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L'Italia non è meritocratica

Il futuro del PD si sviluppa se non nega le sue radici.

Re: L'Italia non è meritocratica

Messaggioda flaviomob il 19/09/2010, 23:56

Il merito rappresenta un tema più complesso di quanto si vorrebbe credere. Forse è poco gaberiano chiedersi se il merito sia di destra o di sinistra, ma può essere utile capire che cosa rappresenta il concetto di merito per i diversi orientamenti politici, per comprendere meglio. A destra è forte l'enfasi e la retorica sul merito, sul guadagnarsi l'ascesa sociali, sul legittimare le posizioni dirigenziali a cui 'è naturale' ambire. La destra conservatrice si regge sul fondamento 'naturale' che i migliori escano dalle scuole più prestigiose ed automaticamente siano chiamati a dirigere aziende e politica, che quindi siano i rampolli di 'buona famiglia' ad accedere a questa ottimale formazione, trascurando il dettaglio che essa sarebbe reperibile in università esclusive, privatissime e costose, inaccessibili ai più. Sottolineando che questi percorsi scolastici sarebbero i più difficili e selettivi (in realtà per quanto riguarda le scuole superiori private è il contrario!), si legittima la riproduzione delle gerarchie sociali proprio in funzione di un ideale di 'merito'... piuttosto parziale, classista ed elitario. La destra liberale apre le 'cattedrali' del meglio alle borse di studio (in USA) ed aumenta la "platea" a cui è accessibile la posizione di merito, che costituisce un po' la ragion d'essere del liberalismo e della libera concorrenza: una selezione in cui tutti possono lottare per emergere e chi esprime in maniera più virtuosa, motivata ed efficace le proprie qualità, tramite l'impegno personale, vince e viene legittimato il suo posizionarsi nella parte alta della gerarchia sociale (è giusto che il migliore occupi le posizioni più elevate). Il liberalismo esprime però alcune contraddizioni al suo interno: nell'ottocento molti liberali si opposero all'estensione del diritto di voto anche ai non abbienti, tanto che la lotta per il suffragio universale fu lunga e dura; inoltre il liberalismo raramente si è posto il problema se veramente tutti siamo alla pari, ai nastri di partenza della lunga 'competizione' che è la vita...


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Re: L'Italia non è meritocratica

Messaggioda flaviomob il 20/09/2010, 1:05

In altre due concezioni di destra il merito è valutato come centrale: nel cattolicesimo (o meglio nelle sue componenti tradizionaliste, mentre in quelle progressiste prevale la dottrina sociale) e nel fascismo.
Il cattolicesimo esalta il concetto di merito come condizione necessaria per giungere alla salvezza. Il merito consiste nel rispetto di regole rigide, anche se non è sufficiente per salvarsi se non è accompagnato dal dono della fede. Nell'alto medioevo il papato costituiva paradossalmente un tipo di potere più "democratico" rispetto al potere temporale dei monarchi: il papa infatti era l'unico capo di stato eletto, non aveva il vincolo di appartenere ad una famiglia regnante. Col tempo, il cattolicesimo invece si è trovato a costituire una forma di potere legato al passato storico e alla tradizione, ad una concezione patriarcale della famiglia e all'esclusione della donna dai ruoli di potere (il che segna una forte opposizione ad una concezione meritocratica indipendente dal genere). Questi vincoli, che culturalmente si sono radicati in profondità nella società italiana, relegano la donna in una posizione in cui il "merito" (nella concezione della chiesa) può essere raggiunto solo in un ruolo sottomesso e funzionale alla riproduzione e quindi alla famiglia tradizionale: in generale, a una donna viene riconosciuta la "virtù" solo laddove ella accetti l'asimmetria, la discriminazione e la riduzione delle proprie opportunità di scelta e di vita in favore del genere maschile e della prole.
Quest'ultimo approccio rappresenta un punto in comune con la destra fascista, mentre diventa differente il concetto di "merito" che caratterizza il maschio: la gerarchia si legittima secondo un concetto retorico di audacia e coraggio, ma in realtà è forte la richiesta di sottomissione al capo e alle idee della dittatura. L'ordine diviene il valore fondamentale, l'infedeltà e il numero di donne possedute un parametro di giudizio, il pensiero critico un difetto. Nel berlusconismo, questo sistema di valori torna a proporsi e il popolo italiano non sembra particolarmente indignato...

Nel campo della sinistra, il concetto di merito è stato fortemente messo in discussione per due ordini di motivi. Il primo è che, come i liberali stentano ad ammettere, non partiamo tutti dalle medesime condizioni ed è ovvio che chi vive nel disagio, nella povertà materiale o culturale, nell'indigenza avrà maggiori difficoltà ad emergere e avrà accesso ad una formazione abbreviata nel tempo e molto probabilmente di qualità nettamente inferiore, oltre a trovare con difficoltà un supporto nell'ambiente domestico (che invece spingerà il ragazzo ad iniziare presto a lavorare) o sociale. Il secondo è dato dal fatto che si è cercata una maggiore complessità di analisi rispetto ad una banale dicotomia che vede il merito come un dato polarizzato nel quadrante del "bene" e il demerito in quello del "male", rispetto a concetti come motivazione, aspettative, condivisione degli obiettivi, sistema di relazioni, stimoli, gratificazione (strumento molto considerato anche nella visione liberale e liberista), senso di appartenenza, qualità complessiva della vita.

Oggi la tendenza alla semplificazione pare togliere di mezzo ogni analisi più approfondita, per scadere un pò nel 'brunettismo' e giustificare delle aberrazioni (che ora anche Marchionne, guardacaso, vuole adottare), come il fatto che i primi giorni di malattia non vengano pagati: bella forza! Un ottimo sistema per penalizzare il lavoratore onesto che si ammala e che viene trattato come il farabutto. Un esempio di gioco dove perde sempre il migliore, perché il peggiore, che sta a casa fingendosi malato, di fatto è come se usufruisse di un permesso non retribuito. Un esempio che riesce quindi a demotivare l'onesto e a non punire di fatto il disonesto, che commette comunque un illecito che passa in cavalleria, sotto silenzio.


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Re: L'Italia non è meritocratica

Messaggioda franz il 20/09/2010, 8:10

bidellissimo ha scritto:Instaurandosi un clima competitivo nel posto di lavoro, poiché la progressione meritocratica non può essere data a tutti, ogni lavoratore si sentirà attorniato non più da colleghi, ma da avversari. Molto presto questi avversari diventeranno nemici, come vedemmo in “Buongiorno notte”. Ed allora crollerà ogni collaborazione costruttiva, come la pura e semplice trasmissione del sapere, di informazioni utili al perseguimento del prodotto finale (che nel nostro caso è un buon servizio per il pubblico). Più volte la meritocrazia andrà ad inceppare la catena che produce il risultato. Quando un lavoratore intuirà, o saprà per certo, che il merito con relativo punteggio sarà dato ad un altro, sarà fortemente tentato di non collaborare e forse anche di boicottare.

Caro bidellissimo,
a mio avviso ci sono alcuni errori gravi nel tuo ragionamento.
Spero che tu abbia la pazienza di leggere le mie argomentazioni, anche se sei di parere opposto.
Anche io ho avuto esperienza di lavoro in ambienti in cui il merito viene valutato ed il risultato è utilizato come base per dare una retribuzione aggiuntiva. Per prima cosa non è affatto vero che crolla la collaborazione costruttiva, perché questa dipende dagli obietti fissati e dal loro tipo. Esistono obiettivi individuali e di gruppo e chi non collabora deprime tutto il gruppo e le sue performances. Spesso in azienda è piu' importante il lavoro in team (per esempio in un progetto o in un gruppo di ricerca) perchè è difficile che interi reparti siano costituito da una persona sola. La collaborazione tra persone dello stesso gruppo è quindi importante, va valutata e usata anch'essa come criterio retributivo. Se la collaborazione è scarsa il resposabile lo capirà e convocherà il lavoratore. Insieme cercheranno di capire cosa non funziona e insieme stabiliranno cosa fare per migliorarla. A volte possono esserci aspetti personali tra alcuni dipendenti o con alcuni capi. A volte (anzi piu' spesso) sono problemi legati a pessime regole aziandali, che possono essere migliorate. ma se la scarsa collaborazione (l'odio addirittura, come dici) continua allora c'è anche un'altra cosa che puo' essere fatta. Dopo due o tre verifiche negative consecutive (e tentativi falliti di migliorare la situazione) si dice al lavoratore che non ci sarà una quarta volta ma che ci sarà una lettera di licenziamento. Per brutale che sia questa misura non è possibile che una persona distrugga o anche solamente ostacoli il lavoro in azienda. O la persona migliora, oppure è giusto che venga licenziata e che al suo posto si assuma un altro lavoratore, piu' collaborativo. Se cosi' non si facesse l'azienda peggiorerebbe e prima o poi fallirebbe. Perché? Perche se non se ne vanno i peggiori, quelli che non collaborano, quelli che "odiano", come dici, allora se ne andranno i migliori. Se ne andranno in un'altra azienda che riesce ad essere piu' selettiva nel personale e costruisce team piu' collaborativi.

Ecco, questa visione sarà sicuramente definita di destra, aziendalista etc, ma a mio avviso non è ne di destra ne di sinistra. E' semplicemente "intelligente e razionale", nel senso che fa progredire un gruppo a scapito di qualche pecora nera. Fare il contrario è semplicemente "stupido", nel senso della definizione che della stupidità diede Carlo Cipolla: "è un comportamento stupido quello che causa un danno ad un altra persona o gruppo di persone senza nel contempo realizzare alcun vantaggio per sé o addirittura subendo una perdita".

Devo anche far notare alcune probabili confusioni sulla divisione tayloristica del lavoro, dato che come ogni persona di buon senso sa senza di essa non esisterebbero i computer che stiamo usando per comunicare, come nemmeno qualsiasi oggetto prodotto industrialmente presente nelle nostre case e negli uffici. Potremmo avere solo prodotti artigianali in legno ma niente energia elettrica, per esempio. Se proprio vogliamo tornare alla preistoria, facciamo pure ma qualcuno dovrebbe anche dire a qualche miliardo di persone (quasi tutti, direi) che non c'è posto per loro sul pianeta. Una società non basata sulla divisione del lavoro infatti puo' dare vita solo ad alcuni milioni di abitanti, Che vivrebbero di stenti. E che avrebbero ben pochi problemi di merito, relativi solo alla abilità nel cacciare e nel raccogliere bacche, tuberi e frutta e nel curare le malattie invocando gli spiriti benigni.

Oggi i lavori piu' ripetitivi sono affidati a macchine automatiche e robot ed il lavoratore non è piu' una macchina ma un operaio specializzato in perenne formazione e miglioramento. Non sarebbe possibile produrre 600'000 macchine in un anno, solo a mano, avvitando bulloni con le chiavi inglesi come ai tempi del modello T.
Rimane sempre la divisione del lavoro (senza torneremmo nelle caverne) ma i modelli di produzione sono cambiati. Il tayolorismo non è morto per resistenze e rivolte ma è stato superato dall'innovazione tecnologica e dalla maggiore produttività dovuta all'unione di macchinari sofisticati e operai sempre piu' specializzati. Cambia quindi il tipo di merito che veniva selezionato. Nel taylorismo era la velocità nel fare movimenti ripetitivi, oggi è la formazione professionale, l'abiltà di rispettare i piani e saper lavorare in gruppo. Il taylorismo rimane nelle organizzazioni manifatturiere arretate ma è destinato ad essere superato da organizzazioni ancora piu' produttive.

Secondo me tutti concetti che sono anche validi nel settore pubblico.

Lieto di sentire le tue considerazioni, .... "in merito" :)

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Re: L'Italia non è meritocratica

Messaggioda pierodm il 20/09/2010, 12:14

Questa discussione è un bell'esempio di "razionalità", con una rincorsa a chi assume linguaggi e criteri di valutazione più tecnici, fatta eccezione per Flavio: anche bidellissimo, infatti, cade nella sindrome tecnicistica, anche se evidentemente la sua intenzione non era questa.
Il quadro del lavoro e l'immagine del lavoratore, ma anche del concetto stesso di "merito", che viene fuori in questi discorsi è allucinante: siamo a metà tra l'allevamento di pecore da lana e un'officina meccanica in cui si fanno test sulle componenti di una macchina.
Questo sul "merito", per altro, è un tipico esempio di come si possa stirare e deformare un concetto, un valore certamente giusto e corretto, trasformandolo nel suo opposto - un po' come nel film I Mostri, quando il ragazzino chiede al padre, per scherzare, quale sia il superlativo di maestro: maestronzo, papà!, e giù risate.

Ecco, questa visione sarà sicuramente definita di destra, aziendalista etc, ma a mio avviso non è ne di destra ne di sinistra. E' semplicemente "intelligente e razionale", nel senso che fa progredire un gruppo a scapito di qualche pecora nera. Fare il contrario è semplicemente "stupido"

Quando il merito viene esercitato e valorizzato senza diventare una formula - diciamo cos' in forma "naturale" - può essere definito "intelligente", e rientra con altrettanta naturalezza in ciò che fa "progredire un gruppo".
Quando diventa un'ossessione, un'esasperazione, un modello tecnocratico ciò non avviene a scapito di qualche pecora nera, ma a scapito della sanità mentale di una comunità: angoscia programmata, competizione quotidiana, anche senza arrivare all'odio evocato da bidelissimo.

Questo genere di ragionamenti mi ricorda quelli che fino a qualche anno fa si facevano sulla pubblicità - adesso non si fanno più, perché ci siamo arresi all'alluvione pubblicitario, non so se in modo molto "intelligente", o semplicemente perché contro quella massa d'urto non c'è niente da fare.
I fautori della pubblictà ne minimizzavano l'impatto e l'importanza, e nel fare questo evocavano il fenomeno come un aspetto della "informazione", ricorrendo (ovviamente) ad immagini quasi archeologiche di inserti pubblicitari sui giornali ottocenteschi, o alle scenette di Carosello: che male può fare un inserto pubblicitario?
Uno, niente. Ma trecentomila a settimana?

Ecco, probabilmente reclamare un maggior peso del "merito" nel sistema di relazioni sociali e produttive non è né di destra, né di sinistra.
Ma immaginare una società basata su una competizione feroce per scavalcarsi l'uno con l'altro, una società nevrotica e perennemente angosciata, e fare di questa immaginazione un obiettivo "intelligente e razionale" da raggiungere, a me sembra innanzi tutto assurdo, e poi - se proprio interessa - certamente di destra.

Il fatto è che il "merito", come l'educazione, come tante altre cose, non si può imporre per legge, e nemmeno far diventare per legge o per regolamento un criterio di vita, e nemmeno di lavoro.
Non è un caso, però, che lo "stato etico" che si rigetta con raccapriccio sul piano politico, diventa appetibile quando al posto dello stato c'è l'azienda o il ciclo produttivo di beni e servizi, ovviamente sotto il labaro del "bene comune": anche lo stato etico reclama di agire per il bene comune, e con ciò chiede l'assoluzione per tutte le eventuali forzature autoritarie necessarie per imporre i suoi criteri.

Ritengo che sia, invece, di sinistra immaginare e cercare di realizzare una società in cui la vita non sia una collutazione permanente, anche a scapito dell'ottimizzazione dell'efficienza.
Non è facile, ma chi ha detto che essere di sinistra sia facile?
D'altra parte, mi sembra però che sia piuttosto "razionale" come obiettivo.
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Re: L'Italia non è meritocratica

Messaggioda flaviomob il 20/09/2010, 12:21

Bidellissimo non ha commesso "errori" nel formulare il suo intervento: ha riportato evidentemente una situazione reale che si è trovato a vivere di persona. Qui però il discorso si fa più ampio e riguarda il modo di strutturare diversi tipi di organizzazioni sociali, in un ambito ancora più esteso che è quello della cultura in cui si vive. Se la mia reazione all'avanzamento di un collega è negativa (invidia, odio) può dipendere dal fatto che sento che l'organizzazione ha compiuto un'ingiustizia e non ha premiato il migliore, oppure dal fatto che non credo che sarò mai in grado di raggiungere la qualità di chi è stato promosso e gli unici strumenti per raggiungerlo sono dati dal boicottaggio subdolo, in modo da farlo fallire e farlo "scendere" al mio livello. Nel primo caso, se è vero che l'organizzazione ha commesso un'ingiustizia (p.e. attraverso una raccomandazione), l'organizzazione stessa ne pagherà le conseguenze con una demotivazione diffusa, disaffezione, perdita della condivisione degli obiettivi da perseguire, oppositività motivata. Nel secondo caso prevale una cultura generale in cui manca il riconoscimento del valore dell'altro e il rispetto verso l'altro, una cultura fortemente amorale ed antisociale che può portare anche a devianze criminali. Entrambi gli esempi mi sembrano calzare a pennello - purtroppo - per quanto riguarda i difetti atavici del nostro paese. :(
Merito, però, non significa competizione a tutti i costi e sarebbe interessante analizzare l'alta efficienza di molte cooperative (nella mia, per esempio, il dato legato ai giorni di malattia pro capite è molto più basso della media di tante aziende), la motivazione e la capacità di sorreggere il collega nei momenti di difficoltà piuttosto che competere o approfittarne per un vantaggio personale...


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Re: L'Italia non è meritocratica

Messaggioda franz il 20/09/2010, 13:54

flaviomob ha scritto: Se la mia reazione all'avanzamento di un collega è negativa (invidia, odio) può dipendere dal fatto che sento che l'organizzazione ha compiuto un'ingiustizia e non ha premiato il migliore, oppure dal fatto che non credo che sarò mai in grado di raggiungere la qualità di chi è stato promosso e gli unici strumenti per raggiungerlo sono dati dal boicottaggio subdolo, in modo da farlo fallire e farlo "scendere" al mio livello. Nel primo caso, se è vero che l'organizzazione ha commesso un'ingiustizia (p.e. attraverso una raccomandazione), l'organizzazione stessa ne pagherà le conseguenze con una demotivazione diffusa, disaffezione, perdita della condivisione degli obiettivi da perseguire, oppositività motivata. Nel secondo caso prevale una cultura generale in cui manca il riconoscimento del valore dell'altro e il rispetto verso l'altro, una cultura fortemente amorale ed antisociale che può portare anche a devianze criminali.

procediamo con ordine. Fai due casi:
a) ingiustizia: non è stato premiato il migliore ma un raccomandato. Non è certo il caso concreto (direi) di un'organizzazione meritocratica, per cui hai ragione. Chi sente di valere se ne va da un'altra parte. L'organizzazione stessa ne pagherà le conseguenze.
b) non ho raggiunto gli obiettivi e (aggiungi) "non credo che sarò mai in grado di raggiungere la qualità di chi è stato promosso". In realtà non è la qualità di uno che è stato propmosso ma la qualità di un mio pari grado che pero' lavora meglio di me e quindi guadagnerà di piu'. Comunque vada i casi sono due. O raggiungo quegli obiettivi oppure è evidente che sto facendo il lavoro sbagliato. Magari in un altro lavoro sarei un campione. Qui no. Riprendiamo il primo caso (... o raggiungo quegli obbiettivi ...) e vediamo come farlo. Chi è stato a contatto con questi sistemi sa che si fanno dei controlli di verifica. Da questi emergono le competenze mancanti e si prevedono corsi o attività per ricuperare cio' che manca. Se questo non è stato fatto è sbagliato il sistema, non il concetto. Ma se alla fine non succede nulla, l'errore di Favio è che comunque vada l'organizzazione stessa ne pagherà le conseguenze.
caso a) e caso b) portano comunque al fatto che sempre l'organizzazione paga le conseguenze e per organizzazione intendo tutti i lavoratori (perché il rischio è il fallimento dell'attività).

Problemi enormi con qualche personalità borderline? Non credo. Sono poche e non devono essere un problema per le attività economiche ma per i servizi sociopsichiatrici. Quindi ... "fuori dal luogo di lavoro", per favore. Quando saranno curati potranno rientrare.

Quindi non c'è spazio per reazioni negative. O me ne vado a lavorare da un'altra parte oppure in quell'azienda volente o nolente devo darmi una mossa. Anche se fosse un ufficio pubblico. E chi non si dà una mossa e non raggiunge gli obbietitvi, è giusto che cambi lavoro. Magari uno scadente impiegato diventa un ottimo bidello oppure un pessimo bidello diventa un ottimo impiegato. La selezione è l'unico modo per capirlo. O qualcuno crede ancora negli oroscopi?

Franz
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Re: L'Italia non è meritocratica

Messaggioda bidellissimo il 20/09/2010, 17:34

Franz mi accusa di “gravi errori” Non vedo come possa essere un grave errore il fatto di ragionare con i dati che si hanno a disposizione, e nei limiti della propria esperienza (ringrazio flaviomob di avermi capito). Sarebbe grave prendersi responsabilità decisionali o di comportamento, con ricadute collettive, in base a giudizi errati. Io mi sono limitato ad affacciarmi qui per un confronto, e per essere corretto se è il caso.

E’ stato forse un errore riportare solo il primo dei post da me scritti sulla meritocrazia, ma al mio primo incontro con questa “community” mi pareva ineducato tenerla troppo lunga. E’ stato certamente un errore non “quotare” il mio intervento. Io intendevo riferirmi a certi *riferimenti* al settore pubblico, che non sono mancati in alcuni post anteriori al mio.Quindi, per mancanza di un adeguato contesto, non sono stato compreso da tutti, certamente non da Franz.

I primi passi della svolta meritocratica nell’impiego statale sono stati compiuti senza quei fondamenti e quei correttivi che rendono la meritocrazia una cosa sana ai fini della produzione. Quanto ai fondamenti: come scrivevo nel mio forum, se chi decide sugli avanzamenti in carriera e sui premi di produzione è un “padrone” o un manager privato, è credibile che operi scelte giuste, ovvero azzeccate per la finalità produttiva, perché sta rischiando il proprio capitale o la propria posizione.
Nel settore pubblico questo non avviene, perché le scelte verrebbero fatte dai dirigenti attuali, che ben poco rischiano di proprio, e sono abituati agli “inquinamenti”.

Quanto ai correttivi: la "performance" collettiva, che richiede la collaborazion come condizione necessaria e che dovrebbe ovviare alle spinte disgregatrici della premiazione individuale, è del tutto mancata nei primordi della meritocrazia statale. Essa è prevista ora dalla legge 150 voluta dal ministro Brunetta, ma questo discorso a me sembra non chiaro, e non sufficiente a riparare i guasti di cui sopra.

Quindi, la meritocrazia per come si configura nel settore pubblico è un rimedio peggiore del male.

Nelle aziende private il metodo così ben descritto, ed esaltato, da Franz, di certo è funzionale, aumenta l’efficienza del sistema produttivo. Le sua conseguenze dentro le fabbriche sembrano ottime, ma…
ma…esiste anche una società esterna alle fabbriche, la società in cui tutti viviamo. Una società che conoscerà una qualità della vita migliore se gli individui che la compongono saranno stati educati ed allenati a stili di convivenza solidaristica, non competitiva. Detto in soldoni: il criterio caro a Franz rende più efficiente la produzione ma anche contribuisce ad aumentare l’aggressività e l’egoismo fuori dalla fabbrica. E a far sì che se qualcuno si fa male o subisce violenza per strada, nessuno intervenga.
Per quanto attiene al taylorismo le affermazioni di Franz non sono dimostrate, perché non dimostrabili.
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Re: L'Italia non è meritocratica

Messaggioda ranvit il 20/09/2010, 17:42

Una società che conoscerà una qualità della vita migliore se gli individui che la compongono saranno stati educati ed allenati a stili di convivenza solidaristica, non competitiva




....bella frase ma assolutamente sciocca... :lol:
CHI dovrebbe educare e allenare? Babbo Natale? Il Partito....??? :lol:

E tutto questo partendo dai bidelli? Ma cerchiamo di essere seri! :mrgreen:

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Re: L'Italia non è meritocratica

Messaggioda bidellissimo il 20/09/2010, 17:54

ranvit ha scritto:Una società che conoscerà una qualità della vita migliore se gli individui che la compongono saranno stati educati ed allenati a stili di convivenza solidaristica, non competitiva




....bella frase ma assolutamente sciocca... :lol:
CHI dovrebbe educare e allenare? Babbo Natale? Il Partito....??? :lol:

E tutto questo partendo dai bidelli? Ma cerchiamo di essere seri! :mrgreen:

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Che cavolo c'entrano i bidelli? Qui nessuno è bidello, purtroppo, io lo sono solo di nick!
CHi dovrebbe educare? Le stesse strutture della società, che incidono sulla mentalità dei singoli più di qualsiasi forma di indottrinamento. Tutti trascorriamo al lavoro la maggior parte del nostro tempo, e tutti soffriamo, poco o tanto, di deformazione professionale.
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Re: L'Italia non è meritocratica

Messaggioda ranvit il 20/09/2010, 18:14

bidellissimo ha scritto:Che cavolo c'entrano i bidelli? Qui nessuno è bidello, purtroppo, io lo sono solo di nick!
CHi dovrebbe educare? Le stesse strutture della società, che incidono sulla mentalità dei singoli più di qualsiasi forma di indottrinamento. Tutti trascorriamo al lavoro la maggior parte del nostro tempo, e tutti soffriamo, poco o tanto, di deformazione professionale.
Davide


Ciao a tutti. Alla mia prima interlocuzione in questo forum, ritengo sia cosa educata presentarmi: mi chiamo Davide Selis, sono l'amministratore del forum telematico "VIVA I BIDELLI" (http://vivaibidelli.forumattivo.com/forum.htm). Professionalmente faccio il custode e guardia notturna in pinacoteche statali da più di trent' anni, e nel semplicissimo ambito delle mie mansioni mi sono sempre impegnato molto, con riconoscimento unanime, di colleghi e superiori.


....quindi i bidelli c'entrano....


Ma ripeto la domanda : CHI dovrebbe educare ed allenare???
Le strutture della società....??? Cioè???

Amico mio, cerca di essere concreto!


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