Corruzione, il Senato reagisce e dà un segnale: salvati due politici indagati
Il voto dei democratici decisivo in aula per respingere la richiesta di utilizzo di intercettazioni contro Azzollini (Ncd), sotto inchiesta per l'affare del porto di Molfetta, e per rinviare in giunta quella contro Papania (Pd), accusato di aver concesso appalti in cambio di assunzioni clientelari
Il Pd commissariato a Roma, un assessore comunale e un consigliere regionale costretti alle dimissioni. E il premier-segretario Matteo Renzi che giusto ieri sera a Bersaglio mobile di Enrico Mentana riproponeva il “daspo” a vita per i corrotti, una sorta di “eragastolo”, così lo ha definito, che li tenga lontani per sempre dalla gestione della cosa pubblica. Ma alla prova dei fatti, l’effetto del terremoto provocato dall‘inchiesta Mafia capitale si è già smorzato. In aula al Senato il Pd ha votato contro l’autorizzazione all’uso di alcune intercettazioni contro il parlamentare Ncd Antonio Azzollini, indagato nell’inchiesta sugli appalti per il porto di Molfetta, in provincia di Bari. La decisione rispecchia a linea tenuta dal Pd in giunta per le immunità il 7 ottobre, che aveva provocato una mezza rivolta nel partito, con il senatore Felice Casson (membro della giunta) che si era autospeso dal gruppo bollando la scelta come una “difesa della Casta” e Pippo Civati che aveva vergato un post di fuoco chiedendo “spiegazioni”. Spiegazioni poi fornite a ilfattoquotidiano.it dal capogruppo Giuseppe Cucca, secondo il quale le intercettazioni in cui era rimasto impigliato il parlamentare – in modo indiretto – perché alcuni suoi interlocutori avevano il telefono sotto controllo “non erano casuali, nel senso che i pm sapevano che Azzollini, essendo sindaco di Molfetta, era un interlocutore degli indagati”. Quindi, secondo Cucca, i magistrati avrebbero dovuto “chiedere l’autorizzazione”.
Mafia capitale, Renzi promette in tv il “daspo” ai corrotti. Ma in Senato il Pd vota il “salvataggio” di Azzollini e Papania
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Ma non è tutto: con una giravolta rispetto al voto espresso in Giunta per le elezioni, i dem hanno bloccato l’utilizzo delle intercettazioni per il loro compagno di partito Antonino Papania, indagato a Palermo per corruzione, con l’accusa di aver garantito appalti in cambio di assunzioni clientelari. Il 19 novembre, in Giunta i rappresentanti Pd si erano divisi, e così, con un solo voto di scarto, era passato il via libera solo ad alcune delle conversazioni richieste dal Tribunale del capoluogo siciliano. Questo dopo che il gip aveva già ridotto la portata della richiesta del pm, limitando il numero delle intercettazioni da poter utilizzare. E pazienza se Papania era già da tempo stato definito “impresentabile” dalla commissione di garanzia del Pd, in occasione delle politiche del 2013.
Oggi, in aula, un’ulteriore retromarcia, con la scelta di rimandare il dossier in giunta. A innescare la decisione, l’intervento del senatore palermitano di Gal Mario Ferrara, che ha sollevato perplessità sulla datazione di alcune intercettazioni. Tanto è bastato perché il Pd, con Lega, Fi e Ncd, votasse per il rinvio in giunta, lasciando soli a protestare il Movimento 5 Stelle e alcuni rappresentanti del gruppo Misto. “E’ grave la scelta del Pd – ha commentato Maurizio Buccarella, M5S, relatore della richiesta di concessione dell’autorizzazione – soprattutto il giorno dopo la decisione di commissariare il partito romano per fatti di corruzione e mafia”.
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