da pierodm il 13/05/2009, 8:33
Ho l'impressione che, in questa ormai annosa disputa su partiti e bi-tri-pentapolarismi, non sia ben chiaro se vogliamo un'articolazione politica che rappresneti la realtà politica, o se vogliamo un panorama che soddisfi le esigenze "estetiche" di semplificazione, ossia regali un po' di sollievo alla nostra nevrosi.
Io, per esempio, concordo con Ranvit sul fatto che serve qualcosa di drastico, perché non si può veramente più andare avanti con questi piccoli ciafrugli, queste pecette.
E condivido anch'io, con Ranvit, l'insofferenza verso personaggi che hanno abbondantemente superato la "data di scadenza".
Ma liberarsi di questa gente è solo un evento liberatorio che, appunto, dà sollievo alla nevrosi, ma non risolve praticamente niente, ovvero non è una matrice di rinnovamento, ma ne è semmai una conseguenza, un effetto.
In altri termini, voglio dire che le divisioni e i problemi dei quali parliamo esistono nella realtà, nella società, nell'economia, e semplicemente si riflettono nella formazione delle forze politiche: comunque giriamo la frittata, comunque scomponiamo e ricomponiamo il puzzle, le divisioni e i problemi tornano sempre fuori.
Specularmente, la relativa unità del PdL è molto marginalmente dovuta all'opera di Berlusconi - che al massimo è servito da catalizzatore - quanto invece risiede nella sostanziale unitarietà culturale della destra italiana, o più precisamente della cultura sostanzialmente populista, qualunquista e para-fascista di una parte importante della società politica italiana.
Per queste ragioni - e altre a queste connesse - penso e dico da tempo che il bipolarismo italiano è destinato ad essere o una fabbrica di "pensiero unico" e di inciucio permanente, o uno stato perenne di guerra civile "fredda", nella quale il polo progressista è sistematicamente compresso in una forma di unità obbligata di tipo "resistenziale".