I care of PD Party
Complicato, proprio complicato dover ritornare sul fatidico “I CARE” ripetuto da Veltroni alla conclusione della scuola estiva del PD. E c’è anche da domandarsi se una lezione magistrale con interlocuzione con i “maestri di pensiero” e gli allievi che hanno popolato la scuola possa far parte del dibattito politico corrente (dai riflessi sulla stampa si direbbe proprio di no).
Ma certo l’elegia della Politica pronunciata da Veltroni poco ha a che vedere con i dilemmi politici del PD e ben poco ha da vedere con la testa, la pancia e le preoccupazioni dell’italiano medio (sia di maggioranza che di opposizione) mentre ci offre un orizzonte e scenari talmente alti da sconfinare nelle utopie ben distanti anche dalle contraddizioni in cui è impaludato il paese e, per la sua parte, il PD.
Chi dice che è in corso il tentativo di costruire il “pensiero democratico”(cioè dei democratici italiani) con cui superare le ideologie dei secoli precedenti (dall’età dei lumi, passando per l’era delle rivoluzioni, fino all’abbattimento del muro di Berlino), non ci incanta. A parte l’ambizione (ma certo non si puo’ negare l’inizio almeno di questo percorso), in realtà non riusciamo, proprio perché anche noi e veniamo dal secolo breve!, a capire come si possa fondare una comunità politica pluralista (in quanto ad ideologie e valori) con caratteristiche politico-programmatiche (cioè non ideologiche ma solo di governo), invocando presupposti ideali metapolitici, se non addirittura di attesa messianica verso la stessa politica e per altro indicando come perno della battaglia politica il superamento delle contraddizioni sociali ma non lo scontro gli schieramenti che sostengono, in alternativa, il mantenimento delle stesse contraddizioni.
Se alla volontà di essere forza di programma non si associa una prassi coerente di acquisizione di capacità programmatiche e di capacità di fare partecipazione e consenso su questa attitudine, e quindi nel nostro caso, anche di formazione ai programmi e sui programmi e sulla loro ingegnerizzazione sociale, politica e tecnico-operativa, si rischia di riattivare una logica duale di separazione tra l’ideale e la prassi politica e, magari, anche la persistenza dell’ottica delle terze vie o dell’oltrismo con cui si sviano spesso gli spigoli della politica e dei conflitti che la attraversano.
Se alla volontà di essere forza programmatica non si associa la necessità di temprare quadri e dirigenti (o aspiranti tali) alla battaglia politica che attraversa il Partito e il Paese, rischiamo di relegare la bella politica da una parte, e la vera politica dall’altra (a fare da mattatore ovviamente).
Ne va dei caratteri della nostra attuale opposizione al governo centrale, dei caratteri della nostra capacità di governo dove vi riusciamo, della lunga marcia necessaria per mandare a casa la destra che si è insediata nel paese e ogni giorno di più manifesta la sua forza e il suo consenso davanti ad una opposizione frantumata, indebolita e incerta.
Paolo Borghi livorno 18.09.2008 x
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