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Il nuovo Pd?

Il futuro del PD si sviluppa se non nega le sue radici.

Re: Il nuovo Pd?

Messaggioda Loredana Poncini il 12/12/2010, 16:03

La mia più grande speranza politica è che il PD provi d'essere un partito davvero nuovo, cioé che non si limiti ad amministrare l'esistente,accontentandosi di conservare quanto conquistato dal dopoguerra ad oggi dalla sinistra, ma s'ìmpegni a :
RIFORMARE LO STATO, riducendo le Provincie, almeno quelle inutili; avviando il federalismo solidale con dei costi-standard, con rientro dai debiti delle Regioni-canaglia;
RIFORMARE LA GIUSTIZIA. Non quella che riguarda l'oligarchia, ma quella che interessa il cittadino comune, cioè i tempi infami dei processi civili e penali e regole nuove sulle responsabilità dei professionisti e della burocrazia, ecc.
RIFORMARE IL FISCO: oggi cè sempre chi è più oberato dalle tasse(in busta-paga, prima ancora che i denari giungano in tasca) e chi vive alle spalle di chi le paga.
Dal PD va fatto un patto con i potenziali elettori del PD, mostrando chiarezza di idee e di azione, non sogni ma un progetto che ci permetta di uscire dal guado.
E' sperare in un miracolo?
Ottimismo della volontà! :P
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Re: Il nuovo Pd?

Messaggioda pierodm il 13/12/2010, 10:27

No Loredana, non è questione di miracoli.

La paura mia sai qual è?
Che alla fine, in qualche modo, le riforme si faranno - magari non tutte, non perfettamente, ma si faranno.
Solo che verranno fuori tempo massimo.
Noi da anni - da decenni, per certi versi - parliamo di cose che avrebbero dovuto esserci già prima del fascismo, e poi subito dopo la guerra, e insomma da anni e anni, cioè durante l'epoca delo stato repubblicano, del capitalismo, del mondo del '900.
La crisi del sistema - dei sistemi - che sta avvenendo su scala mondiale è già molto più avanti di queste riforme, che per altro non abbiamo ancora nemmeno cominciato, che sono necessarie, ma non sufficienti quando saranno - forse - effettuate.
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Re: Il nuovo Pd?

Messaggioda flaviomob il 26/12/2010, 18:41



"Dovremmo aver paura del capitalismo, non delle macchine".
(Stephen Hawking)
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Re: Il nuovo Pd?

Messaggioda Loredana Poncini il 27/12/2010, 10:16

Niente di "nuovo", allora ? 8-)
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Re: Il nuovo Pd?

Messaggioda disallineato il 29/12/2010, 20:08

Vabbè lasciamo perdere questi don chisciotte un pò scalcinati che poco portano al ns partito e molto cercano come visibilità per se stessi.
Parliamo di cose serie.
In questi giorni ci sono state polemiche da parte dei "prodiani" che sembrano avvezzi alle polemiche e ai veti, nel segno della più tradizionale continuità democristiana della prima repubblica quando 4 gatti potevano mettere in crisi un partito.
Dopo i traditori finiani ( che a noi han fatto comodo ) ora dobbiamo sorbirci anche i i "prodiani". Basta. Un partito che ha aspirazioni di governo come è il ns, non può rischiare di andare in crisi per i cespugli formati da esigue minoranze che ricattano le maggioranze
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Re: Il nuovo Pd?

Messaggioda flaviomob il 04/01/2011, 19:47

Piero Bevilacqua
Gli operai, la Fiat e il Pd

Per comprendere meglio ciò che accade a Mirafiori e a Pomigliano è necessario affondare lo sguardo nelle tendenze storiche che muovono il capitalismo del nostro tempo. E bisogna scomodare Marx, che aveva colto come «legge fondamentale dell'accumulazione capitalistica» una tendenza già evidente ai suoi tempi e oggi conclamata: «Dato che la massa di lavoro vivo impiegato diminuisce costantemente in rapporto alla massa di lavoro oggettivato da essa messo in movimento (cioè ai mezzi di produzione...) anche la parte di questo lavoro vivo che non è pagato e si oggettiva nel plusvalore, dovrà essere in proporzione costantemente decrescente rispetto al valore del capitale complessivo impiegato».
Nel corso del suo sviluppo, dunque, il capitalismo riduce costantemente la quota di lavoro per unità di prodotto, cercando di sfuggire alla caduta tendenziale del saggio di profitto e di sostenere la competizione. Quella competizione che oggi si fa a se stesso, delocalizzando parte delle imprese nei paesi a bassi salari. Ma il capitale che espelle lavoro cerca di sfruttare più intensivamente quello che impiega, perché più ridotta diventa nel frattempo la quota da cui può estrarre plusvalore. André Gorz ha riassunto questa contraddizione che stritola i lavoratori: «Più la quantità di lavoro per una data produzione diminuisce, più il valore prodotto per lavoratore - la sua produttività - deve aumentare affinché la massa del profitto realizzabile non diminuisca. Si ha dunque questo apparente paradosso per cui più la produttività aumenta, più è necessario che aumenti ancora per evitare che il volume del profitto diminuisca».


«La corsa alla produttività tende così ad accelerarsi, gli impiegati effettivi a essere ridotti, la pressione sul personale a inasprirsi, il livello e la massa dei salariati a diminuire». In questa morsa oggi, letteralmente, si soffoca. Chi ha la pazienza di leggersi la grande inchiesta della Fiom del 2008, cui hanno partecipato 100 mila lavoratrici e lavoratori, può farsene un'idea.
Siamo dunque giunti a una fase storica nella quale o noi costringiamo il capitalismo a cambiare il suo modello di accumulazione, o esso trascinerà l'intera società industriale nella barbarie. Non è un'espressione di maniera. Non è uno slogan. Chi oggi, anche in buona fede, difende il nuovo contratto imposto da Marchionne, crede che il cedimento sia accettabile come un compromesso temporaneo, dovuto alla crisi in atto e ai vincoli della competizione mondiale. E' un gravissimo errore. Questa idea fa parte di una campagna pubblicitaria che punta a far arretrare ulteriormente i rapporti di classe con un argomento puramente propagandistico: oggi occorre tirare la cinghia per poter ritornare allo splendore di prima. Ma prima il cielo era davvero così splendido? Che questa sia una menzogna è possibile illustrarlo con una semplice analisi storica, con fatti scientificamente verificabili.


Prima della crisi, nel 2000, nei paesi dell'Ocse si contavano 35 milioni di lavoratori disoccupati. Come ha spesso illustrato Luciano Gallino, i nuovi posti di lavoro creati in Europa sono stati in gran parte «a tempo» e precari. Negli Usa, non solo i nuovi posti di lavoro - per lo più nei servizi e con ampie quote di part-time femminile - sono stati gonfiati dal sistema di rilevazione statistica: una sola settimana di lavoro poteva «fare» un impiego annuale nelle stime generali sull'occupazione. Ma in quegli anni sparivano dalle statistiche oltre 2 milioni di persone «occupate» nelle carceri di Stato (e in quelle private). E qualche hanno fa abbiamo scoperto che tra il 1973 e il 2005 il reddito dei lavoratori «è lievemente diminuito». Ma sul paese più ricco del mondo, epicentro della crisi mondiale, voglio aggiungere due dati che persuaderanno il lettore. Nel 1995 il numero dei bambini al di sotto della linea ufficiale di povertà assommavano al 26,3%, quasi alla pari con la Russia di Yeltsin (26,6%), allora in vendita ai predoni di tutto il mondo e in mano alle mafie locali. In tale statistica - da un'inchiesta comparativa su 25 paesi - figuravano al 3° e 4° posto il Regno Unito (21,3%) e l'Italia (21,2), i paesi più zelanti nell'applicare verbo e dettami del pensiero neoliberista. E sempre per restare negli USA, già nel 1990 la National Association of State Board of Education aveva dichiarato senza mezzi termini: «Mai prima una generazione di teenagers americani è stata meno sana, meno curata, meno preparata per la vita di quanto lo fossero i loro genitori alla stessa età».


Potremmo continuare. Ma qui è sufficiente ricordare è che già prima della crisi il capitale aveva saccheggiato il lavoro salariato e i redditi dei ceti medi, senza risolvere il drammatico problema della disoccupazione e diffondendo la precarietà. In Italia, dopo decenni di asservimento del ceto politico - di centro-sinistra e centro-destra - alle ragioni dell'impresa, è andata anche peggio. Nell' utilizzare il termine asservimento, non mi riferisco solo alle vendite del patrimonio pubblico, alla liberalizzazione di tanti servizi municipali. In questo caso penso alla deliberata volontà di scaricare sul lavoro i rischi dell'impresa, rendendo il lavoratore flessibilmente subordinato alle sue necessità. Dalla Legge Treu del 1997, alla Legge 30 del 2003, il capitalismo italiano ha potuto godere di condizioni di generosa disponibilità nell'uso della forza lavoro. Con quale esito? Mi è sufficiente sintetizzare i risultati di tale geniale strategia con un bilancio recente (2008) del Governatore della Banca d'Italia: «Negli ultimi vent'anni la nostra è stata una storia di produttività stagnante, bassi investimenti, bassi salari, bassi consumi, tasse alte». Tasse relativamente più gravose per gli operai che - secondo un'indagine Ires - tra il 2002 e il 2008 hanno lasciato al fisco, mediamente, 1.182 euro delle loro misere paghe. E per finire (dati Banca d'Italia 2008), la metà più povera della popolazione possedeva il 10% della ricchezza nazionale, mentre il 10% di quella più ricca deteneva il 44%.


E allora torniamo alla Fiat, agli operai, ai partiti politici. Quanto abbiamo ricordato significa innanzi tutto una cosa: la politica moderata del centro-sinistra, che ha attuato - non diversamente dal centro-destra - le ricette neoliberiste, non è minimamente servita a difendere i ceti operai, anzi li ha ulteriormente impoveriti. Non ha ottenuto maggiori investimenti da parte delle imprese, ha contribuito a fare arretrare il paese nel suo complesso. Continuare su questa linea fallimentare, con l'idea di «uscire dalla crisi» secondo la ricetta moderata, costituirà una sciagura di portata incalcolabile per le masse popolari e per tutta la società industriale italiana. Il tracollo economico in cui siamo immersi non è la solita crisi ciclica. Altrimenti non avremmo avuto così tanta disoccupazione e povertà prima che essa esplodesse. Nelle fasi alte del ciclo - come sappiamo dalla lunga storia storia dei tracolli capitalistici - crescono ricchezza e occupazione. Noi abbiamo avuto soltanto la bolla finanziaria, cresciuta sul debito. La «crisi» di questi anni è il risultato di un gigantesco saccheggio di reddito che il capitale ha compiuto in una fase storica di debolezza del suo avversario di classe e del movimento operaio organizzato. Perciò dal presente imballo sistemico non si esce se non attraverso una altrettanto gigantesca opera di redistribuzione della ricchezza.
Un compito di ampia portata, ne siamo consapevoli. Ma bisognerebbe innanzitutto incominciare a dichiararlo. Poi predisporre le forze. Perché oggi, per essere all'altezza delle sfide, bisogna mettere in piedi un fronte di conflitto sociale di non comune ampiezza. Il comportamento «moderato» di tanti dirigenti del Pd, sostanzialmente favorevoli ad accettare la strategia di Marchionne, è a mio avviso un fatto drammatico, che impone una presa d'atto di tutte le persone che militano oggi nella sinistra.


Il Pd: «un amalgama malriuscito» è stato definito da chi conosce la materia, avendo ridotto la politica all'arte di «amalgamare» capipartito. Credo che sia stato qualcosa di ben più grave. La scelta veltroniana del «bipartitismo perfetto» rivela una lettura di retroguardia delle tendenze politiche mondiali. Laddove esso è stato storicamente dominante (Usa e UK) oggi appare una barriera all'esercizio della democrazia. Gli scienziati della politica hanno coniato in proposito il termine di cartel party, cartello di partiti, per indicare questo assetto di duopolio che emargina le voci e le culture politiche dissenzienti e realizza invariabilmente le medesime politiche alternandosi alla guida degli esecutivi.
Ma è la scelta di equidistanza tra le classi, il moderatismo sociale, che oggi fa del Pd - sia detto con tutta la responsabilità che l'argomento e il momento richiedono - un partito inservibile. Ha privato la società italiana di una opposizione che portasse i bisogni del paese dentro il Parlamento. Qualcuno dei lettori ha mai sentito D'Alema, Veltroni, Bersani parlare - poniamo - di legge urbanistica e di problemi della città, di assetto del territorio, di riscaldamento climatico, di agricoltura biologica, di ritmi di lavoro e di sfruttamento in fabbrica, di beni comuni? Non aggiungo all'elenco precarietà e disoccupazione, perché sono presenti nel loro vocabolario, ma come slogan privi di qualunque contenuto.



Mi permetto di continuare con le domande. Quanto, la sfida che Marchionne ha lanciato alla Fiom e alla classe operaia di Pomigliano e di Torino, si fonda sul calcolo di un'opposizione benevola di tanta parte del Pd? E infine una questione generale, relativa alla vita politica italiana recente: quanto il dilagare della Lega nelle zone operaie del Nord o la permanenza del potere berlusconiano, anche in queste ultime settimane, dipendono direttamente dall'assoluta incapacità del Pd - culturale ancor prima che politica - di rappresentare gli interessi delle masse popolari, di offrire agli italiani un progetto e almeno un'immagine diversa di società?
Il moderatismo politico non è oggi una scelta di prudenza, di politica dei piccoli passi. È piuttosto un galleggiamento sull'esistente. Ma l'esistente, dominato oggi da forze predatorie, non rimane fermo, tanto meno procede verso il meglio. Si indietreggia lentamente sul terreno sociale, dei diritti, della democrazia. In una fase storica in cui solo la ripresa del conflitto può ridare equilibrio alla macchina economica e alla società, come anche significato e forza alla politica, i partiti moderati sono inservibili. Sono oligarchie parassitarie. Danno ospitalità permanente a professionisti che vivono di politica. E dobbiamo amaramente concludere: a che serve un Pd che crede di uscire dalla situazione in cui siamo precipitati replicando la politica che ci ha condotti sino a questo punto?

http://www.ilmanifesto.it/archivi/comme ... colo/3940/

NdR Piero Bevilacqua è professore ordinario di storia contemporanea all'università La Sapienza di Roma.


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Re: Il nuovo Pd?

Messaggioda pianogrande il 08/01/2011, 14:11

Sempre ritornano

Un grande passo avanti del PD sarebbe mettere nello statuto che chi fallisce deve levarsi di torno (ma proprio sparire senza lasciare tracce).
Abbiamo pagato carissimo il fallimento totale e reiterato di Rutelli.
Adesso non siamo capaci neanche di tenere a freno il più rincojonito dei nostri falliti (sua eccellenza Veltroni).
Nel frattempo quello che La Russa definì un cadavere, facendoci più sorridere che incazzare un po' tutti, vuole fare il sindaco di Torino.
Che il PD si digerisca i suoi rospi in privato.
La vera domanda è, nel frattempo, che cosa dobbiamo fare noi.
Fotti il sistema. Studia.
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Re: Il nuovo Pd?

Messaggioda matthelm il 08/01/2011, 15:17

Pianogrande, se posso, la storia non si fa a "mozzichi e bocconi" (si dice così a Roma?).

Gli esiti elettorali di Rutelli e Veltroni si possono leggere molto diversamente da come li hai letti tu. Magari si ripetessero ora.

E poi se Veltroni è un rincojonito, come dici tu, come possiamo chiamare Bersani, che va molto peggio? Ririncojonito?

Sono battute,d'accordo, ma sotto la luce del sole non c'è di meglio, al momento e purtroppo.
"L'uomo politico pensa alle prossime elezioni. Lo statista alle prossime generazioni".
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Re: Il nuovo Pd?

Messaggioda pierodm il 08/01/2011, 19:42

Pianog, non credo che sia opportuno mettere nello statuto certe regole, e in generale credo che di regole ne dovrebbero bastare poche, ma chiare e applicate con intransigenza.
Anche eprché rimane difficile - e arbitrario - stabilire se qualcuno abbia fallito, o no.

Per questo genere di cose esiste la sensibilità etica, il senso della vergogna, il pudore, e nei casi controversi o laddove il pudore personale non arriva, la condanna e la sfiducia che il "colpevole" sente intorno a sé all'interno del partito.

Qui abbiamo invece gente con la faccia di bronzo, che non si vergogna di niente, e quadri di partito che digeriscono tutto, in un perverso gioco di perdonismi incrociati.
Occhetto è stato l'unico che si è auto-affondato, sia pure con una certa esitazione dopo un primo gesto plateale di dimisioni, che forse sperava sarebbero state respinte.

Tra i più noti, la palma del più svergognato appartiene al "mangiatore di cicoria" Cicciobello Rutelli - che è riuscito non solo a perdere le elezioni del 2001, ma anche quelle a sindaco di Roma contro Alemanno, oltre che ha collezionare una dozzinba di cappellini vari, da quello liaco e radicale, a quello prodiano, a quello papalino di neo-baciapile - seguito a ruota da Walter Veltroni - che si è "vergognato" di una sola cosa, del comunismo, dopo averci passato due terzi della vita e averci costruito sopra una carriera, la quale per altro è l'antitesi di quella meritocrazia e di quella "democrazia" delle quali gli piace parlare, essendo un classico e privilegiatissimo "figlio d'arte" - e da Massimo D'Alema, che ha realizzato impunemente il suo capolavoro con la Bicamerale che ha resuscitato un boccheggiante Berlusconi.

PS
A Roma si dice a tozz'e bocconi - i tozzi sono i pezzi di pane.
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Re: Il nuovo Pd?

Messaggioda pianogrande il 08/01/2011, 23:57

Quando si ha un obiettivo e non lo si raggiunge con grande delusione di chi ci ha creduto (o ci ha, comunque, sostenuto).
Quando si promettono mari e monti (suonando la cetra e recitando versi sdolcinati nei saloni del lingotto) e poi non si va neanche in Africa (l'unica promessa che poteva essere mantenuta e ci avrebbe fatto felici).
Quando si è cofondatori di un partito importante e, per per mettersi il cartellino del prezzo si va a fondare un (?) allo zero,qualcosa percento pur di metterci il proprio cognome.
Fassino, poi, non mi fa venire in mente proprio niente (a dimostrazione della sua irrilevanza).
Fotti il sistema. Studia.
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