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Bersani dove vai?

Il futuro del PD si sviluppa se non nega le sue radici.

Re: Bersani dove vai?

Messaggioda trilogy il 09/08/2012, 12:59

9 agosto 2012

«Fedeli all'Europa del rigore, industria fra le politiche prioritarie»
di Fabrizio Forquet
http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/ ... d=Abu5giLG

«La prima cosa che intendo dire all'Italia e all'Europa è che noi siamo quelli dell'euro, siamo quelli dei governi Prodi, Amato, D'Alema che fecero fede in condizioni difficili a tutti i patti internazionali, europei e occidentali, che siamo quelli di Ciampi e Padoa-Schioppa». Pier Luigi Bersani sa che la sfida più grande per lui è ormai arrivata.

Mancano sette-otto mesi alla chiusura della legislatura, ma ormai la corsa in vista delle elezioni è partita. Chi vuole avere chance per andare al governo deve mettere sul tavolo le carte migliori che ha a sua disposizione. Bersani è tra i più accreditati. Lui lo sa. E ha scelto il Sole 24 Ore per provare a spiegare agli elettori italiani, all'Europa e ai mercati perché devono fidarsi del centro-sinistra dopo i buoni risultati del governo Monti.

Bersani, non c'è il rischio che i prossimi mesi siano occupati dalla campagna elettorale, proprio mentre il Paese è ancora chiamato a scelte difficili?
È intanto utile, in questi mesi che ci avvicinano a un appuntamento elettorale, come avviene in tutte le democrazie del mondo, dare messaggi molto chiari sui temi di fondo: lealtà al governo Monti, lealtà verso il grande obiettivo europeo, responsabilità nella tenuta dei conti, nella riduzione del debito e nella costruzione di un avanzo primario. Contro ogni deriva regressiva e populista intendiamo fare barriera forte. Detto questo, vogliamo arrivare all'appuntamento elettorale dicendo la nostra, sull'Europa e sull'Italia.

Partiamo dall'Europa, deve fare di più. Ma come e in che direzione?
L'Europa così come gira non va bene. Io credo innanzi tutto che il dibattito con le opinioni pubbliche europee vada spostato dalle tecnicalità economiche al tema di fondo che è culturale e politico. Il patto iniziale fu la riunificazione della Germania dentro una Europa forte. Se si rompe quel patto andiamo verso l'incognito. Purtroppo in questi anni abbiamo visto diffondersi, sotto l'influsso della globalizzazione, un'ideologia di destra per cui chi è forte pensa che chi è debole gli stia svuotando le tasche. È una ideologia pericolosa, l'abbiamo vista anche nelle reazioni all'intervista di Monti, al di là della frase più o meno felice sui parlamenti.

Intanto il clima con la Germania diventa sempre più teso. È giusto secondo lei attribuire ai tedeschi responsabilità su quello che sta avvenendo?
Non va bene fare guerre con la Germania. Noi paesi cosiddetti periferici dobbiamo riconoscere che dopo l'euro non abbiamo fatto i compiti a casa, non abbiamo approfittato del l'abbassamento dei tassi. Secondo me questo è avvenuto per responsabilità di Berlusconi, ma come Paese dobbiamo riconoscerlo. La Germania deve riconoscere, però, che tutto quel che ha guadagnato dall'euro, ed è tantissimo, può anche perderlo e che una famiglia non si salva ammazzando qualche familiare. Quindi va fatto valere un discorso di corresponsabilità. Solo così l'Europa farà passi avanti e li farà fare a tutti noi.

L'Italia ha fatto i suoi compiti a casa?
Abbiamo fatto molto. Ma è venuto il momento, e noi lo faremo da subito se saremo chiamati a governare, di mettere al centro delle nostre preoccupazioni l'economia reale. Quand'anche avessimo tutti gli scudi anti-spread del mondo, se l'economia reale viaggia in questo modo, non ce la caviamo.
La recessione che abbiamo davanti è di dimensioni preoccupanti.
Dobbiamo fare ogni sforzo per la crescita, o almeno per contrastare la recessione. Magari sui conti pubblici teniamo, ma qui rischiamo di arretrare decisamente nelle quote mondiali di produzione e lavoro. Nelle esportazioni i margini si vanno assottigliando. Il mercato interno è fermo. Così rischiamo una riduzione strutturale della nostra base produttiva. Allora nei famosi compiti a casa va data priorità a quella che potremmo definire, in senso esteso, politica industriale, che per me vuol dire anche politiche per i servizi o l'agricoltura.

Il governo non fa abbastanza?
Diciamo che per ora c'è attenzione non sufficiente. Ma il problema viene da lontano. Per troppo tempo abbiamo assistito inerti allo spostamento di investimenti dall'economia reale alla finanza. Dobbiamo invertire la rotta. Siamo un sistema di piccole e medie imprese, dobbiamo averne cura. Io rimpiango, per esempio, la dual income tax, il credito d'imposta per la ricerca, le prospettive tecnologiche dell'industria per il 2015. Se avessimo tenuto su queste misure forse non saremmo a questo punto.

Il governo ha rinunciato a ripristinare il credito di imposta per la ricerca...
E invece va fatto. Quando io ci lavorai immaginavo uno strumento che doveva insediarsi come strutturale: gli imprenditori devono sapere che è un incentivo a disposizione per anni e senza rubinetti di sorta che creano sfiducia e incertezza.

Su quali settori è giusto puntare?
L'Italia deve fare l'Italia. Deve puntare sulle sue tradizioni, tipicità, sul patrimonio del made in Italy. Poi deve portare tutto questo alle frontiere tecnologiche nuove. Quindi l'efficienza energetica, le tecnologie del made in Italy, le scienze della vita, le tecnologie per i beni culturali, e così via.

Intanto la burocrazia e i cavilli bloccano spesso gli investimenti. Cosa fare?
Bisogna agire su alcune condizioni del contorno: dalla giustizia civile alle duplicazioni amministrative. Ma ho una mia idea sul rilancio degli investimenti industriali, quello del riuso delle aree industriali.

Un buco nero fino ad oggi in Italia.
Ed è una grande opportunità. Oggi abbiamo enormi aree dismesse, bloccate dai costi di bonifica e da pastoie burocratico-amministrative. Dobbiamo introdurre un meccanismo anche finanziario che risolva il problema delle bonifiche e permetta con dei patti d'insediamento qualche accelerazione da un punto di vista amministrativo e autorizzativo.

Resta il problema più ampio della pletora di autorizzazioni e controlli che rendono impossibili spesso gli investimenti.
La via è quella di esternalizzare: una serie di funzioni che riguardano le attività produttive possono essere affidate a un'autocertificazione rafforzata da parte di professionisti assicurati, così l'amministrazione pubblica si concentra sui controlli.

Cos'altro ha in mente quando parla di nuova politica industriale?
Ci sono tanti strumenti da rivedere: siamo a posto con le procedure straordinarie, leggi Prodi 1 e 2, la legge Marzano? Secondo me no. Vogliamo discutere sulla cassa integrazione speciale? Mi va bene che tassativamente non ci siano proroghe ma nel sistema industriale italiano è un errore buttare via uno strumento così.

È giusto usare anche la Cdp per fare politica industriale? E con che ambiti?
Credo sia utile come riferimento nelle società delle reti e va bene il volano per le infrastrutture. Ma io sarei più ambizioso nel riconsiderare questo fondo strategico che non si capisce bene cosa faccia. Noi abbiamo un sistema di medie imprese, quelle che innovano, investono, si internazionalizzano, che adesso sono piene di impegni con le banche. Allora io dico: con partecipazioni minoritarie, in modo selettivo, è inimmaginabile un fondo misto di partecipazione dove transitoriamente Cdp, le banche trasformando temporaneamente i loro crediti, siano impegnati in operazioni non di salvataggio, ma di supporto?

Sulla banda larga continuiamo ad avanzare solo con piccoli passi.
Lì ci vuole una forte regìa del Governo. E sono convinto che Cdp deve essere messa al servizio via via di una soluzione combinata, soluzione che guardi al progetto paese.

La produzione automobilistica in Italia continua ad arretrare. Il Governo farebbe bene a convocare Marchionne?
La diplomazia economica dei governi è importante. Io ho sempre detto che l'unica soddisfazione certa di un ministro è che se chiami un interlocutore questo deve venire. Poi può dire quello che vuole, ma deve venire e dirtelo. Qui c'è un po' di debolezza del Governo. Su Fiat, ma anche su Finmeccanica dove lo Stato è proprio azionista.

Ma la decisione sugli investimenti in Italia tocca alla Fiat non al Governo.
Io credo che bisogna chiamarli e chiedere: vi impegnate voi o no? Perché Fiat già ci ha condizionato già una volta negli anni '80 bloccando la possibilità di altri ingressi. Se hanno tutti gli stabilimenti in cassa integrazione, non possono bloccarci nei prossibili sviluppi dell'industria automobilistica in Italia.

Lei ha capito che fine ha fatto il piano Fabbrica Italia?
Io non ho mai capito cosa fosse e quindi non ho mai capito dove è finito. Si è imbastita una polemica tra Marchionne e Fiom e si è perso di vista l'aspetto industriale vero. Se Fiat non ce la fa, meglio i tedeschi che nessuno. Ma io sono preoccupato che un pezzo di Paese vada in controllo estero. Su Ansaldo energia e su Ansaldo trasporti per esempio eviterei di perdere il controllo.

Come vede la situazione dell'Ilva?
La decisione presa martedì consente sviluppi positivi. I temi ambientali, attenzione, sono temi veri.

La politica industriale richiede risorse, così come il rispetto degli impegni Ue. Nel momento in cui vi proponete per governare il Paese dovete dire dove prendete i soldi.
Io vorrei smontare l'assioma o taglio o tasse. Spesso a un taglio corrisponde una sorta di tassa che magari viene pagata dagli italiani più deboli in termini di servizi. Bisogna mirare i tagli agli sprechi veri, altrimenti deprimi il mercato e metti le mani nelle tasche degli italiani.

Altre fonti di risorse?
Riequilibreremo i carichi fiscali. Ma soprattutto: noi al netto del ciclo siamo tra i Paesi messi meglio. Senza toccare l'avanzo primario, bisogna trovare con l'Europa un minimo meccanismo di elasticità.

Cambiare i patti?
No, solo un calcolo del ciclo fatto con buon senso. Da vedere con la Commissione. Se poi arrivasse un po' di sollievo sui tassi... Le operazioni di politica industriale non costano moltissimo. E io darei priorità a un'altra questione: con il governo Prodi non eravamo in crisi e spendevamo 2,5 miliardi di fondo sociale, oggi con la recessione è ridotto a 150 milioni. Non c'è teoria, per quanto liberista, al mondo che non consideri che in epoca di recessione devi rispondere con spesa sociale. Farei una task force con enti locali e terzo settore per affrontare questa questione.

Siamo tornati a misure di spesa. Lei ha ribadito gli impegni europei, ma poi quando si parla delle risorse necessarie allo sviluppo e a centrare quegli impegni c'è troppa genericità.
Guardiamo la storia. Quando si è trattato di controllare la spesa corrente abbiamo fatto meglio noi della destra. Per un motivo semplice: conosciamo meglio l'amministrazione e la macchina di governo.

Sugli enti locali si può tagliare ancora?
Bisogna vedere di cosa parliamo. L'enorme pletarora di consorzi e società miste va sbaraccata. Poi bisogna ridurre il carico di impiego pubblico in una forma che lavori sul turn-over in modo intelligente. Poi vanno alienati beni pubblici. Ma in forma realistica, quando sento parlare di 400 miliardi, dico: eravate lì potevate farlo. Ma come lo declina Grilli o come lo dice Astrid sicuramente si può fare.

A proposito di dove reperire le risorse non ha ancora parlato di patrimoniale...
La nostra posizione è quella di un contributo dei grandi patrimoni immobiliari. Aggiungo che, a proposito di dove prendo i soldi, noi sull'evasione dobbiamo fare di più. Serve la Maastricht della fedeltà fiscale: arrivare all'obiettivo più tre o meno tre di fedeltà fiscale rispetto all'Europa. Come ci si arriva: attraverso la deterrenza certamente, come si fa negli Usa, ma soprattutto attraverso banche dati incrociate.

Ma non pensa che con l'Imu già oggi la tassazione su chi ha più immobili è molto alta?
Credo che per i patrimoni più ingenti ci possa essere qualche contributo in più, potenziando un po' le esenzioni per chi ha di meno.

proviamo a individuare la rappresentanza sociale di un suo eventuale governo.
Lavoro dipendente che fa il suo dovere, professioni che accettano la modernizzazione, l'intellettualità e la creatività italiana, gli imprenditori che fanno il loro mestiere e credono alla loro impresa. Ci metto anche il ceto medio impoverito. Isolo invece come avversari tutte le posizioni di rendite a qualsiasi livello, le ricchezze e i patrimoni che rifiutano la solidarietà. L'accordo con la Svizzera va fatto perché bisogna raggiungere la ricchezza mobile che si occulta.

Non si preoccupa quando Vendola apre a Casini a condizione che «rinunci alle politiche liberiste, mercatiste e rigoriste» appoggiate in questi anni?
Le aggettivazioni ognuno le sceglie come vuole. Che però in questi dieci anni in Italia e in Europa si sia permesso che l'egemonia finanziaria dominasse su tutto è stato un problema.

Ma Vendola mi sa che facesse riferimento più al Casini che appoggia Monti che ad altro....
Io ho già detto che la continuità con Monti sarà la salvezza di un'Italia che è europea e europeista. Che sta ai patti finché i patti non si cambiano e migliorano. Quindi la dignità di un Paese che sa qual è il suo destino. Dopodiché io convengo sul fatto che in Europa e in Italia noi dobbiamo dare più attenzione al lavoro.

Ma non è un'umiliazione per la politica fatta dai partiti in questi anni che un governo tecnico abbia fatto in pochi mesi una serie di riforme di cui si parlava da anni e non realizzavano?
Qualcuno dice che tra il '96 e il '98 si sono viste liberalizzazioni e politiche industriali più incisive di quelle fatte ora.

Sulle liberalizzazioni gioca in casa, ma sul resto?
Sulle pensioni abbiamo fatto molto.

Anche qui negli anni '90. Ma nell'ultimo governo Prodi siete tornati indietro sullo scalone...
Giustamente credo, la gradualità nelle riforme serve. Come si è dimostrato con la vicenda degli esodati.

Bersani, insisto, perché questo è il punto: in Europa e sui mercati c'è preoccupazione per un ritorno di Berlusconi, ma anche di un centro-sinistra bloccato sulle riforme dai veti politici e sindacali.
È un pregiudizio. La nostra è una politica intenzionata a chiedere il consenso della gente dicendo come prima cosa che siamo in una crisi seria e che serve responsabilità. Ma io rifiuto l'affermazione che il governo Monti abbia fatto più riforme dei governi politici di centro-sinistra. Se poi le riforme sono solo l'articolo 18...

A proposito, sulla riforma del lavoro rimetterete le mani?
Sì. Il mercato del lavoro va sicuramente reso più efficiente. Ma il dibattito sull'articolo 18 è un dibattito interno ideologico. Il problema è quello della produttività: e qui siamo carenti in investimenti, ambiente di contorno, rigidità organizzativa ed eccesso di precarietà. In questo senso io credo che la questione del lavoro vada vista anche dal punto di vista dei contratti. E qui sono un convinto sostenitori di uno spostamento verso l'ambito aziendale, preservando però una base di omogeneità nazionale. Dare flessibilità organizzativa a fronte di investimenti esigibili: questa è la pista da percorrere.

Ma l'alleanza con Casini si fa prima o dopo le elezioni?
Dipenderà anche dal sistema elettorale. Io ho in testa un'area progressista aperta che non è solo partiti. Che sia in condizioni prima o dopo le elezioni, di lanciare un appello di collaborazione a tutte le forze europeiste, antipopuliste e costituzionali. Poi credo nei vincoli che ci siamo dati nella carta d'intenti per governare insieme: si decide a maggioranza quando non siamo d'accordo.

9 agosto 2012
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Re: Bersani dove vai?

Messaggioda flaviomob il 09/08/2012, 22:07

Se Fiat non ce la fa, meglio i tedeschi che nessuno.

E bravo Pigi!


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Re: Bersani dove vai?

Messaggioda franz il 10/08/2012, 7:41

flaviomob ha scritto: Se Fiat non ce la fa, meglio i tedeschi che nessuno.

E bravo Pigi!

Il bello è che se i tedeschi venissero in Italia, con uno stabilimento, le tasse le pagherebbero in germania, dove c'è la sede generale. In effetti converrebbe. Cosi' come anche a FIAT converrebbe mantenere stabilimenti un po' ovunque ma stabilire la sede generale dove si pagano meno imposte sugli utili. Per esempio in Germmania (20% contro il 55-60% dell'Italia).
Ora su un utile di 2 miliardi, una cosa è pagare piu' di un miliardo di imposte, altro è pagarne solo 400 milioni. Diciamo che la differenza è un nuovo modello, un investmento in macchinari e tecnologia. E dopo 20 anni la differenza si vedrebbe.
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Re: Bersani dove vai?

Messaggioda ranvit il 10/08/2012, 10:03

Come spesso gli succede Bersani dice cose in linea di massima sensate (qualche volta pero' troppo ottimistiche...l'Euro imploderà a breve...). Il guaio è che poi una volta al Governo, il Cs e quindi presumibilmente anche Bersani (vedi lenzuolate...), per tenersi buona la Cgil e un po' di infantili della sinistra radicale, non fa le cose promesse. Anzi non fa nulla.

Credo che alle prossime politiche non votero'... :oops:
Il 60% degli italiani si è fatta infinocchiare votando contro il Referendum che pur tra errori vari proponeva un deciso rinnovamento del Paese...continueremo nella palude delle non decisioni, degli intrallazzi, etc etc.
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Re: Bersani dove vai?

Messaggioda franz il 10/08/2012, 16:20

Spesso dice cose generiche e banali, come nella "carta degli intenti" ("cercheremo di andare nella direzione giusta").
Ma sulla lunga 'intervista al sole 24 ore ecco un breve spillo dell'INKIESTA.


Caro Bersani, basta dire banalità sull’industria

Sul Sole di stamattina viene pubblicata la più lunga intervista mai rilasciata da Pierluigi Bersani da quando fa politica. Il titolo (“Fedeli all’Europa, ora priorità all’industria”) suscita in noi, che da mesi cerchiamo di riaffermare, in solitudine, il ruolo baricentrico dell’industria, una certa curiosità. Arriviamo dunque alla ottava cruciale domanda («su quali settori è giusto puntare») con l’ansia che sale nel conoscere quali saranno gli indirizzi prioritari di politica industriale del Pd. Insomma ci aspettiamo che Bersani faccia, coerentemente con la domanda posta, un elenco, non certo esaustivo, dei segmenti dove l’Italia deve investire. La risposta del segretario del Pd è una delusione cocente. Per l’ennesima volta ci sentiamo dire che «l’Italia deve fare l’Italia, deve puntare sulle tradizioni, tipicità, sul patrimonio del made in Italy». E via un’altra serie di banalità, trite e ritrite. Inutile dire che da uno dei candidati più accreditati alla premiership ci aspettavamo molto di più. (a.c.)

Leggi il resto: http://www.linkiesta.it/caro-bersani-ba ... z239YDhBVc


Vedere anche, sempre su l'INKIESTA:

Bersani, un’intervista da 0-0: così non vince né il Pd né l’Italia
Alberto Crepaldi

Tanta prudenza e pochi punti programmatici, nell’intervista fiume del Sole 24 Ore a Bersani. Temi strategici nemmeno sfiorati, mezze parole su patrimoniale e qualche contraddizione di troppo. Ma, soprattutto, servirebbe un Bersani più visionario, con le opportune suggestioni, per far capire quale mondo industriale ha in mente per far tornare a correre l’Italia.

Pierluigi Bersani ha concesso una lunga intervista al Sole 24 Ore. L’incipit è incoraggiante. Perché chiarisce come, almeno su fronte dei conti, bisogna continuare sulla strada intrapresa da Monti nel dare messaggi molto chiari alle democrazie del mondo. Tra gli altri, di «responsabilità nella tenuta dei conti, nella riduzione del debito e nella costruzione di un avanzo primario». Nelle tappe di avvicinamento ai temi clou dell’intervista, il segretario incappa però in una palese contraddizione. Perché prima afferma che «dobbiamo riconoscere che dopo l’euro non abbiamo fatto i compiti a casa» e poi, alla domanda «l’Italia ha fatto i compiti a casa?» risponde che “abbiamo fatto molto». Insomma, non è possibile che nello stesso tempo non abbiamo fatto i compiti a casa e abbiamo fatto molto. Nulla di grave, comunque.

Di seguito, Bersani entra nel vivo della conversazione. Riaffermando la necessità che il Paese torni a crescere. Peccato, però, che non vengano specificati né i tempi né i modi di questo ritorno alla crescita. È poi curioso che il segretario del Pd parli del rischio di «arretrare decisamente nelle quote mondiali di produzione e lavoro». In realtà, il deciso arretramento è già avvenuto. Dal tonfo del 2009 l’Italia ha perso circa 20 punti di produzione industriale (leggi: Anche nell’industria l’Italia è vecchio stile. E crolla). Il che spiega come mai la quota della produzione industriale mondiale dell’Italia è scesa ad un valore di poco superiore al 3% (era il doppio nel 2000). Parlando di politica industriale, come abbiamo già detto nel corsivo di oggi, ci saremmo inoltre aspettati decisamente di più nella definizione degli asset di intervento prioritari pensati da chi ambisce alla guida del Paese. I richiami, consumatissimi, al made in Italy, alla tipicità e ad altre cose un po' banali lasciano dunque il tempo che trovano.

Proseguendo il nostro "viaggio" nel colloquio di Bersani col Sole, lascia perplessi la via bersaniana per abbattere l’oppressiva e incasinata burocrazia italiana. Perché Bersani, invece di prospettare lo sradicamento di norme inutili e contraddittorie – che fanno perdere tempo e soldi alle imprese e scoraggiano i potenziali investitori – propone di fare largo uso dello strumento dell’autocertificazione (peraltro già ampiamente presente nella lesgislazione vigente) , «rafforzata da parte di professionisti certificati». Tradotto: le norme rimangono quelle, ma basta mettersi nelle mani di qualche scienziato della burocrazia per venirne a capo in tempi non biblici.

Sempre in tema di politica industriale, Fabrizio Forquet incalza Bersani sulle modalità con cui potrebbero essere reperite le necessarie risorse. Anche in questo caso il segretario del Pd non brilla per precisione. Perché parla genericamente della necessità di «mirare i tagli agli sprechi veri», senza fare esempio alcuno. Perché parla in modo fumoso di un riequilibrio fiscale, senza indicare, ad esempio, se questo porti con sé un possibile taglio delle aliquote per le persone fisiche o per quelle giuridiche. E infine perchè fa un riferimento, troppo vago, all'opportunità di «trovare con l'Europa un minimo meccanismo di elasticità».
La ventitreesima domanda finalmente affronta il tema della patrimoniale. Ma anche rispetto ad essa Bersani è vago ed allude ad un generico «contributo dei grandi patrimoni immobiliari». Omettendo di specificare come verrebbe calibrato il prelievo e quali strumenti verrebbero utilizzati. Ma soprattutto dimenticando (volutamente?) di descrivere i possibili rischi di una patrimoniale così ipotizzata: l'ulteriore depressione dell’economia, lo scoraggiamento degli investimenti e, cosa assai importante, la deresponsabilizzazione dal dimagrimento della spesa pubblica.

Nella risposta alla penultima domanda, Bersani tocca giustamente il tema della produttività. Nell’indicare la soluzione del gap esistente tra noi e altri Paesi, il segretario del Pd punta sullo scambio tra flessibilità organizzativa e investimenti esigibili. In realtà, chi ha visto come lavorano nelle fabbriche estere, può ben testimoniare come per aumentare la produttività non basti la sola flessibilità, peraltro già ampiamente presente nel mercato del lavoro. Bensì, in particolare, una organizzazione moderna di tutta la filiera produttiva e dunque anche del lavoro in fabbrica.

In definitiva, l'ampia intervista a Bersani ci ha incuriosito. Ma i contenuti programmatici non ci hanno convinti. E più complessivamente la visione che ne esce. Perché un valido ex ministro dell'Industria avrebbe potuto essere non solo più preciso e capace di toccare temi strategici, nemmeno sfiorati, come ad esempio quelli della specializzazione produttiva o del rapporto tra imprese e ricerca. Ma avremmo voluto un Bersani più visionario, così da farci capire, con le opportune suggestioni, quale mondo industriale ha in mente per far tornare a correre l'Italia.

Leggi il resto: http://www.linkiesta.it/bersani-pier-lu ... z239YsTjvL
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Dacci oggi il nostro Bersani quotidiano

Messaggioda flaviomob il 28/08/2012, 11:14

Se la dichiarazione è di ieri, significa che i giorni dispari Bersani vuole allearsi con la sinistra e i giorni pari con Casini. Bisognerebbe ora conoscere con esattezza la data delle elezioni... :lol:

http://www.ilfattoquotidiano.it/2012/08 ... la/335526/


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Re: Dacci oggi il nostro Bersani quotidiano

Messaggioda franz il 28/08/2012, 12:56

flaviomob ha scritto:Se la dichiarazione è di ieri, significa che i giorni dispari Bersani vuole allearsi con la sinistra e i giorni pari con Casini. Bisognerebbe ora conoscere con esattezza la data delle elezioni... :lol:

http://www.ilfattoquotidiano.it/2012/08 ... la/335526/

Imbarazzante .... si vota di solito il Sabato e la Domenica (a volte anche il Lunedi' mattina).
Quindi un giorno pari ed uno forzatamente dispari, o viceversa.
Come andrà a finire? :lol:
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Bersani dove vai?

Messaggioda franz il 02/09/2012, 10:09

la domanda rimane. Tra Casini e Vendola Bersani preferisce il secondo, perché piu' affine.
Il suo piano, direi mal congegnato, è di allearsi con Vendola (pare che ricuperare Di Pietro sia ormai missione disperata) e poi nel caso con Casini si vedrà dopo le elezioni. Cosi' la pensa il 55% dell'elettorato PD, in base ai sondaggi. http://www.clandestinoweb.com/sondaggi- ... rma-al-28/
Casini gli risponde che lui non si alleerà mai con chi oggi è contro Monti e fa notare l'abisso (altro che affinità) tra chi sostiene Monti -come il PD - e chi è all'opposizione e parla di macelleria sociale, come SEL, IDV, Lega.
Di fatto pero' è decisamente difficile che una alleanza PD-SEL possa vincere le elezioni, tanto da governare.
Molto dipenderà dalla futura legge elettorale, se si farà, ma con questa è dura. Anche perché c'è l'incognita delle liste civiche http://www.clandestinoweb.com/sondaggi- ... ale-al-57/ che ovviamente toglieranno consenso ai grandi partiti.
Anche Fermare il Declino si sta attrezzando con coordinatori regionali, segno che seguirà molto probabilmente seguirà questa strada.
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Re: Bersani dove vai?

Messaggioda franz il 03/09/2012, 8:49

Non so se è vero ma secondo Fassina si'.


Dal sito di Pietro Ichino
LA FATWA CONTRO IL MINISTRO FORNERO

LA NOTIZIA SECONDO CUI L’ESCLUSIONE DEL MINISTRO DEL LAVORO FORNERO DA TUTTE LE FESTE DEMOCRATICHE SAREBBE FRUTTO DI UNA PRECISA DECISIONE DELLA SEGRETERIA DEL PD LASCEREBBE ATTONITI, SE FOSSE FONDATA

Editoriale telegrqfico per la Nwsl n. 213, 27 agosto 2012, a seguito dell’intervista rilasciata alla Stampa da Stefano Fassina il 26 agosto 2012 – In argomento v. anche il durissimo fondo di Luigi La Spina sulla Stampa del 29 agosto.
.
Stefano Fassina ci informa del fatto che l’esclusione di Elsa Fornero dalle feste del Pd non è frutto di una casuale disattenzione degli organizzatori, ma, nientemeno, di una decisione della Segreteria nazionale del partito, in considerazione delle “difficoltà di dialogo sulla questione degli esodati”; aggiunge però che “vogliamo provare a ricostruire il dialogo” con lei. Questo ci ha vivamente preoccupati per la Segreteria nazionale: come può l’organo di vertice del Pd pensare di “ricostruire il dialogo” con un ministro che contemporaneamente esso esclude dalle proprie iniziative pubbliche? Ci risulta, poi, che nel giugno scorso il Pd abbia votato la fiducia al ministro del Lavoro, in occasione della mozione di sfiducia presentata dall’IdV e dalla Lega: ora, come può essere credibile un partito capace di votare la fiducia a un ministro con cui ha interrotto il dialogo? Resta, infine, il fatto che negli anni passati sono stati invitati alle feste democratiche ministri del Lavoro di tutti gli orientamenti politici, tra i quali anche Roberto Maroni e Maurizio Sacconi: dobbiamo dunque concluderne che l’aver voltato pagina, come il ministro Fornero ha fatto, rispetto alla vecchia prassi di “esodare” i lavoratori mediante Cassa integrazione a perdere e prepensionamenti, costituisca per il Pd una colpa politica, e addirittura la più grave e imperdonabile rispetto a tutto quanto è stato perpetrato in precedenza in questo settore? Non possiamo crederlo. La notizia che ci ha dato Stefano Fassina circa la fatwa che sarebbe stata lanciata dalla Segreteria nazionale contro il ministro del Lavoro sarebbe di quelle che lasciano attoniti, se fosse fondata.
P.s. Attendiamo comunque di sapere che cosa ne pensi Pierluigi Bersani.



LA SPINA: PD, LA TENTAZIONE AUTORITARIA

UN PARTITO CHE SI RINCHIUDE IN SE STESSO RIFIUTANDO IL DIALOGO CON I PROPRI INTERLOCUTORI MAGGIORI, PER QUANTO LONTANI, RISCHIA IL FALLIMENTO

Fondo di Luigi La Spina pubblicato su La Stampa il 29 agosto 2012 – In argomento v. anche il mio editoriale telegrafico del 27 agosto

C’ è un partito che si candida alla guida del Paese in un momento molto difficile per l’Italia. È il più forte nello schieramento che si è opposto per molti anni ai governi di Berlusconi.
E tutti i sondaggi lo pongono in testa nelle preferenze degli elettori. Sostiene il governo Monti e, contestando le presunte ambiguità del Pdl nell’appoggio al presidente del Consiglio, accusa quel partito di praticare uno sleale e opportunistico «doppio binario», per non perdere consensi tra i suoi sostenitori. Eppure, questo partito, il Pd di Bersani, ha avuto «il buon gusto», davvero democratico, di vietare la partecipazione del ministro del Lavoro, la torinese Elsa Fornero, ai dibattiti che si svolgono nelle cosiddette feste del Pd, compresa quella che si tiene a Torino.
Tale esclusione è davvero ingiustificabile, sul piano politico e su quello personale, ma riveste un significato inquietante, più generale, perché alimenta dolorosi sospetti su come sia intesa ancora in quel partito la concezione del dialogo e, quindi, della sostanza della democrazia.

La risibile e, ripetiamo, purtroppo inquietante, motivazione di questa scelta è quella di valutare «non in sintonia» il ministro Fornero con le posizioni del Pd. Già è abbastanza grave la contraddizione evidente tra questo giudizio e il sostegno parlamentare a un governo di cui il responsabile delle politiche per il lavoro è parte fondamentale. Ma è ancora più grave che si pensi di dover dialogare solo con chi è «in sintonia» con le idee del partito.

Fa davvero dispiacere che il «social democratico» Bersani autorizzi una simile deriva solipsistica e autoritaria di un partito che, più o meno convintamente, aveva fatto credere la piena conversione all’idea liberale e democratica del dialogo. Quel dialogo che è tale se avviene, appunto, solo tra persone che non sono «in sintonia». È incomprensibile, poi, l’occasione rivelatrice di questo atteggiamento, un atteggiamento che speravamo fosse dimenticato nella storia più buia della vecchia tradizione comunista. Il ministro Fornero, infatti, può certamente aver assunto posizioni discutibili e, magari, anche sbagliate, ma è persona di cultura sicuramente democratica, con un impegno politico sempre nello schieramento di centrosinistra, basti ricordare la sua partecipazione alla giunta torinese di Castellani, il sindaco predecessore di Chiamparino.

È inoltre curioso, per usare un aggettivo benevolmente ironico, che il ministro Fornero sia stato invitato dal consiglio di fabbrica dell’Alenia di Caselle, a maggioranza Fiom, per spiegare le sue posizioni e quel dibattito sia stato esemplarmente duro, ma corretto e civile, mentre non possa fare altrettanto con i simpatizzanti del Pd. I quali, per un’altra decisione sciagurata di quel partito, non possano neanche ascoltare le ragioni di quel sindacato, anch’esso escluso dalle feste «democratiche». Una doppia esclusione che non elide l’errore commesso con Fornero, ma che non raddoppia, perché conferma una concezione profondamente errata del «dialogo».

Da una parte, fa impressione come Bersani, sulla scia dello sfortunato slogan berlingueriano, «partito di lotta e di governo», finisca per riuscire a non fare del Pd né un partito di lotta, né un partito di governo. Perché lascia larghi spazi alla protesta e al disincanto, mentre suscita molti dubbi tra gli elettori moderati, non convinti della sua capacità di affrontare scelte di rinnovamento e di apertura riformatrice, come l’Europa chiede al prossimo inquilino di Palazzo Chigi.
Dall’altra parte, stupisce la quiescenza e la mancata vigorosa protesta di quell’ala del Pd che si autodefinisce «liberal» o che non proviene dalle file del vecchio Pci. Sottovalutare certi atteggiamenti, trascurare questo costume di intolleranza, di dogmatismo che persiste in quel partito è, soprattutto per loro, un grave peccato di autolesionismo. Se, poi, la sera delle elezioni, quando prima o poi arriverà, se ne pentiranno, sarà troppo tardi.
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Re: Bersani dove vai?

Messaggioda flaviomob il 12/09/2012, 23:34

Sarebbe interessante confrontare per punti i programmi di Vendola, Bersani e Renzi. Intanto secondo L'Espresso (cartaceo) pare che anche Civati voglia partecipare alle primarie nazionali, mentre Boeri si candiderebbe a quelle per la regione Lombardia.


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