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Einaudi: pensiero politico

Il futuro del PD si sviluppa se non nega le sue radici.

Re: Einaudi: pensiero politico

Messaggioda franz il 14/09/2010, 8:29

pianogrande ha scritto:Franz
Adesso ci dobbiamo mettere a discutere se il socialismo reale era il socialismo vero mentre il liberalismo reale è il falso liberalismo?

Perché no? Il "socialismo reale" attuato a partire dal 1917 da Lenin corrisponde esattamente al manifesto di marx ed engels, solo che è stato fatto in Russia (e poi in Cina da Mao) e non in Germania o Inghilterra. Dittatura del proletariato, abolizione della propretà privata, collettivizzazione dei mezzi di produzione. Qui hanno avuto campo libero per 50 o 70 anni (di potere continuo in mano al partito) per attuare tutto quello che volevano attuare: una società, a senti loro, socialista. Fino al 1917 diciamo che tutti i socialisti volevano una società socialista che prevedeva (per il pensiero corrente di allora) il superamento delle classi sociali e la soppressione, totale o parziale, della proprietà privata dei mezzi di produzione e di scambio. Dopo il 1917 c'è la divisione tra comunisti e socialisti sul "come arrivarci" e questi ultimi si orientano sempre di piu' verso le politiche riformiste all'interno del contesto democratico liberale e borghese (come lo si chiamava allora).

Il liberalismo invece è democratico e quindi non prevede una dittatura che imponga la "mano invisibile". In nessun paese del mondo c'è stata la possibilità di una dittatura liberale che provasse per 70 anni a costruire il tipo di stato che il liberalismo idealizza.

È quindi lecito affermare che per una settantina di anni noi abbiamo assistito ad un "socialismo reale" (sia URSS che Cina si definivano paesi socialisti) e mai abbiamo potuto parimenti osservare un "liberalismo reale". Anche i paesi piu liberali (cosi' definiti tali, e cosi' catalogati anche in base all'indice delle libertà economiche) cioè USA, UK e Svizzera hanno al loro interno forti movimenti politici di tipo socieldemocratico/laaburista/democratico. Abbiamo quindi società libere e miste, in cui il gioco democratico porta al governo per 4 o 5 anni, in base alla logica dell'alternanza, partiti piu' orientati alla socialità o alle liberalità. L'aspetto comune di tutti pero' è l'accettazione dell'economia di mercato, della proprietà privata, delle libertà economiche e politiche.

Venendo all'Italia, io constato (spero mi sia permesso) che noi oggi siamo ben lontani dall'accettazione di quei principi liberali. Di questo troviamo traccia sia nell'indice delle libertà economiche, sia nelle scarse liberalizzazioni, sia nelle graduatorie sul lavoro nero, sulla libertà di stampa, sulla corruzione. Siamo, lo ripeto da anni, un paese corporativo, clientelare, dove vige l'assistenzialismo, la raccomandazione, la corruzione, il malaffare, le malavite organizzate. Per combattere tutto questo e per raggiungere i concetti di giustizia e libertà a cui ti riferisci, cosa ci vuole, nella nostra società mista: piu' liberalismo o piu' socialismo?

A me pare che il liberalismo manchi del tutto (a parte chi lo vede dappertutto in qualsiasi cosa non gli piacia) e che quindi sia questa l'iniezione necessaria al paese. Imperversa invece uno statalismo estremo che "occupa" il 52% del PIL senza dare in cambio servizi sociali corrispendenti al costo.

A me pare che l'analisi di Einaudi sia ancora attuale, putroppo:

Secondo Einaudi, in un regime statalista la vita sociale ed economica è destinata alla stagnazione: l'individuo si perfeziona solo se è libero di realizzarsi come meglio crede; il liberalismo educa gli uomini perché insegna loro ad autorealizzarsi. La meritocrazia risulta strettamente connessa a un'economia di mercato: l'individuo più competente o creativo può rendere migliore l'azienda e quindi viene assunto. ... L'ideale liberale è un ideale in costante mutamento: può essere oggetto di critica perché nasce e si nutre di ideali concorrenti. Il liberalismo vive del contrasto.
Per Einaudi, con l'eccesso di statalismo si rischia di "impigrire" l'individuo. Portato a disinteressarsi e a non assumersi responsabilità, si lascerà "trasportare dalla corrente", accettando con fatalismo anche illegalità e cattivi servizi, percependoli come prassi. Il liberalismo, diversamente, è una pratica più dura, ma attraverso l'autorealizzazione riesce a responsabilizzare i cittadini. Una società libera ha bisogno di istituzioni minime e basate sulla trasparenza, in modo che siano più vicine al cittadino e da lui facilmente utilizzabili o contestabili: federalismo e decentramento rispondono bene a queste esigenze;


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Re: Einaudi: pensiero politico

Messaggioda pierodm il 14/09/2010, 12:42

Niente. De coccio.
Anzi, direi che la risposta di Franz a Pianogrande, dopo quello che avevo obiettato, ha tutte le caratteristiche di una pernacchia: come dire, chissenefrega delle obiezioni, e dagli giù a parlare per l'ennesima volta di Lenin e di Baffone.

Pianogrande ha, con ogni evidenza, ragione: esisteno un socialismo reale e un liberalismo reale.
Del socialismo si è parlato ababstanza, e non c'è bisogno di tornarci sopra.
Sul liberalismo, dice Franz, dovremmo parlare di una società, o regime, misto, ossia liberale con correttivi socialisti - evidentemente, secondo questa visione, il socialismo liberale non è "reale": immaginario? Irreale? Onirico? Boh.
Senza contare che anche nel socialismo reale sarbbe corretto parlare di regime , o società, misti: non solo perché il socialismo sovietico o cinese sono stati imposti con una rivoluzione ad una struttura socio-culturale feudale, classista e antiquata sotto molti aspetti essenziali, ma anche perché si è trattato di regimi basati su un modelo di sviluppo che è stato definito come "capitalismo di stato", con tanto d'industrializzazione forzata e numerosi altri elementi socio-politici derivati direttamente dalle tradizioni e dalla cultura che di "socialista" non aveva assolutamente nulla.
Ci sarebbe da discutere poi sulla visione minimalista che Franz si sfrìorza di dare sul ruolo del socialismo nella realtà delle società capitaliste e liberal-democratiche borghesi, un ruolo che Franz riduce ad una specie di camera caritatis, poco più o poco meno di una mozione sentimentale verso i poveri e gli afflitti - laddove in realtà la storia ci parla di un capitalismo e di un libersimo che, quando non è stato (e non è) presente un robusto tasso di coscienza sociale e socialista degrada rapidamente e gioiosamente verso forme più o meno crude di autoritarismo, come sono tante vergognose repubbliche delle banane, quando poi non si tratta di una forma di liberismo capitalista che prospera in regimi di tipo fascista e statalista.
Lo so, mi rendo conto che questi intrecci rendono il discorso complicato, e comunque certamente non facile da liquidare nel modo manicheo e semplicisticamente ripetitivo come fa il nostro Franz.

Quanto all'oggi, e all'Italia, siamo d'accordo che c'è poca cultura liberale, ma quanto a questo c'è anche poco socialismo, poca assistenza, poco senso della comunità.
Quando si parla, per altro, delle corporazioni risulta dificile attribuirle ad un eccesso di "socialismo".
Più in generale, mi piacerebbe sapere come si possa - con la storia che abbiamo - far risalire al socialismo (o perfino a Lenin e Baffone, menzionati ad ogni pie' sospinto) la nostra cultura politica e civile nazionale: anche le fissazioni hanno un limite. O almeno dovrebbero.
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Re: Einaudi: pensiero politico

Messaggioda franz il 14/09/2010, 14:33

pierodm ha scritto:Sul liberalismo, dice Franz, dovremmo parlare di una società, o regime, misto, ossia liberale con correttivi socialisti - evidentemente, secondo questa visione, il socialismo liberale non è "reale": immaginario? Irreale? Onirico?

pero, alla tua età dovresti scendere dalla pianta!
Si parlava di socialismo reale e di "liberalismo reale", non di socialismo liberale (???) termine che invochi ora (un anacoluto come tornare avanti?) ma che non ha segnificato al di fuori di un errore di stumpa.
Il socialismo reale è stato reale (un incubo reale) per oltre un miliardo di esseri umani. Nulla di immaginario ed onirico. Ma un incubo reale perfettamente conseguente alla idealità proposta. Non è che marx ed engels avvessro proposto una scampagnata con raccolta di fughi, grigliata e giochi vari e poi si sono travai, a loro insaputa, con la duittatura del proletarieto e tutte le cose annesse.
Il liberalismo reale, per i motivi che ho spiegato (inutilmente nel tuo caso) non esiste e non potra mai esistere, per i motivi anche detti da Einaudi.
Il socialismo democratico ed il liberal socialismo oggi partono dalla accettazione (mohicani a parte) dell'economia di mercato, della democrazia, della proprietà privata e di gran parte delle conseguenze (almeno come presa d'atto) dei pro e dei contro che questa economia comporta. Si accetta e da li si parte per cercare di migliorare alcuni aspetti.

Tra l'altro proporrei una mozione d'ordine, perché i mohicani mi stanno fortemente simpatici, fin da quandi lessi il noto romanzo di cooper da ragazzo. La storia narra di conflitti inter-etnici, non tra persone normali ed idologie dogmatiche (o visioni tunnel). Forese megllo "l'ultimo dei platonici" o l'ultimo dei giapponesi nella giungla.

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Re: Einaudi: pensiero politico

Messaggioda ranvit il 14/09/2010, 15:26

> Tra l'altro proporrei una mozione d'ordine, perché i mohicani mi stanno fortemente simpatici, fin da quandi lessi il noto romanzo di cooper da ragazzo. La storia narra di conflitti inter-etnici, non tra persone normali ed idologie dogmatiche (o visioni tunnel). Forese megllo "l'ultimo dei platonici" o l'ultimo dei giapponesi nella giungla. <


:lol: :lol: :lol:
Per me va bene!
La cosa importante è che sono "gli ultimi" .....

Vittorio
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Re: Einaudi: pensiero politico

Messaggioda pianogrande il 14/09/2010, 17:27

Mah!
Quanto a nostalgici (sempre continuando, ma inutilmente, a sottrarmi al marchio di difensore dell'Unione Sovietica), mi sembra di essere in ottima compagnia.
Che cosa abbia di moderno ed innovativo questo modo di reagire lo sa solo Dio.
Ammesso che, anche lui, non sia rimasto legato agli schemi del '48.
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Re: Einaudi: pensiero politico

Messaggioda franz il 14/09/2010, 18:09

pianogrande ha scritto:Mah!
Quanto a nostalgici (sempre continuando, ma inutilmente, a sottrarmi al marchio di difensore dell'Unione Sovietica), mi sembra di essere in ottima compagnia.
Che cosa abbia di moderno ed innovativo questo modo di reagire lo sa solo Dio.
Ammesso che, anche lui, non sia rimasto legato agli schemi del '48.

Piano, il problema non è essere palesemente difensori o meno del socialismo scientifico.
Il problema è accettare l'economia di mercato, con tutta la sua imperfezione.
Se posso dirlo: senza se e senza ma.
Nel senso che prima si accetta mentalmente il dato di fatto (il mercato, la necessità di alcune rigorose regole, la necessità di non violentare il mercato, il fatto che nella stragrande maggioranza dei casi il mercato trova il suo equlibrio anche se cio' crea problemi inevitabili ma curabili ) e poi si inizia a vedere cosa si puo' fare per mitigare la famose "asperità".
Se siamo su questo piano, benvenuto in ottima ma rara (in Italia) compagnia.
Questo è l'ambito della socialdemocrazia vera, svedese, laburista.
Se non siamo su questo piano allora la compagnia non è solo o tanto quella di baffone ma del corporativismo, dello statalismo, dell'autarchia fascista, dei vincoli al commercio (con quasiasi pretesto) delle clientele e delle mafie, raccomandazioni, corruzioni e compagnia cantante. Ora Baffone personalmente fa ridere, è cosa del passato (anche se ha fatto piangere milioni di persone). Invece le mafie, le corporazioni, le clientele, i furbetti del quartirino sono una realtà di oggi. La cura pero' è sempre la stessa. La base è il liberalismo. E soprattuto in Italia, dove manca, la soluzione è piu' liberalismo e meno statalismo.

Franz
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Re: Einaudi: pensiero politico

Messaggioda pierodm il 14/09/2010, 18:37

Si parlava di socialismo reale e di "liberalismo reale", non di socialismo liberale (???) termine che invochi ora (un anacoluto come tornare avanti?) ma che non ha segnificato al di fuori di un errore di stumpa

Quando un interlocutore vuole essere vischioso e ostruzionistico bisogna avere pazienza.
Franz, sei uno specialista della provocazione, e dell'ostruzionismo - ho il sospetto che tu abbia letto e fatto tesoro di qualche manuale tipo "Come sostenere una discussione e avere sempre ragione".

Si parlava di socialismo, del quale tu prendi in considerazone solo le degenerazioni orientali e asiatiche, ovviamente.
Il socialismo liberale è il "socialismo reale in occidente": o ti risulta che in Francia, in GB, in Italia stessa ci siano stati i soviet, e sulla ricìviera romagnola i gulag?
Il fatto che, per te, il concetto stesso di socialismo liberale sia un "errore di stampa" è - come dite voi in Svizzera? - una cazzata bella e buona, che non merita nemmeno di essere contestata: ricordo però che qualche anno fa - quando ancora non ti eri convertito alla tua nuova religione, sembrava che sapessi benissimo cosa fosse il socialismo liberale, e non facevi tante mossette di raccapriccio.

Poi, venendo al dunque, sarebbe il caso che tu, e qualche amico che trae conforto dal tuo pessimo esempio, la faceste finita con lo scaricare addosso ai vostri interlocutori - come me, pianogrande, Flavio, etc - intenzioni, pensieri e idee che nessuno ha menzionato, prima fra tutti la difesa o la nostalgia dell'URSS o robaccia del genere.
Se hai bisogno di ripulirti la cattiva coscienza di essere stato - tu, non noi - un komunista filosovietico, estremista allora come lo sei ora, non hai il permesso di coinvolgere altri in quest'opera di pulizia tutta personale.

Accettare, d'altra parte, l'economia di mercato senza se e senza ma mi devi spiegare che significa: quello esperto del senza se e senza ma sei tu. Io no. Io ho sempre messo i se e i ma ovunque, perché ritengo che - come minimo - sia estremamente salutare il dubbio, sepcialmente laddove ci sono ampie ed evidenti ragioni di nutrire tale dubbio.
E aggiungo anche che sarebbe il caso di piantarla - tu e qualche amico confortato dal tuo pessimo esempio - con l'atteggiamento di chi fa l'esame di ammissione allla categoria mentale e culturale della "modernità" o del "liberalismo".
E che cazzo!
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Re: Einaudi: pensiero politico

Messaggioda ranvit il 14/09/2010, 19:07

E che cazzo lo dico io (l'amico di franz confortato dal suo pessimo esempio...in realtà io sono solo l'amico di me stesso e di tutti quelli che vogliono dialogare senza la "puzza al naso" e soprattutto senza "menare il can per l'aia")!

D'accordo che qui non ci sono difensori dei Soviet e quella robaccia li', ma forse sarebbe il caso di chiarirci un po' le idee sulle....soluzioni.
Perchè qui il nostro amico con la puzza al naso (basta rileggere i suoi scritti), dice un sacco di cose che non gli vanno bene ma non ci dice mai cosa farebbe lui.....cosi' tanto per capire come cazzo vorrebbe gestirla la cosa pubblica! Per carità, capisco che sia molto comodo tenersi sempre le mani libere in modo da poter smentire sempre tutto : i Soviet, il comunismo, l'economia pianificata, Diliberto, Ferrero, Bertinotti, D'alema, Prodi, i Palestinesi, gli Israeliani, etc.

Io da 40 anni (e di discussioni come queste ne ho fatte un'infinità con persone come il nostro amico) sono socialista liberale e ripeto : socialista nella gestione della cosa pubblica e liberale nell'economia (che non significa che ognuno fa quel cazzo che gli pare, ma ognuno fa quel cazzo che gli pare nel rispetto delle regole e delle norme stabilite dallo Stato in cui opera)

Ma lui.....che cazzo è (politicamente s'intende)???

Vittorio
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Re: Einaudi: pensiero politico

Messaggioda pianogrande il 15/09/2010, 0:11

Oh!
Ecco un dibattito "reale".
Non sono d'accordo che per poter dire la mia ci siano dei prerequisiti da rispettare.
Quando mi è capitato di dire stupidaggini e l'ho riconosciuto ho sempre ringraziato chi me lo ha fatto notare.
Mi fermo qua, però.
E che ......... (come era quella parola lì?)!!
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Re: Einaudi: pensiero politico

Messaggioda flaviomob il 15/09/2010, 2:32

Un po' provocatoriamente (ma per 'provocare' una discussione più aperta, non per dare contro a qualcuno 'a prescindere') bisognerebbe ricordare che esistono società pienamente democratiche e liberali ma fortemente stataliste, come quelle scandinave (soprattutto la 'mitologica' Svezia), in cui i diritti dell'individuo non vengono sacrificati ma 'amplificati' in una forte declinazione di diritti sociali, un welfare pervasivo 'dalla culla alla tomba', università quasi gratuita (anche per cittadini non svedesi ma comunitari) con sussidi per chi vuole studiare e deve pagarsi vitto, alloggio etc. Un'amica che ora studia in Svezia mi ha raccontato tre cose piuttosto significative: la prima l'ho or ora riportata, ovvero che lei - cittadina italiana - dopo un triennio universitario a Milano (in cui doveva pagarsi tasse universitarie, vitto e alloggio essendo originaria della provincia di Brescia) si trova a fare un biennio di specializzazione in Svezia dove, dopo i primi 3-4 mesi, lo STATO dà ampi incentivi a chi vuole studiare. La seconda è una curiosità alquanto significativa: i ricercatori svedesi sono un po' arrabbiati con i ricercatori italiani che lavorano in Svezia: si lamentano che lavorano troppo! Si fermano a lavorare fino a tardi e -delitto dei delitti - spesso anche il sabato... e così mettono in 'cattiva luce' gli altri ricercatori... Sì, perché abituati alle vacche magre italiche, i nostri migliori cervelli quando vanno all'estero sono talmente motivati (visto che lo stipendio è adeguato) da risaltare sempre rispetto ai pigri 'compagni' socialdemocratici nordici :) (si parla di ricerca PUBBLICA, siorri e siorre!!)
La terza curiosità è che alcune facoltà di indirizzo umanistico, forse di Malmoe, immagino sociologia et similia, stanno discutendo se sia il caso di boicottare i prodotti italiani, ovvero se il boicottaggio possa essere efficace per sconfiggere quello che da loro è ritenuto un regime demagogico populista pericoloso per la stabilità democratica di tutto il continente. Forse dovremmo cominciare noi italiani magari a boicottare qualche azienda del presidente del consiglio, così, almeno per solidarietà continentale... e per convincere gli svedesi a non boicottare parmigiano e maccheroni :P

D'altro canto, con buona pace di Marx ed Engels, esiste una società da qualcuno definita come CAPI-COMUNISTA, la Cina, in cui ad una certa e massiccia dose di concorrenza e libera impresa non corrisponde un'adeguata tutela dei diritti umani, mentre appare ancora ambiguo il livello di tutela sindacale. Tutti a tessere le lodi di un capitalismo senza il turbo, ben controllato dallo Stato centrale (e dal partito!), una crescita che non ha risentito della grande crisi di questo triennio. Un futuro da prima potenza mondiale (che è già presente dal punto di vista... demografico). Ma non sarà un film già visto? Togliatti, nel '48, incensava il fantastico modello socialista cecoslovacco... Fascismo, nazismo e dittature varie (Pinochet addirittura fu lodato, in questo ambito, nientemeno che dal Corrierone della Sera...) hanno attraversato fasi storiche in cui veniva garantita una crescita intensa, come anche fu in URSS tra gli anni cinquanta e sessanta. A volte mi pare che il capitalismo riesca ad andare "a tavoletta" meglio in certe dittature che in democrazia: garanzia di sindacati corporativi e organici al regime, divieto di sciopero e dissenso (sì, anche i 'fischi' e i pernacchi!), ordine sociale assicurato da manganelli e schioppettoni, magari tanto per gradire controllo della stampa, che non deve deprimere il popolo lavoratore - pardon, operoso! - con notizie tristi magari legate a morti sul lavoro o a rovesci militari all'estero...
Ho commesso un'imprecisione: ho messo l'URSS in questo calderone, ma lì non c'era il capitalismo; in ogni caso, la dittatura facilita la produttività inducendo la forza lavoro ad adeguarsi all'ordine costituito sotto la minaccia di un'espulsione dal consesso civile (persecuzioni estese a tutti i familiari, multe, galera, deportazione, talvolta anche eliminazione fisica); la produttività elevata diventava uno strumento di propaganda a favore del regime e lo rinforzava, indebolendo gli oppositori e così via in un circolo continuo. Il piccolo problema delle dittature è che ogni dittatore, prima o poi, indebolendo le voci critiche lontane e vicine, tende a sentirsi onnipotente e a fare una marea di cazzate. E la dittatura smette di "funzionare". O, al contrario, se la dittatura funziona troppo bene e garantisce davvero il benssere collettivo - e questo potrebbe essere il caso della Cina - può darsi che le masse diventino più istruite, che gli studenti girino per il mondo 'libero', che i giovani hacker trovino sistemi e falle per aggirare i muri della censura e che il confronto con il mondo pluralista e liberale si ponga davanti a una quantità sempre maggiore di cittadini, che si crei un'opinione pubblica esigente e una spinta radicale verso il cambiamento (e qui potrebbe crollare l'armonia 'celeste' orientale...)

Riassumendo: efficienza e 'privato' non sempre vanno d'accordo. CI possono essere stati efficienti e molto presenti nella vita del cittadino che tuttavia garantiscono benessere e diritti, magari con la contropartita di aliquote fiscali più alte della media UE (tra parentesi: i lavoratori scandinavi che scioperano non perdono il giorno di paga, che viene 'integrato' dal sindacato!). CI possono essere regimi antidemocratici che attraversano parentesi di forte efficienza, di crescita del PIL, di aumento del benessere percepito sia con sistemi di accentramento statale (URSS), sia con sistemi nettamente capitalistici, ma assolutamente illiberali (nazismo, fascismo e dittature sudamericane di estrema destra). Il sistema cubano è strano: illiberale, economicamente depresso, riesce tuttavia a mantenere un certo consenso con un sistema scolastico e sanitario di eccellenza, accessibile a tutti, ma certamente cambierà profondamente e in fretta. Il sistema italiano è un sistema di relazioni tra soggetti molto complesso: in certe regioni il livello di controllo democratico aumenta quanto più ci si avvicina al territorio (enti locali, piccole e medie imprese) e così anche l'efficienza del sistema; mentre quando si passa alla grande impresa le collusioni con la politica nazionale, a volte fino a una mera assistenza statale (Fiat docet), creano un mercato distorto. In altre realtà locali (non solo e non sempre quelle stereotipate in questa direzione) il controllo mafioso crea un'atmosfera irrespirabile e favorisce il peggio contro il meglio, ma i migliori sono divisi: chi si adegua, chi reagisce, chi si trasferisce. La politica nazionale utilizza lo strumento di controllo mafioso o per lo meno collude con la mafia rafforzandola (la stessa mafia siciliana nasce quasi in coincidenza con lo stato unitario, chissà perché). Non è detto che la risposta sia una 'privatizzazione liberale', sia perché non è possibile privatizzare le istituzioni preposte alla lotta alla mafia (forze dell'ordine e magistratura), sia perché una fase temporanea di statalizzazione di imprese mafiose potrebbe risanarle e restituirle al tessuto economico come forze positive pulite (un po' come viene fatto con le proprietà confiscate ai mafiosi). Se si fallisce nella lotta alla criminalità organizzata, si fallisce nel liberalismo perché non è possibile una concorrenza tra aziende in cui una paga il pizzo e l'altra no, una è ricattabile e l'altra no. Nell'accezione di criminalità organizzata comprenderei anche le forze politiche che esigono tangenti e oliature di vario genere, perché di fatto di crimine si tratta. Iniziamo a trattare l'Italia come un regime e a pensare a come ripulirla da esso.


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