da pierodm il 16/09/2010, 17:27
No, Manuela, non ti sbagli - accordarsi sul programma, e solo dopo, decidere chi è la persona più adatta a presentarlo agli elettori :per altro è un'idea che si sta diffondendo presso varie sedi politiche, anche nel PD, a parole, dopo che per anni mi sono sentito ribattere che bisognava lasciar perdere tutte queste "fumisterie da vecchia politica" e individuare invece un bel leader che ci avrebbe guidati alla vittoria contro gl'infedeli.
In realtà, io credo che serva assai di più che un "programma" - se con ciò s'intende un documento che elenca una serie di ipotesi e di propositi - anche se, in mancanza di meglio, un buon programma decentemente condiviso sarebbe un'ottima soluzione.
La crisi della sinistra - non solo in Italia - non sta nell'incapacità di stendere un documento del genere: se il PD fosse un partito vero, e non una coalizione scompagnata e disomogenea, ci vorrebbe assai poco a mettere insieme due, dieci, venti paginette di programma, a prescindere se sia fattibile o no: un po' come lo show di Berlusconi da Vespa, con scrivania e lavagnetta.
La crisi della sinistra diepende da una mancanza di adeguamento ai tempi che ha radici abbastanza lunghe, che risalgono alla fine degli anni '70 e si estendono nel decennio successivo, e che ha provocato una forma di afasia politica, una grave mancanza d'idee nel momento in cui queste servivano, paradossalmente aggravata dal fatto che la sinistra (il partito, ma ancora di più la base) ha conservato una storica serietà, una "necessità intellettuale" per cui non si riesce ad essere spregiudicati e sfacciati quanto la lo è la destra, sparando cazzate pur di apparire decisionisti e capaci di dire qualcosa.
Una crisi che, peggio ancora, si è cercato di superare prendendo a prestito qua e là idee, parole d'ordine, slogan che avevano l'apparenza della "modernità", ma che sono assolutamente incoerenti con la storia e direi la ragion d'essere della sinistra stessa, e con quell'idea di progresso che tu stessa hai descritto: un'incoerenza che significava, comunque, discontinuità, e quindi poteva sembrare una forma di rinnovamento.
In definitiva, non manca tanto un programma, quanto manca un'identità riconoscibile, profonda: non può essere quella antica del vecchio PCI o del PSI, dato che non ci sono più le "masse operaie" della vecchia società industriale, ma ciò non toglie che la nuova identità deve comunque rispecchiare la realtà effettiva della società, più che fare da eco delle classificazioni sociologiche da marketing politico.
Il risultato di questo equivoco è che, mentre a destra la massa dell'elettorato si riconosce visceralmente e profondamente nel leader e nei programmi (per quanto improbabili, contraddittori e raffazzonati) a sinistra non ce n'è uno tra gli elettori che si senta totalmente rappresentato dal PD, o dai suoi dirigenti. Anzi, peggio, nella base ritroviamo tutto e il contrario di tutto, anche gente che avrebbe difficoltà a farsi accettare nel gruppo di Fini, perché troppo simile ai berlusconiani o alla Lega.