platea della bontà di quei valori e dell'utilità di quei fenomeni, che per altro nessuno contesta su quel piano teorico e idealizzato - o almeno, nessuno contesta al punto, nihilistico, da giustificare un tale spiegamento di forze da parte del "razionalismo" franziforme.

Dall'altra i ragionamenti di chi - dando per scontata la conoscenza dei lati positivi di un certo fenomeno o valore - ne esamina alcune patologie, un eventuale livello di degrado, una distorsione che ne viene fatta da parte di forze sociali o da parte di meccanismi politici o economici, etc.

Due impostazioni che potrebbero anche incontrarsi, utilmente, in alcune occasioni: ma questo non avviene praticamente mai.
Da un lato Franz minimizza, spesso fino al ridicolo, le critiche e le obiezioni che incrinerebbero la perfezione adamantina delle sua rappresentazioni idealizzate di un certo fenomeno.
Dall'altra i critici si irritano - prima o poi si irritano, anche quando cominciano con la più pacifica buona volontà - nel vedere che viene ostinatamente elusa la ragione stessa per cui hanno sollevato un argomento o una critica: difficile infatti che, oggi, 2010, si vada a parlare dei fondamenti teorici del liberalismo o si discuta della definizione di "merito" in astratto, o almeno è difficile pensare che lo facciano persone minimamente dotate di uno straccio di cultura e di buon senso.
Chiaramente l'unica ragione che spinge a riflettere su molti fenomeni o valori è la presenza di patologie e distorsioni: lo stesso motivo per cui si parla dei mali, dei limiti, delle nefandezze della "prima repubblica", o magari dello statalismo, del centralismo, della corruzione, della cattica amministrazione, etc, senza voler per questo risalire ad una trattazione sul concetto di res pubblica, o ad una contestazione radicale della necessità di una P.A..
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Re: L'Italia non è meritocratica

Messaggioda ranvit il 21/09/2010, 13:07

Dicevo...che questa discussione è surreale. Di cosa stiamo discutendo infatti?
- L'Italia non è meritocratica....è un dato di fatto, lo sanno cani e porci!
- La meritocrazia è un errore perchè incita alla "lotta" tra persone sia dentro le organizzazioni lavorative che, addirittura, fuori ....e con quale altro metodo si dovrebbero premiare le capacità dei singoli? Con il sorteggio?

Ovviamente ben altra consistenza poteva avere una discussione che entra nel merito delle tecniche della meritocrazia.

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Re: L'Italia non è meritocratica

Messaggioda franz il 21/09/2010, 14:02

pierodm ha scritto:Da una parte il metodo-Franz, che prende in esame un fenomeno in via astratta e ideologica: la meritocrazia adesso, il liberalismo ieri, etc.
Franz ne analizza e ne illustra con dovizia di esempi e immagini i presupposti teorici, o quelli "idealizzati", sforzandosi di convincere questa platea della bontà di quei valori e dell'utilità di quei fenomeni, che per altro nessuno contesta su quel piano teorico e idealizzato - o almeno, nessuno contesta al punto, nihilistico, da giustificare un tale spiegamento di forze da parte del "razionalismo" franziforme.

Dall'altra i ragionamenti di chi - dando per scontata la conoscenza dei lati positivi di un certo fenomeno o valore - ne esamina alcune patologie, un eventuale livello di degrado, una distorsione che ne viene fatta da parte di forze sociali o da parte di meccanismi politici o economici, etc.

Due impostazioni che potrebbero anche incontrarsi, utilmente, in alcune occasioni: ma questo non avviene praticamente mai.

Non si incontrano mai perché molto probabilmente si tratta di un antico gioco di ruolo.
Ben illustrato da Erc Berne nel suo famoso "A che gioco giochiamo" (play people plays).
Il gioco è quello del "si, ma".
Solitamente si gioca cosi':
una persona pone un problema.
via via chi risponde espone soluzioni concrete, praticabili.
Chi ha posto il problema invece di accettare pone una serie di obiezioni. Il "si, ma ...." per cui le soluzioni proposte non possono funzionare. Seguono altre soluzioni ed altre serie infinita di obiezioni. Il gioco prosegue all'infinito ma ha una soluzione che rimando al libro (non ho certo tempo di fare qui la sintesi e poi l'ho letto 10 anni fa).
chi non ha il libro (che consiglio) puo' leggere
http://www.psicologiaesalute.it/Neopsic ... Giochi.htm
Oppure cercare "analisi transazionale, eric berne" con un normale motore di ricerca.

In questo link http://www.enotime.it/zoom/default_body.aspx?ID=1300 c'è una sintesi estrema in 5 righe delle posizioni dei giocatori (nel libro sono molte pagine) per quel particolare gioco:
"Si... Ma però" (5)
Questo "gioco" è intrapreso dagli individui nella posizione esistenziale "Tu non sei ok". Essi chiedono un parere ma poi lo distruggono.
Mentre in superficie appare una transazione da Adulto ad Adulto (esempio: "Mi sento agitata, puoi darmi un consiglio?"), sotto sotto vi è un'altra transazione che parte dal Bambino del richiedente ed è diretta all'Adulto dell'interlocutore con lo scopo di distruggerlo, ovvero: "Ho un problema... Prova se sei capace di darmi una risposta!".
Tutte le soluzioni proposte dalla persona interpellata verranno perciò distrutte in un modo o nell'altro.

Ecco perché le posizioni non si incontrano mai. Chi chiede il parere analitico (razionale) intende il realtà sfidare la razionalità con mille obiezioni. La teoria di Berne spiega bene che premi sta cercando chi gioca un simile gioco (dimostrare che il suo problea è insolubile?)e come fare per interromperlo (altrimenti continua all'infinito). Ma appunto, bisogna leggere il libro. Io non sono certo Berne e nemmeno un suo discepolo (preferisco mille volte Watzlawick).

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Re: L'Italia non è meritocratica

Messaggioda trilogy il 21/09/2010, 14:54

LA COMBINAZIONE DI TALENTO, IMPEGNO E DELLE «CONDIZIONI DI PARTENZA»
Come misurare il merito?
Docente di Economia all' Università di Milano

Andrea Ichino (Sole 24 ore del 6 giugno scorso) si avvale della parabola evangelica dei talenti per introdurre il principio meritocratico (Matteo 25, 14-30). Sono in generale contrario all' utilizzo di queste favole edificanti, specialmente quando dalle stesse fonti sono estraibili altrettanti esempi di natura fortemente antimeritocratica (come per esempio quello dei vignaioli, pagati secondo retribuzione oraria che decresce allo sforzo - Matteo 20, 1-15). Tuttavia questo esempio permette di illustrare alcune problematiche legate alla implementazione concreta dei principi meritocratici.

Iniziamo con la definizione di cosa sia il merito che si vorrebbe premiare. Come ampiamente richiamato nel recente libro di Roger Abravanel (Meritocrazia, Garzanti), quando Michael Young si trovò a definire cosa fosse il merito usò l' espressione «Merito = talento + impegno». Tuttavia questa definizione non è esente da ambiguità quando si tenti di identificare il contributo individuale che l' ideale meritocratico si riprometterebbe di premiare. Restando nell' ambito dell' esempio citato da Ichino, immaginiamo una situazione in cui la natura (il padrone volubile della parabola) operi una distribuzione diseguale dei talenti (rispettivamente 5, 2 e 1), cui faccia seguito un diverso tasso di rendimento (rispettivamente 100%, 100% e 0) ed un conseguente premio delle prime due situazioni ed una punizione della terza. Cosa viene premiato in questa storia? Siamo facilmente indotti a rispondere che quello che viene premiato è l' impegno a far rendere il talento naturale (quindi il tasso di rendimento), indipendentemente dalla dotazione iniziale (talento).

Tuttavia questo ragionamento è corretto sul piano formale se e solo se crediamo nella formula di Young citata prima, ovverosia riteniamo che l' impegno e il talento siano tra di loro sostituibili. In questo caso chiunque può compensare lo svantaggio iniziale purché si impegni adeguatamente. In questo modo il principio di responsabilità (ognuno è artefice del proprio destino), che sta alla base del credo meritocratico verrebbe soddisfatto, e la distribuzione degli esiti acquisterebbe legittimità sul piano dell' equità sociale. Ma non sempre i comportamenti sociali sono così lineari. Sempre continuando nell' esempio precedente, immaginiamo che sia esistita una opportunità di investimento che assicurasse un rendimento del 100%, ma che richiedesse una soglia minima di investimento, pari a 1,5 talenti. In questo caso solo due dei tre soggetti avrebbero avuto accesso a questa opportunità, mentre il terzo ne sarebbe stato escluso.

Premiare i primi due e punire il terzo si rivelerebbe ingiusto, in quanto verrebbe violato l' altro principio che sta alla base del credo meritocratico, ovverosia l' uguaglianza delle opportunità di accesso. Questi esempi servono solo a mettere in luce come l' applicazione concreta del principio meritocratico richieda la soddisfazione di condizioni che non sono sempre facilmente verificabili sul piano empirico. Una delle ragioni di questa difficoltà risiede nel fatto che spesso l' impegno individuale si accompagna alle circostanze favorevoli. Se riformulassimo la formula di Young scrivendo che «Merito = talento x impegno», ne discenderebbe che gli individui più fortunati dal punto di vista della allocazione iniziale sono contemporaneamente coloro che hanno i maggiori vantaggi nell' impegnarsi.

Un esempio reale di questa situazione ci è fornito dalle carriere scolastiche individuali. L' evidenza empirica è fin troppo abbondante nel mostrare come il successo scolastico dipenda dalle caratteristiche dell' ambiente familiare (equiparabile alla fortuna nella distribuzione iniziale dei talenti). E tuttavia sappiamo altrettanto bene che almeno una parte dello stesso successo dipende dall' impegno individuale, che è incoraggiato da condizioni di partenza favorevoli. Vorremmo socialmente premiare il merito in questo contesto? La risposta sarebbe ovviamente positiva se il principio meritocratico andasse a rimpiazzare criteri allocativi più inefficienti (nepotismo, clientelismo, anzianità di servizio e simili). Tuttavia premiando un merito che sia il prodotto congiunto di talento ed impegno, andiamo a premiare maggiormente coloro che già sono avvantaggiati dalla natura. Questo è meno giustificabile sul piano della giustizia distributiva. Prendiamo un altro esempio reale riferito ai campioni sportivi. È innegabile che essi ricevano dalla natura una dotazione genetica che li favorisce nella prestazione fisica (talento).

Tuttavia solo grazie ad un intenso allenamento (impegno) essi possono raggiungere prestazioni eccezionali, cui fa poi anche seguito un ritorno economico di mercato. In questo contesto, ogni allenamento per quanto intenso non riesce a compensare l' assenza di talento, non consegue risultati significativi nelle competizioni sportive e lascia quindi senza rendimento l' impegno profuso. Se impegno e talento potessero essere facilmente osservati, il principio meritocratico sarebbe facile da applicare alla componente dell' impegno, mentre si potrebbe aprire una ampia discussione filosofica se sia premiabile anche la dotazione di talento. Ma quando queste due componenti sono inestricabilmente mescolate, le scelte sociali diventano incerte. Per questa regione la precondizione per l' introduzione di principi meritocratici che raccolgano un largo consenso è quella di estendere lo sforzo di misurazione dei risultati, cercando di identificare le componenti costitutive. Solo per questa via gli individui saranno indotti ad accettare il passaggio dalle attuali politiche egualitarie sui risultati ad auspicabili politiche egualitarie nelle opportunità d' ingresso.

Checchi Daniele
(23 giugno 2008) - Corriere Economia
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Re: L'Italia non è meritocratica

Messaggioda franz il 21/09/2010, 15:46

trilogy ha scritto:LA COMBINAZIONE DI TALENTO, IMPEGNO E DELLE «CONDIZIONI DI PARTENZA»
Come misurare il merito?
Docente di Economia all' Università di Milano
...
Checchi Daniele
(23 giugno 2008) - Corriere Economia

Decisamene interessante, mi pare tuttavia manchi di una dimensione importante. Quella che se l'impegno puo' essere oggettivamente massimo ovunue, i talenti non sono uguali e massimi per tutti i lavori. Potrei essere un pessimo informatico (anche con il massimo impegno) ma un ottimo contadino, senza nemmeno impegnarmi piu' di tanto. Dove è meglio che dia il mio contributo alla collettività? Chi dovesse verifcare il merito, dove mi piazzerebbe (indipendentemente dalla mie aspettative)? E cosa importa di piu': le mie aspettative (individuali) come scarso informatico vanno premiate in ogni caso oppure a furia di tentativi falliti è bene seguire il vecchio detto "datti all'ippica"?

Il discorso della soglia di invenstimento vale forse per chi si mette in proprio (capitale monetario) mentre per il capitale culturale ed il saper fare, l'investimento è piu' equo. Sempre che uno si stia impegnando investendo risorse e tempo per la formazione giusta. Se mi impunto a fare l'informatico, spendendo un mucchio di risorse per studiare, fare corsi ma con scarsi risultati, è giusto preimare chi ha un'attitudine migliore e con meno sforzo fa meglio di me. Giusto farmi capire che tra i mille mestieri del mondo, forse ce ne sono di altri, piu' adatti a me. Dove riusciro' meglio ed avro' maggiori "meriti".

Il discorso sulla natura è interessante. Non c'è dubbio che pur essendo idelamente tutti uguali siamo per fortuna tutti diversi. Io a disegnare sono una frana (eppue mio padre era un bravo pitotre ed ho la casa piana dei sui quadri) ma so fare altro. La natura ci rende diverse e quindi qualcuno parte in condizioni favorevoli se sa capire quale binario è quello giusto. Questo è sbagliato o iniquo? Io direi di no. Alla collettività credo interessi che a fare il falegname sia uno che ha un'attitudine artistica particolare, quasi naturale ed innata, non uno che ci mette 22 anni a fare una sedia storta. Se come titlar edi una falegnameria avessi da scelgiere tra due apprendisti, valuterei sia l'impegno che le attitudini (e lo posso afare valutando il risultato di un lavoro). Veo che posso sbagliare a valutare ma se sbaglio pago.

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Re: L'Italia non è meritocratica

Messaggioda ranvit il 21/09/2010, 16:16

Ecco, ora la discussione è meno surreale!
Come dicevo, ben altra cosa è discutere delle metodiche della meritocrazia.

Anch'io ho trovato interessante quanto dice Andrea Ichino (ma anche l'osservazione di Franz).
Resta il fatto che la meritocrazia è fondamentale per ottenere risultati ai vari livelli sino al Paese. Viceversa, combatterla, è una vera sciocchezza (surreale, appunto)!

Bisogna comunque stare molto attenti nel formulare teorie. Spesso si dicono un mare di cazzate. Come quella che riscontrai 30 anni fa in una multinazionale americana operante in Italia : ogni dipendente doveva essere valutato da tutti i capi della filiale con il risultato che spesso venivano premiati i....piu' deficienti, solo perchè erano bravi a sorridere a tutti!
Personalmente quando ne ho avuto la responsabilità, ho premiato quelli che avevano una forte personalità e duttilità. Alcune volte anche passando attraverso scontri con il sottoscritto.

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Re: L'Italia non è meritocratica

Messaggioda bidellissimo il 21/09/2010, 16:57

ranvit ha scritto:Dicevo...che questa discussione è surreale. Di cosa stiamo discutendo infatti?
..............................................................................................................................................
- La meritocrazia è un errore perchè incita alla "lotta" tra persone sia dentro le organizzazioni lavorative che, addirittura, fuori ....e con quale altro metodo si dovrebbero premiare le capacità dei singoli? Con il sorteggio?
.................................................................................................................................................
Vittorio

Che questa discussione sia per te surreale lo hai già detto tante volte, continui a dirlo in interventi successivi a questo da me "quotato". Pare una provocazione. Il bello di un forum, ancor più se si richiama nel titolo a valori democratici, è che chiunque, anche un idiota o un pazzo, fatto salvo il regolamento, possa dire la sua. Io, quando incontro un pazzo che farnetica, cerco di evitarlo, altrimenti è mia la colpa se prende corpo una discussione farneticante. Perché tu non mi eviti? Perché non sei mai sazio di contrasti con me? Ti sto forse toccando in un nervetto scoperto, o in qualche dubbio profondo che la tua coscienza non vuole ammettere? o in un senso di colpa?

Quanto alla domanda:
"e con quale altro metodo si dovrebbero premiare le capacità dei singoli?", la mia risposta è semplice: NON SI DOVREBBERO PREMIARE.
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Re: L'Italia non è meritocratica

Messaggioda ranvit il 21/09/2010, 17:19

Ciao :lol: :lol: :lol:
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