La Comunità per L'Ulivo, per tutto L'Ulivo dal 1995
FAIL (the browser should render some flash content, not this).

Ancora Vendola sotto la lente di NoisefromAmerika

Il futuro del PD si sviluppa se non nega le sue radici.

Re: Ancora Vendola sotto la lente di NoisefromAmerika

Messaggioda pierodm il 11/11/2010, 15:56

Lo sai che uno come Bill Gates in italia non potrebbe insegnare ad un corso regionale di alfabetizzazione informatica? Non avrebbe i requisiti necessari

I corsi regionali sono in genere quelli finanziati dal FSE, e sottoposti per la gran parte alle regole comunitarie, che - per burocratizzazione e ottusa pedanteria - sono talvolta esilaranti.

Ciò detto, forse Bill Gates non tanto manca di "requisiti", quanto di una figura professionale adeguata: nei corsi che la mia società teneva nei centri di Montesacro, a Roma, non avrei visto bene un "fondatore di imperi" o un tycoon come Gates, ma vedevo bene informatici e professionisti di caratura (e di visuali) molto più modeste.

Comunque, Trilogy, capisco il tuo esempio, ma credo che sarebbe bene non veleggiare sempre ai livelli della stratosfera.
Questa familiarità con the big side of the world i ricorda il vizio del PCI anni '70, per il quale la "politica industriale" e ogni problema connesso - compresi rapporti sindacali - correvano subito e inesorabilmente al livello Fiat, Montedison ed ENI.
pierodm
forumulivista
forumulivista
 
Messaggi: 1996
Iscritto il: 19/06/2008, 12:46

Re: Ancora Vendola sotto la lente di NoisefromAmerika

Messaggioda flaviomob il 13/11/2010, 11:41

Trilogy:
Tra le medio-grandi e le piccole c'è una differenza di produttività dell'ordine del 60%.


A favore di chi? Quando lavoravo come informatico era evidente che le piccole società di consulenza erano molto più efficienti delle aziende medio-grandi, dove erano frequenti gli 'imboscati' di fantozziana memoria :lol:


"Dovremmo aver paura del capitalismo, non delle macchine".
(Stephen Hawking)
flaviomob
forumulivista
forumulivista
 
Messaggi: 12889
Iscritto il: 19/06/2008, 19:51

Re: Ancora Vendola sotto la lente di NoisefromAmerika

Messaggioda franz il 14/11/2010, 11:17

flaviomob ha scritto:
Trilogy:
Tra le medio-grandi e le piccole c'è una differenza di produttività dell'ordine del 60%.


A favore di chi? Quando lavoravo come informatico era evidente che le piccole società di consulenza erano molto più efficienti delle aziende medio-grandi, dove erano frequenti gli 'imboscati' di fantozziana memoria :lol:


Normalmente dividendo il fatturato per gli addetti (o eventualmente gli utili per gli addetti) si scopre che la produttività è maggiore per le grandi aziende, in quanto sono fortemente strutturate e contengono al proprio interno tutte le funzionalità necessarie per operare (contabilità, marketing, studi legali, centro elettronico, gestione del personale) e realizzano economie di scala negli acquisti.
Se la stessa grande azienda di 10'000 addetti fosse divisa in 1000 aziende, queste aziende dovrebbero avere al loro interno le stesse funzionalità (difficile) oppure reperirle sul mercato a prezzi di mercato. Il risultato è che 10 piccole aziende sono meno produttive di 1 media azienda ma le 10 piccole hanno comunque il vantaggo di essere piu' diamiche sul mercato, piu' veloci ad introdurre innovazione e reagire ai cambiamenti di mercato. Non escludo comunque che ci possano essere piccole aziende altamente produttive ma in termini generali, vedendo il valore aggiunto prodotto da ogni addetto delle micro, piccole, medie e grandi si nota che in germania ogni lavoratore "produce" 45'000 € se è in una micro, 46'000 in una piccola, 56'000 in una media e 67'000 in una grande.

Franz
“Il segreto della FELICITÀ è la LIBERTÀ. E il segreto della Libertà è il CORAGGIO” (Tucidide, V secolo a.C. )
“Freedom must be armed better than tyranny” (Zelenskyy)
Avatar utente
franz
forumulivista
forumulivista
 
Messaggi: 22077
Iscritto il: 17/05/2008, 14:58

Re: Ancora Vendola sotto la lente di NoisefromAmerika

Messaggioda flaviomob il 14/11/2010, 12:11

Sarei curioso di conoscere i dati italiani, però... 8-)


"Dovremmo aver paura del capitalismo, non delle macchine".
(Stephen Hawking)
flaviomob
forumulivista
forumulivista
 
Messaggi: 12889
Iscritto il: 19/06/2008, 19:51

Re: Ancora Vendola sotto la lente di NoisefromAmerika

Messaggioda trilogy il 14/11/2010, 15:42

flaviomob ha scritto:Sarei curioso di conoscere i dati italiani, però... 8-)



Immagine

Immagine
Avatar utente
trilogy
Redattore
Redattore
 
Messaggi: 4746
Iscritto il: 23/05/2008, 22:58

Re: Ancora Vendola sotto la lente di NoisefromAmerika

Messaggioda trilogy il 14/11/2010, 16:06

Ancora sui dati italiani:

Secondo l'Istat, nel 2008 erano attive 4.434.823 imprese dell'industria e dei servizi di mercato, le quali occupavano circa 17,3 milioni di addetti, di cui 11,6 milioni di dipendenti, e realizzavano un valore aggiunto complessivo di circa 714 miliardi di euro. Per quanto riguarda i principali indicatori economici, il valore aggiunto per addetto è pari a 41,3 mila euro, il costo del lavoro per dipendente è di 32,9 mila euro, la retribuzione lorda per dipendente ammonta a 23,6 mila euro e l'incidenza dei profitti lordi sul valore aggiunto è del 27,0 per cento.

La struttura produttiva italiana si conferma caratterizzata da una larga presenza di microimprese (con meno di dieci addetti), le quali rappresentano il 94,7 per cento delle imprese attive, il 47,2 per cento degli addetti e il 33,3 per cento del valore aggiunto. Il 64,5 per cento dell'occupazione è costituita da lavoro indipendente. Le grandi imprese (con almeno 250 addetti) ammontano, invece, a 3.508 unità e pesano per il 18,6 per cento degli addetti e il 28,7 per cento del valore aggiunto complessivi. La dimensione media delle imprese risulta, pertanto, estremamente bassa, pari a 3,9 addetti per impresa.

La struttura settoriale e dimensionale dei principali aggregati economici
Nella struttura produttiva nazionale il settore dei servizi di mercato prevale nettamente sugli altri comparti in termini di imprese attive (75,0 per cento), addetti (61,2 per cento) e contributo alla creazione di valore aggiunto (54,0 per cento). L'industria in senso stretto rappresenta il 10,7 per cento delle imprese, il 27,2 per cento degli addetti e il 34,6 per cento del valore aggiunto, mentre nel settore delle costruzioni si concentrano il 14,3 per cento delle imprese, l'11,6 per cento degli addetti e l'11,4 per cento del valore aggiunto.
In particolare, nell'industria in senso stretto le imprese attive sono circa 473 mila; assorbono 4,7 milioni di addetti, in larga maggioranza dipendenti (4 milioni, pari al 34,5 per cento dei dipendenti complessivi) e realizzano circa 247 miliardi di euro di valore aggiunto (52,6 mila euro il valore aggiunto per addetto). La dimensione media delle imprese è di 9,9 addetti. Sotto il profilo dimensionale, il 37,4 per cento del valore aggiunto è realizzato dalle imprese con 250 addetti e oltre, che assorbono il 24,4 per cento degli addetti. Nelle medie imprese (50-249 addetti) il contributo alla creazione di valore aggiunto è pari al 24,5 per cento, mentre il contributo occupazionale delle microimprese è del 23,1 per cento. Gli investimenti per addetto nell'industria in senso stretto ammontano a 10,8 mila euro, di cui 19,5 mila euro nelle grandi imprese, che realizzano il 44,3 per cento degli investimenti complessivi del settore.

Nelle costruzioni sono attive 635 mila imprese, che danno occupazione a due milioni di addetti, di cui 1,2 milioni di dipendenti; il valore aggiunto è di 81,2 miliardi di euro (40,4 mila euro il valore aggiunto per addetto). La dimensione media delle imprese è di 3,2 addetti; ciò dipende dalla consistente presenza di microimprese (94,6 per cento del totale settoriale), che contribuiscono per il 59,1 per cento alla creazione del valore aggiunto (Figura 2) e per il 63,3 per cento all'occupazione del settore. Gli investimenti per addetto risultano pari a 5,8 mila euro, un livello relativamente modesto in quanto fortemente influenzato dalla presenza di microimprese, che realizzano circa il 57,5 per cento degli investimenti complessivi del settore.

Le imprese dei servizi destinabili alla vendita sono circa 3,3 milioni; esse assorbono 10,6 milioni di addetti, con un numero di addetti per impresa pari a 3,2 (valore inferiore al dato medio nazionale), e realizzano circa 385 miliardi di euro di valore aggiunto.Il valore aggiunto per addetto è pari a 36,4 mila euro (rispettivamente 27,4 mila euro nelle microimprese e 53,9 mila euro nelle grandi). Le microimprese, pur costituendo il 96,6 per cento delle imprese del settore, contribuiscono per il 41,3 per cento alla creazione di valore aggiunto, mentre le grandi imprese, che rappresentano appena lo 0,1 per cento delle imprese del comparto, realizzano il 28,1 per cento del valore aggiunto. Gli investimenti per addetto sono pari, in media, a 6,6 mila euro, con la fascia dimensionale delle micro e delle grandi imprese che partecipano alla realizzazione degli investimenti complessivi del settore rispettivamente per il 38,8 per cento e 32,9 per cento.
Avatar utente
trilogy
Redattore
Redattore
 
Messaggi: 4746
Iscritto il: 23/05/2008, 22:58

Re: Ancora Vendola sotto la lente di NoisefromAmerika

Messaggioda trilogy il 14/11/2010, 19:33

franz ha scritto:
trilogy ha scritto:"Primo, è chiaro che l'innovazione viene ostacolata se il sistema fiscale la rende poco remunerativa;"

Non può essere preso come un dogma. Apple e Microsoft sono nate nel 1974/75, Quanto era la pressione fiscale all'epoca? 50-60% ?


Dove? Negli USA? No di certo. Non era cosi' alta nemmeno da noi, eppure che innovazioni abbiamo avuto?

Immagine

Franz


Mi volevo riferire alle aliquote marginali, quando parlavo del 50-60%, non ho il numero preciso sui redditi d'impresa e persone fisiche
Avatar utente
trilogy
Redattore
Redattore
 
Messaggi: 4746
Iscritto il: 23/05/2008, 22:58

Re: Ancora Vendola sotto la lente di NoisefromAmerika

Messaggioda trilogy il 14/11/2010, 20:44

franz ha scritto:Parliamo seriamente di Vendola (I). La politica industriale
di sandro brusco, 8 Novembre 2010

[..]Il secondo è l'approccio che viene seguito da Vendola. Il quale non si chiede quali sono gli incentivi che generano scarsa innovazione ma assume che la scarsa propensione a innovare sia una caratteristica culturale, una specie di tara genetica degli imprenditori italiani. A questa tara deve porre rimedio la politica, creando, usando le sue parole, ''un luogo in cui si discute di quali siano gli apparati industriali considerati strategici e come di conseguenza agire''. Questo significa semplicemente, una volta fatta una robusta opera di potatura di tutti i fronzoli retorici, che alla politica viene assegnato il compito di individuare i settori in cui investire (quelli '''strategici'', ovviamente) e a cui verranno fatte affluire le risorse pubbliche.
Qui Vendola commette l'errore di illudersi che i politici siano più bravi degli imprenditori a scegliere gli investimenti e le industrie giuste. Questa è una illusione estremamente diffusa e ricorrente tra i politici italiani, di tutti gli schieramenti. Durante questi mesi in cui abbiamo fatto un certo numero di incontri per la promozione del libro, mi è capitato di sentirne diverse versioni. Gli imprenditori italiani sono troppo ignoranti e poco educati. Sono troppo avidi e avversi al rischio. Sono troppo affezionati all'idea della fabbrichetta di famiglia e paurosi di perderne il controllo in caso di crescita. E così via, spiegando che una buona dose di intervento da parte di qualche illuminato che risiede nei palazzi romani migliorerebbe sicuramente le cose. Che dire? Se decenni di partecipazioni statali, interventi straordinari, cattedrali nel deserto e altri simpatici frutti degli ''investimenti strategici'' guidati dalla mano pubblica non sono stati sufficienti a convincere che sia una cattiva idea presumere che i politici sappiano meglio degli altri come investire i soldi (sempre degli altri), dubito che niente possa esserlo.
.


La possibilità di sbagliare o azzeccare un investimento produttivo è praticamente la stessa per il settore pubblico o privato. Poi tutti gli Stati si chiedono quali sono i settori strategici su cui investire, non è solo Vendola. L’alta velocità, l’aerospazio e il nucleare sono settori strategici che i francesi hanno individuato e sostenuto. Le biotecnologie e l’energia rinnovabile hanno conosciuto un forte sviluppo in Germania per iniziativa dello Stato, il Brasile è leader mondiale sull’etanolo e tecnologie connesse per intervento dello Stato, il Regno Unito difende costantemente gli interessi della finanza londinese, gli USA sono leader in diverse tecnologie di punta per intervento del governo tramite appalti mirati e forme di collaborazione pubblico privato anche molto disinvolte. L’Italia e Vendola non lo possono fare? In puglia hanno investito soldi pubblici sull’energia rinnovabile, in particolare la componentistica, e sull’edilizia ecocompatibile. Sono due scelte interessanti per l’ investimento pubblico anche per l’esternalità positive che possono creare. L’hanno fatto sostenendo reti d’impresa con centri di ricerca pubblici e università, mi sembra un modo corretto di procedere.

Sulle partecipazioni statali bisognerebbe fare una riflessione storica più serena. Premesso che nessuno vuole ricostruire un agglomerato del genere, oggi non sarebbe neanche possibile con le regole sugli aiuti di stato. Però andrebbe ricordato che nelle partecipazioni statali, oltre alle cattedrali nel deserto, sono cresciute anche la maggior parte delle grandi banche e imprese italiane e alcune di queste, trasferite ai privati, sono state semplicemente spolpate (vedi alla voce Telecom...), altre sono diventate monopoli privati (vedi alla voce autostrade...)
Avatar utente
trilogy
Redattore
Redattore
 
Messaggi: 4746
Iscritto il: 23/05/2008, 22:58

Re: Ancora Vendola sotto la lente di NoisefromAmerika

Messaggioda franz il 15/11/2010, 9:25

trilogy ha scritto:La possibilità di sbagliare o azzeccare un investimento produttivo è praticamente la stessa per il settore pubblico o privato. Poi tutti gli Stati si chiedono quali sono i settori strategici su cui investire, non è solo Vendola. L’alta velocità, l’aerospazio e il nucleare sono settori strategici che i francesi hanno individuato e sostenuto. Le biotecnologie e l’energia rinnovabile hanno conosciuto un forte sviluppo in Germania per iniziativa dello Stato, il Brasile è leader mondiale sull’etanolo e tecnologie connesse per intervento dello Stato, il Regno Unito difende costantemente gli interessi della finanza londinese, gli USA sono leader in diverse tecnologie di punta per intervento del governo tramite appalti mirati e forme di collaborazione pubblico privato anche molto disinvolte. L’Italia e Vendola non lo possono fare? In puglia hanno investito soldi pubblici sull’energia rinnovabile, in particolare la componentistica, e sull’edilizia ecocompatibile. Sono due scelte interessanti per l’ investimento pubblico anche per l’esternalità positive che possono creare. L’hanno fatto sostenendo reti d’impresa con centri di ricerca pubblici e università, mi sembra un modo corretto di procedere.

Il fatto che alcuni stati facciano investimenti strategici è noto ed è vero ma non per questo abbiamo una dimostrazione che sia giusto sul piano economico, nel senso che dia risultati utili. Il fatto è che il settore privato è composto da migliaia di realtà in competizione, quindi il risultato dei loro investimenti produttivi è diversificato e orientato a migliorare la qualità dei propri prodotti e servizi. Invece lo stato è uno se se punta ad un settore (per esempio l'economia verde) lo fa a discapito di altri, soprattutto in un caso come il nostro in cui un debito pubblico pari al 120% del pil non permette grandi cose. Sia quando punta ad un settore, sia quando ne scarta altri (biotecnologie) lo stato attua una decisione ideloogica, il mercato invece fa mediamente migliaia di considerazioni utilitaristiche. Non credo quindi che la "probabilità di azzeccare" sia identica. Anche ipotizando che pubblico e privato investano pari volume monetario, mille persone che giocano una puntata da 1 euro (ognuna diversa) oppure una persona (lo stato) che punta 1000 euro su una combinazione (perché ideologicamente convinto che sia quella giusta) producono risultati molto diversi. Che poi da noi non abbiamo i mille privati che investono e nemmeno lo stato, è cosa nota. Ma la soluzione èn è certo quello di spendere i pochi soldi che possiamo spendere per drogare la ricercain alcune direzioni. Cerchiamo di invogliare piuttosto il settor privato ad investire. Il metodo "sostenendo reti d’impresa con centri di ricerca pubblici e università" pare anche a me corretto (anche perché altri sono vietati) ma non lo è sostenere sideologicamente olo alcuni settori a discapito di altri.

Franz
“Il segreto della FELICITÀ è la LIBERTÀ. E il segreto della Libertà è il CORAGGIO” (Tucidide, V secolo a.C. )
“Freedom must be armed better than tyranny” (Zelenskyy)
Avatar utente
franz
forumulivista
forumulivista
 
Messaggi: 22077
Iscritto il: 17/05/2008, 14:58

Re: Ancora Vendola sotto la lente di NoisefromAmerika

Messaggioda franz il 15/11/2010, 9:31

Secondo intervento sull'analisi delle posizioni economiche di vendola, della sinistra italiana ed anche della destra.
Il succo è che Vendola è sostanzialmente affine a Tremonti.



Parliamo seriamente di Vendola (II). Concorrenza e mercato
di sandro brusco, 15 Novembre 2010
http://www.noisefromamerika.org/index.php/articoli/2076

Nell'intervento precedente ho discusso le posizioni di Vendola sulla politica industriale. L'analisi ora continua con una discussione dell'approccio vendoliano a concorrenza e libero mercato.

La sinistra italiana ha sempre avuto un rapporto difficile con il libero mercato. L'idea che la concorrenza, la meritocrazia e la competizione possano essere utili strumenti per aiutare la mobilità sociale e per favorire proprio i più svantaggiati non ha mai preso realmente piede (anche se qui e là qualche flebile segnale di speranza si può cogliere). Non solo il libero mercato viene giudicato negativamente sul piano economico. Le posizioni più oscurantiste all'interno della sinistra tendono in aggiunta a caricare la concorrenza di significati morali negativi. La concorrenza è brutta perché stimola gli istinti più belluini dell'uomo: l'individualismo, la brama di possesso materiale, il disprezzo per gli altri e il successo economico come unica bussola di riferimento.

Vendola ha parlato troppo poco di queste cose per potergli ascrivere con certezza queste convizioni, ma echi di questa posizione si colgono per esempio all'inizio dell'intervista di agosto al Sole 24 Ore:

«Il dibattito dell'economia – dice – è asfittico e criptato, monopolizzato da tecnocrati, lobbysti e moralisti a libro paga. Un dibattito drammaticamente orfano di quell'etica della responsabilità che per me significa confronti con l'inviolabilità della vita e del vivente e porre un argine alla mercificazione del mondo. Cos'è la crisi? Una calamità naturale o il frutto avvelenato di quel potere soprannazionale della rendita e della speculazione finanziaria che ha umiliato il lavoro e ucciso milioni di imprese?».

Alla radice di queste posizioni sta spessissimo una radicale ignoranza su due aspetti.

Da un lato si ignora ciò che la concorrenza veramente è. Si scambia infatti la concorrenza per una specie di condizione primitiva e primordiale, uno ''stato di natura'' in cui le regole sono completamente assenti e l'unica cosa che conta è il risultato indipendentemente da come è raggiunto. Quindi ignorare la legge o piegarla a favore dei propri interessi, la distruzione dei beni comuni e addirittura il furto vero e proprio, vengono considerati come comportamenti che discendono direttamente dalla concorrenza e dal libero mercato. Come nel caso del signor Lamborghini, tanto per dire. Basta una minima conoscenza di teoria economica per sapere che non è così. La concorrenza per funzionare ha bisogno di regole chiare e uguali per tutti, e tali regole devono essere rigorosamente rispettate. Va aggiunto che almeno in Italia, ma non solo, la confusione è abbastanza comprensibile. L'esistenza di potenti personaggi che puntualmente piegano la legge ai propri interessi e poi si dicono a favore di concorrenza e libero mercato non può che generare confusione tra gli osservatori meno preparati. Da Vendola, così come da qualunque politico di rilevo nazionale, però ci aspetta un po' di più.

Dall'altro si fa continuamente confusione tra analisi economica e proposta etica. Le due cose, piaccia o meno, sono separate. Quando si fa analisi economica si parte da certe ipotesi plausibili (ed empiricamente verificabili) sul comportamento degli agenti economici, e si formulano modelli per cercare di capire, tra le altre cose, l'impatto dei provvedimenti di politica economica. L'economia si è beccata l'epiteto di ''scienza triste'' perché normalmente gli economisti tendono ad assumere che le motivazioni degli agenti economici siano abbastanza egoistiche. La cosa che molti sembrano non capire, o che fanno finta di non capire, è che gli economisti questa ipotesi non la fanno perché ritengono l'egoismo bello e giusto. La fanno perché, nella maggior parte dei casi, l'ipotesi sembra ben funzionare dal punto di vista empirico. I richiami alla ''etica della respondsabilità'' o cose del genere che ogni tanto affiorano appaiono quindi terribilmente fuori posto e generano confusione. Inoltre, per essere un po' brutali, puzzano proprio tanto di demagogia inconcludente e a buon mercato. Non è certo predicando la bontà che si risolvono i problemi di crescita dell'economia italiana.

A parziale discolpa di Vendola va detto che questo tipo di posizioni reazionarie anti-mercato sono comuni non solo nella sinistra italiana ma anche, e forse ancor più, nella destra. Su questo versante dello schieramento politico il fastidio verso la concorrenza tende a tingersi da un lato di clericalismo oltranzista (la concorrenza e il libero mercato, ci vien detto, sono pericolosi perché minano i valori della tradizione) e dall'altro di toni protezionistici e xenofobi, a livello sia nazionale sia regionale. Abbiamo scritto un libro, che presto uscirà con una nuova post-fazione, per spiegare come Tremonti abbia cercato di impossessarsi, a suo uso e consumo politico, di questo guazzabuglio di idee poco coerenti, per cui non insisteremo ulteriormente su questo. Ma di Vendola e della sinistra parla questo post, per cui torniamo al punto.

Ora, un paio di interviste sono poche per comprendere appieno la filosofia economia di qualunque persona pubblica, ma a nostro avviso l'oscurantismo e l'arretratezza di Vendola su questa questione appaiono con nitidezza nell'intervista al Sole 24 Ore di ottobre. Tra le altre cose in essa si afferma:

Noi siamo in una condizione disatrosa a causa di politiche liberiste. Artefice è Giulio Tremonti, con qualche corresponsabilità di Padoa-Schioppa.

C'è poco da fare, queste sono frasi che lasciano sbigottiti. Cominciamo dalla tesi di Tremonti artefice di politiche liberiste. Ho già ricordato che abbiamo scritto un libro per spiegare come Voltremont c'entri con il libero mercato quanto i cavoli a merenda, per cui non perderò tempo a confutare la tesi di Vendola. Osservo però che l'affermazione di Vendola è estremamente bizzarra. Tremonti stesso si vanta continuamente di essere un dirigista e la stampa che lo ossequia propaga con fervore questo messaggio. Persino Paolo Ferrero lo accredita di essere un non-liberista, che per Ferrero è inteso essere un complimento. Quindi l'affermazione di Vendola appare essere semplicemente la ripetizione meccanica e fuori tempo di vecchissimi stereotipi della sinistra, italiana e no, senza ormai nemmeno il più tenue legame con la realtà. Questo denota una bassissima volontà di recepire nuove idee e di andare al di là dei recinti tradizionali, che invece inizialmente Vendola aveva cercato di proporre come parte di un nuovo approccio alla politica. Francamente, quando si ha un senso della realtà inferiore a quello di Paolo Ferrero vuol dire che si è nei guai.

Per quanto riguarda i danni del ''paradigma liberista'' ed in che senso le ''politiche liberiste'' abbiano causato la crisi, è difficile fare valutazioni ulteriori senza sapere meglio cosa si intende. Di certo l'uso del termine non augura nulla di buono e di nuovo sembra indicare una certa pigrizia mentale, unita a mancanza di coraggio di uscire dal proprio recinto. Aspettiamo quindi di capire meglio, da Vendola o da chiunque altro vada ripetendo il mantra del ''paradigma liberista'', cosa esattamente significhi e quali siano i rimedi specifici proposti. E speriamo che il rimedio non sia la riproposizione del ''paradigma statalista''.

Ma passiamo alle questioni concrete. Perché preoccuparsi di queste posizioni, che possono in fondo apparire semplici enunciazioni di principio quando non banali trucchetti demagogici per accattivarsi a buon mercato una fetta dell'elettorato? In fondo fare predicozzi sulla necessità del comportamento morale in economia non aiuta ma nemmeno fa necessariamente danni. I danni, casomai, derivano dalle azioni concrete di politica economica che vengono intraprese, o più frequentemente che non vengono intraprese.

Da questo punto di vista ciò che preoccupa di più della posizione di Vendola non è la sua novità, la sua radicalità o la sua forza dirompente. Al contrario, è la sua sostanziale continuità con il pensiero unico della classi dirigenti politico-economiche italiane. Si consideri per esempio la seguente risposta tratta dall'intervista di agosto.

La crisi è ancora in atto, qual è la sua ricetta per uscirne?
Io penso che per fare ripartire l'economia bisogna uscire dall'angolo della superstizione liberista, in cui si canta il "de profundis" della spesa pubblica e si considera l'abbattimento del debito come una specie di dio pagano a cui sacrificare i poveri, le famiglie, le partite Iva, il welfare, e anche un pezzo di civiltà europea. Penso che oggi occorre sostenere la domanda interna, dare ossigeno ai ceti medio-bassi, aumentare l'area di consumo, sbloccare la spesa degli enti locali ibernata dalle ridicole penalità delle norme sul patto di stabilità. L'Italia affronta sacrifici durissimi senza alcuna prospettiva di crescita e un'intera generazione viene tagliata fuori dalla prospettiva del lavoro e del futuro.


Lasciamo perdere la prima frase propagandistica che è francamente ridicola. Dio pagano? Civiltà europea in pericolo? Ma figuriamoci. Guardiamo all'abbozzo delle proposte, che sono sostanzialmente di sussidiare il consumo (misura bizzarramente chiamata ''aumentare l'area del consumo''; forse fa a gara con Voltremont su chi inventa più frasi ad effetto per dire cose banali) e aumentare la spesa pubblica locale. Questo può sembrare diverso da ciò che sta facendo Tremonti ma non lo è affatto. Per esempio, appena insediato il nostro si sbracciava affermando la necessità di ''sostegno della domanda'', che poi voleva dire abolire l'ICI. E quanto giunge l'ora, la faccia dura del Tremonti rigorista si trasforma sempre nel sorriso compiacente del distributore di mancette. Basta guardare l'ultimo maxi-emendamento alla legge finanziaria, in cui tra le altre cose si viene incontro esattamente alla richiesta vendoliana di allentare il patto di stabilità per i comuni.

Una volta al governo Vendola, che ha più volte dato prova di pragmatismo, non potrà che prendere atto dei vincoli che sono imposti dalla presenza di un debito pubblico che naviga al momento verso il 120% del PIL. Per questa ragione i tassi sui nostri titoli di stato sono circa 1,5% in più che quelli sui titoli tedeschi. Si tratta di un sacco di soldi, pari grosso modo, se ci si perdona la spannometria, alla manovra tremontiana estiva e che Vendola aveva bollato con scarsissima fantasia di ''macelleria sociale''. Il punto molto semplice è che a passare dall'1,5% (o dal 2%, come durante la scorsa settimana) al 5% non ci vuole molto, come una rapida occhiata agli altri PIIGS dovrebbe rendere chiaro. Basta che il governo lasci andare per un po' i cordoni della borsa, convincendo i mercati che il tempo della responsabilità è già passato. Vendola lo sa, e sa anche che più di tanto le tasse non si possono aumentare. Ne segue che grandi programmi di aumento della spesa pubblica, indipendentemente dal giudizio sulla loro desiderabilità, semplicemente non sono possibili. Per cui tutte le menate sull'allargamento dell'area del consumo e sulla spesa degli enti locali non possono che ridursi, in perfetta continuità con la linea seguita finora, in interventi cosmetici e necessariamente di entità ridotta. In altre parole, cose del tipo ripetizione della detassazione dei premi di produzione e degli ''incentivi'' per motorini e motori fuoribordo, probabilmente con un twist di sinistra. Facile scommettere su ''incentivi verdi'' di un qualche tipo.

Il pensiero di Vendola, se si smussano un po' certe espressioni ideologiche, è in realtà il pensiero unico della classe dirigente politica italiana. Un pensiero che rifiuta di ammettere che la politica può tanto facilmente creare problemi quanto risolverli, che rifiuta di ammettere che i politici sono uomini come gli altri (soprattutto quelli convinti di essere migliori degli altri!) soggetti alle stesse tentazioni di fare il proprio interesse e agli stessi errori di giudizio. Un pensiero che ha generato l'orrendo intervento su Alitalia del governo di centrodestra e che rischia di generare simili mostruosità in un possibile prossimo governo di centrosinistra. Un pensiero, infine, che è il primo responsabile, per il tipo di politiche che ha generato, della scarsa dinamicità dell'economia e della società italiane.

Questo, alla fine, è forse l'aspetto più deludente della proposta economica di Vendola. Il meglio che di lui si può dire infatti è che è pragmatico. Che va bene, per carità, indubbiamente meglio pragmatico che pazzo. Ma il pragmatismo va bene per gestire l'esistente. Se vogliamo qualcuno che aggredisca alle radici la crisi italiana, che dia al paese una speranza di ritorno alla crescita, il pragmatismo non basta. In effetti essere pragmatici in un paese come l'Italia rischia addiirittura di essere deleterio, perché conduce rapidamente ad assuefarsi alle pratiche che hanno condotto il paese alla stagnazione. L'Italia in realtà ha bisogno di una rottura e di dirigenti che abbiano l'audacia di percorrere strade non battute.

Fino ad adesso Vendola non ha dimostrato di aver la stoffa per queste cose. Il fatto che nessun altro lo abbia fatto e che tanti politici, a cominciare da quelli che compongono l'attuale governo, siano peggio di lui è una ben magra consolazione.
“Il segreto della FELICITÀ è la LIBERTÀ. E il segreto della Libertà è il CORAGGIO” (Tucidide, V secolo a.C. )
“Freedom must be armed better than tyranny” (Zelenskyy)
Avatar utente
franz
forumulivista
forumulivista
 
Messaggi: 22077
Iscritto il: 17/05/2008, 14:58

PrecedenteProssimo

Torna a Ulivo e PD: tra radici e futuro

Chi c’è in linea

Visitano il forum: Nessuno e 2 ospiti