Tutto giusto, condivido praticamente tutto quello che ognuno ha scritto sull'argomento, nella sostanza, a parte i nomi di questo o quello.
Però, in una democrazia teorica - perché ogni volta che si parla di queste faccende, si parla sempre di più di una democrazia che in realtà non esiste nella forma in cui viene immaginata - il ricambio deve avvenire per via spontanea, sia pure ovviamente all'interno di un quadro di regole di carattere generale.
Voglio dire che in questo settore dovrebbe valere un "liberismo di mercato" assai maggiore di quello che avviene o si presuppone in sede economica.
I giovani leoni, che vorrebbero spodestare i vecchi capobranco, devono essere capaci di farlo, e non aspettarsi che sia varato un regolamento che li trasporti comodamente sulle poltrone di comando.
Questo è un lato della politica che si riduce ad una lotta per il potere, e non è lecito scandalizzarsene.
Quello che invece dovrebbe scandalizzare è che "dentro" questo potere, ossia dentro questa ipotetica "voglia" di potere, spesso non c'è altro che il potere stesso, o ben poco di più - solo qualche ideuzza banale e stentata, se va bene.
In una democrazia - non ideale o utopistica, ma appena decente - la lotta per il poetre dovrebbe essere decisa da cittadini in grado di giudicare e di sconfessare quelli che sono portatori del nulla, o vogliono il potere per il potere in se stesso.
Questo implica che i cittadini siano mediamente capaci di fare questo genere di analisi, e siano messi in grado di conoscere e valutare i concorrenti: il che non è, o non è in misura mediamente sufficiente.
Tutto questo, secondo meccanismi in qualche modo "normali".
Tuttavia, si possono creare, in certe condizioni, meccanismi anomali o alternativi.
Per esempio, l'abbandono da parte dei cittadini, secondo lo schema tratteggiato da quell'articolo sulla Repubblica, se non ricordo male di Diamanti.
Nella generale confusione, e nel blocco dei meccanismi di ricambio, di conoscenza e di giudizio, non funziona tanto il voto come arma di scelta, quanto il non-voto come extrema ratio.
Una pessima cosa, se vista da un lato. Un segno di qualche residua vitalità, se visto dall'altro - se il non-voto ha il senso di una scelta e di una richiesta, sia pure anomala.
I giovani leoni, a questo punto, dovrebbero essere in grado di capire nel modo migliore il senso del non-voto.
Ma dove sono questi giovani leoni? Siamo sicuri che ce ne siano, e che siano davvero diversi da quelli vecchi? E diversi in che cosa: per il solo linguaggio, o anche per le idee, e quali idee, idee solo organizzative o anche politiche?