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Se la sinistra rinuncia a combattere l'apartheid

Il futuro del PD si sviluppa se non nega le sue radici.

Se la sinistra rinuncia a combattere l'apartheid

Messaggioda franz il 11/11/2012, 21:41

Se la sinistra rinuncia a combattere l'apartheid della disuguaglianza
Fonte: ROGER ABRAVANEL, Corriere della Sera
Sabato 10 Novembre 2012 09:41 -

Nel mondo inizia il sesto anno di crisi economica e si accende il dibattito sulla disuguaglianza.
In realtà è da 20 anni che la disuguaglianza cresce, ma la crisi ha innescato la protesta sociale:
un conto è arricchirsi meno degli altri quando l'economia va bene, un altro è diventare più
poveri mentre i ricchi accrescono il loro benessere. Oggi il grande dilemma della
maggioranza dei leader politici nel mondo è come ridurre la disuguaglianza senza penalizzare
la crescita.

In Italia, invece, quasi nessuno si lamenta ancora del nostro elevatissimo livello di
disuguaglianza, anch'esso di lunga data. Da sempre l'indice Gini in Italia (misura il divario tra i
più ricchi e i più poveri) è tra i maggiori d'Europa: è al livello della iperliberista Inghilterra e
vicino a quello degli Usa, molto più alto di quello di altri Paesi europei, come la Germania o i
Paesi scandinavi.

Anche la mobilità sociale, ovvero la possibilità per i figli di genitori poveri di raggiungere un
reddito alto, in Italia è bassa. Siamo a livello degli Usa, ma con caratteristiche diverse: in
America il gruppo dei super-ricchi (il top 1% dei redditi) è sempre più costituito da manager e
professionisti, e sempre meno da imprenditori. Il reddito in queste carriere dipende dalle scuole
che si frequentano, i professionisti più ricchi spesso si sposano tra di loro e possono mandare
a loro volta i figli nelle scuole più care. Questa è la causa principale della riduzione della
mobilità sociale in Usa negli ultimi vent'anni.

La mobilità sociale italiana è bassa da sempre, ma per un'altra ragione: perché i figli dei ricchi
ereditano l'azienda e le proprietà del padre. Nel nostro Paese non solo i poveri sono sempre
stati molto più poveri, ma non hanno mai avuto molte possibilità di diventare ricchi, come
invece avviene negli Usa grazie alle borse di studio per le migliori Università.
Peraltro il nostro welfare non è certo costato poco: oggi, in rapporto al Pil, è a livelli scandinavi,
ovvero delle società che hanno la più bassa disuguaglianza e la maggiore mobilità sociale.
Questi Paesi hanno trasformato negli anni il loro stato assistenziale in un welfare in grado di
creare opportunità per ogni cittadino senza falsare le regole di mercato per sostenere la
crescita dell'economia. Per esempio il sussidio di disoccupazione termina se il lavoratore non
si attiva seriamente per rioccuparsi, mentre lo Stato lo aiuta a imparare un altro mestiere e a
trovare un lavoro diverso.

La disuguaglianza sociale in Italia è quindi un problema enorme. Tuttavia se ne parla poco:
sorprende soprattutto il disinteresse delle sinistre. Prendiamo uno degli slogan lanciati proprio
dalla sinistra in questi mesi di crisi: «tassare i ricchi». Aumentare le tasse per pagare il welfare
dei poveri? No, farle salire per far «pagare il costo della crisi ai ricchi». Di dare soldi ai poveri,
se ne parla poco. Del resto il nostro welfare non protegge i più poveri, i giovani e le donne:
difende piuttosto i capofamiglia maschi, ai quali garantisce il posto di lavoro e una pensione
prima di tutti gli altri Paesi.

Quando la sinistra parla di «politiche per la crisi», parla sempre e solo di «difesa»: difesa del
posto di lavoro, difesa delle pensioni, difesa dei diritti. Non di creazione di opportunità, se non
in termini generici e vaghi.
Questo linguaggio è figlio di un'impostazione conservatrice e anti-capitalista, che pone la
sinistra italiana (e buona parte del Paese) su un pianeta ideologico arretrato rispetto alle altre
nazioni occidentali.

Nel «pianeta Italia» la disuguaglianza viene oggi affrontata basandosi su principi quasi feudali.
Non è l'impresa che crea benessere, ma il lavoro (art. 1 della Costituzione). Il lavoro esiste
indipendentemente dal capitale, dall'impresa, dal consumo. Interessa poco il fatto che senza
imprese e consumatori che comprano i loro prodotti non ci sono lavoratori.

Il lavoro, inteso come posto di lavoro, è un diritto inalienabile dell'uomo, come la vita.
Corollario: tutti i posti di lavoro vanno difesi. Dunque se sei fortunato e vai in pensione quando
sei ancora molto giovane, è un tuo diritto. Lavori in miniera nel Sulcis? Un altro diritto che va
difeso, anche se difenderlo costa dieci volte il tuo stipendio. Inoltre, come la vita, il lavoro di chi
oggi ha un impiego è un bene molto più importante dell'occupazione potenziale di chi un lavoro
non ce l'ha.

In un ospedale, i vivi hanno la precedenza sui morti. È lo stesso atteggiamento del sindacato,
di fronte a occupati e disoccupati. È così che si crea l'«apartheid» di cui parla Pietro Ichino tra i
dodici milioni di intoccabili (assunti a tempo indeterminato) e i nove milioni di «precari» e
dipendenti delle piccole imprese.

La sinistra italiana non ha capito che è il mercato a creare il lavoro e che il compito dello Stato
non è dichiarare che lo status quo è un diritto e congelarlo, ma diminuire la disuguaglianza di
opportunità favorendo meritocrazia, concorrenza, scuola di qualità.
Se il centrodestra è sempre stato il protettore dei grandi privilegi, la sinistra si è trasformata in
protettrice di quelli piccoli. La soluzione per ridurre la disuguaglianza da noi è quella che serve
anche a fare ripartire la crescita: rule of law (ovvero quel rispetto delle regole senza il quale
non nascono regole giuste necessarie al libero mercato); e una «vera» meritocrazia, intesa
come ricerca della competizione, non come semplice riduzione delle raccomandazioni.
La sinistra si pone come alternativa a una destra incapace di fare nascere questi valori negli
ultimi 25-30 anni. Ma riuscirà a superare quei tabù che l'hanno resa un alleato della destra per
creare il Paese più disuguale del mondo occidentale?
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Re: Se la sinistra rinuncia a combattere l'apartheid

Messaggioda ranvit il 12/11/2012, 9:25

Quando la sinistra parla di «politiche per la crisi», parla sempre e solo di «difesa»: difesa del
posto di lavoro, difesa delle pensioni, difesa dei diritti. Non di creazione di opportunità, se non
in termini generici e vaghi.
Questo linguaggio è figlio di un'impostazione conservatrice e anti-capitalista, che pone la
sinistra italiana (e buona parte del Paese) su un pianeta ideologico arretrato rispetto alle altre
nazioni occidentali.


Vallo a far capire ai sinistri italiani.... :roll: :twisted:
Il 60% degli italiani si è fatta infinocchiare votando contro il Referendum che pur tra errori vari proponeva un deciso rinnovamento del Paese...continueremo nella palude delle non decisioni, degli intrallazzi, etc etc.
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Re: Se la sinistra rinuncia a combattere l'apartheid

Messaggioda flaviomob il 12/11/2012, 9:48

Chi è l'autore di questo meraviglioso articolo (degno del Tea Party, purtroppo recentemente bastonato alle elezioni americane)?


Dal 2008 Roger Abravanel svolge l'attività di editorialista per il Corriere della Sera. Ha contribuito al dibattito pubblico sul tema della meritocrazia, in particolare grazie al libro Meritocrazia: Quattro proposte concrete per valorizzare il talento e rendere il nostro paese più ricco e più giusto, edito da Garzanti nel 2008. Il 15 luglio 2010 insieme al Ministro della Pubblica Istruzione Mariastella Gelmini vara il progetto denominato "Piano nazionale per la qualità e il merito" che prevede per l'anno scolastico 2010/2011 la valutazione degli studenti delle scuole medie italiane e la qualità dell'insegnamento. Nel 2011 il Governo vara la “Fondazione per il merito” e la legge per aumentare il numero di donne nei CDA delle società quotate, proposte entrambe contenute nel saggio. Nel 2010 ha pubblicato il suo secondo saggio “Regole”, con cinque proposte per il miglioramento della capacità competitiva dell'Italia.

http://it.wikipedia.org/wiki/Roger_Abravanel

Ah ecco, un consulente della Gelmini che ha contribuito alla meravigliosa riforma "meritocratica" della scuola italiana... :lol: :lol:

Ora è tutto chiaro! La sinistra, che ha governato (in coalizione) per sette anni su sessanta, è la iattura di questo paese. ;)


"Dovremmo aver paura del capitalismo, non delle macchine".
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Re: Se la sinistra rinuncia a combattere l'apartheid

Messaggioda Iafran il 12/11/2012, 10:10

Importante è riconoscere il ruolo che la sinistra dovrebbe svolgere ... senza preferirne altri ... (il rimprovero è un ottimo "alibi" per qualsiasi presa di posizione! ;) ).
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Re: Se la sinistra rinuncia a combattere l'apartheid

Messaggioda pianogrande il 12/11/2012, 10:33

Prima della difesa c'è stata la conquista di qualcosa.
Le conquiste, da un po' di tempo, si sono fermate perché il benessere si è portato via la voglia di lottare.
Il benessere, come effetto collaterale, porta l'egoismo.
Può anche essere un punto di equilibrio accettabile una volta che questo benessere si riuscisse a conservarlo, a difenderlo.
Invece, no.
Come abbassi la guardia, ti saltano addosso e ..... via, il ciclo ricomincerà e costerà fatiche e sacrifici.
Siamo, ormai da molti anni, al punto che la la difesa dei propri diritti viene tacciata di conservatorismo, i diritti si chiamano privilegi ed amenità del genere.
Speriamo solo che un numero sufficiente di persone cominci ad incazzarsi davvero prima di tornare alla modernità dell'ottocento.
Non ha niente di moderno tutto questo.
Ci sono più classi sociali che si contendono il potere e la ricchezza.
Nessuna è più buona o più cattiva delle altre.
Un migliore livello di civiltà richiederebbe che tra queste fazioni si raggiungesse un accordo.
Niente da fare, almeno per il momento.
Finché dura questa situazione, cerchiamo, almeno di stare dalla parte giusta.
Fotti il sistema. Studia.
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Re: Se la sinistra rinuncia a combattere l'apartheid

Messaggioda ranvit il 12/11/2012, 10:59

Anche stando all'opposizione per 53 anni su sessanta la sinistra italiana ha contribuito fortemente ai mali del Paese: impedendo la formazione di una sinistra all'europea, moderna, liberale e non astiosa a prescindere!!! :D
Il 60% degli italiani si è fatta infinocchiare votando contro il Referendum che pur tra errori vari proponeva un deciso rinnovamento del Paese...continueremo nella palude delle non decisioni, degli intrallazzi, etc etc.
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Re: Se la sinistra rinuncia a combattere l'apartheid

Messaggioda franz il 12/11/2012, 11:22

flaviomob ha scritto:Chi è l'autore di questo meraviglioso articolo (degno del Tea Party, purtroppo recentemente bastonato alle elezioni americane)?

Da quanto ne so recentemente collabora molto con i Radicali (anche sulla scheda di wiki se ne parla) ed in passato ho conosciuto altri radicali che hanno collaborato a riforme del governo Berlusconi, cercando di inserire spunti liberali e riformisti. Ok, non è comunista ma questo "non esserlo" non è una colpa e non lo trasforma automaticamente in un esponente dell'ultradestra.
Poi francamente è tipoco di una sinitra senza argomenti non entrare nel merito dei singoli punti ma chiedersi chi sia la persona ...
Da qui a chiedersi di che colore porti i calzini il passo è breve. :lol:
Nel merito cio' che è scritto è decisamente condivisibile e le anime belle lo capiranno solo tra 10 o 20 anni.
Come sempre tra l'altro, come dice anche Ichino (un altro esponente dei tea party?).


CHE COSA E’ “DI DESTRA” E CHE COSA È “DI SINISTRA” (ancora sul ruolo del politico di complemento)
1. La storica difficoltà della sinistra di distinguere la destra dalla sinistra – Prima di questa sedicesima legislatura, sono stato deputato nel corso dell’ottava (1979-83), nel Gruppo comunista. Se allora avessi rispettato il divieto di sostenere cose che l’opinione dominante della mia parte politica considerava “di destra”, avrei dovuto astenermi dal sostenere la necessità del riconoscimento del lavoro a tempo parziale; e, ancor più, astenermi dal sostenere l’abolizione del monopolio statale dei servizi di collocamento nel mercato del lavoro e della regola dell’avviamento al lavoro “su richiesta numerica” in base a graduatoria. Ricordo che proprio a causa delle mie tesi in materia di collocamento pubblico Emilio Pugno, autorevole capo-operaio della Fiat e in quella legislatura vice-presidente della Commissione Industria della Camera, mi diceva (bonariamente, ma con piena convinzione): “tu sei l’ala destra; ma non del movimento operaio: della borghesia”. Fu così che nel 1984 il Pci votò contro il riconoscimento del part-time, fonte di “ghettizzazione” delle donne; e per tutto il decennio successivo Pci e poi Pds continuarono pervicacemente a difendere il monopolio statale del collocamento, baluardo a difesa della dignità e libertà dei lavoratori contro le discriminazioni. Però – ironia della sorte – ad abolire quel monopolio fu nel 1997 una maggioranza di centrosinistra, di cui faceva parte anche Rifondazione comunista. E oggi neppure Bertinotti o Vendola propongono di tornare indietro, né rispetto alla liberalizzazione dei servizi nel mercato del lavoro, né rispetto al riconoscimento del part-time. È andata così anche per la regola dell’inderogabilità assoluta del contratto collettivo nazionale, per anni considerata da sinistra sacra e intangibile, poi travolta dall’accordo interconfederale del giugno 2011, firmato anche dalla Cgil; e sta andando così per l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori: fra cinque o dieci anni anche questo sarà considerato da tutti a sinistra un ferro vecchio irrecuperabile.
. Questi sono soltanto alcuni esempi scelti nel campo di mia competenza; ma potrei proporne molti altri: basti pensare che negli anni ’70 erano considerati dal Pci – cioè da un italiano su tre – “di destra” anche il processo di integrazione europea e la televisione a colori.

2. Il ruolo insostituibile del politico di complemento capace di andare controcorrente - Tutto sbagliato, dunque, in quella vecchia sinistra? No: c’era anche molto di buono. Ma quella sinistra aveva bisogno pure di qualcuno che, al suo interno, preparasse il terreno per gli sviluppi futuri. Spero di non peccare di presunzione ipotizzando che le mie battaglie degli anni ’70, ’80 e ’90 abbiano avuto qualche peso nel rendere possibile la svolta compiuta dalla sinistra italiana, in materia di politica del lavoro, con le leggi Treu del 1997; ma quanti improperi, quante accuse di “essere di destra” mi sono sorbito per condurre quelle battaglie!
. A un partito che non voglia fare soltanto il piccolo cabotaggio ma voglia allargare gli orizzonti della propria strategia, cogliendo in anticipo i segni dei tempi, non può bastare la – pur indispensabile – competenza del politico di professione, la sua capacità di coltivare e raccogliere il consenso entro la prima scadenza elettorale. Quel partito ha bisogno anche di studiosi, opinionisti, intellettuali, capaci di svolgere, come “politici di complemento”, il compito difficile e ingrato di dire le cose vere ma impopolari e scomode per l’apparato, di segnalare quanto accade nei Paesi più avanzati anche quando ne deriva una sollecitazione ad abbandonare inerzie domestiche e luoghi comuni radicati, di indicare ciò che prevedibilmente accadrà dopo le scadenze elettorali più vicine anche se si concilia male con le logiche politiche contingenti; insomma, di esporre il frutto delle proprie ricerche e studi anche quando questo comporta l’andare controcorrente. In un sistema democratico sono indispensabili i professionisti del consenso utile subito; sono però indispensabili anche i politici meno applauditi oggi, ma dedicati a costruire un ponte tra il consenso di oggi e quello di domani.

3. La vicenda della Fiat vista dal 2020 – Per tornare al tema di questa lettera, credo che tra qualche anno apparirà evidente a tutti – anche all’intero Pd – la follia di un Paese allo stremo, affamato di investimenti e di possibilità di lavoro, che fa la guerra contro il lancio di uno stabilimento-gioiello come quello di Pomigliano – che viene premiato dall’UE come best place to work in Europa, e fa registrare l’indice massimo di sicurezza, igiene e protezione dallo stress da lavoro – e contro la prospettiva che la stessa esperienza si ripeta altrove. Motivo dello scontro? Tre deroghe (molto marginali, peraltro) al contratto collettivo nazionale di settore.
. Sbaglierò, ma nel 2020 apparirà evidente che le scorrettezze commesse dalla Fiat a Pomigliano contro la Fiom sono state precedute da altre scorrettezze di gravità almeno pari commesse dalla Fiom ai danni della stessa Fiat, della maggioranza dei lavoratori dello stabilimento e dei loro sindacati; che la discriminazione nelle assunzioni è stata preceduta da un attacco frontale contro il piano industriale di Marchionne denunciato fin dall’inizio come “illegittimo” o addirittura come costituente un “attentato alla Costituzione” (denunce respinte da tutte le sentenze che si sono registrate sul punto): cosa ben diversa, questa, dal dissentire sull’opportunità di firmare l’accordo aziendale, rispettando però la volontà espressa dalla maggioranza dei lavoratori.
. Per questo, pur criticando la discriminazione perpetrata dalla Fiat ai danni della Fiom a Pomigliano, sento il dovere di tenere la mia critica distinta da quella di chi non ha speso e continua a non spendere una sola parola sulle responsabilità gravi della Fiom in quella vicenda.
. Poi mi chiedo: è mai possibile che Sergio Marchionne sia nello stesso tempo “di destra” in Italia e “di sinistra” negli Stati Uniti, dove è amatissimo non solo dai sindacati e dai lavoratori dell’automobile, ma anche da Barack Obama (della cui campagna elettorale nel decisivo Ohio ha costituito un volto e un argomento di primo piano)?

4. La questione del provvedimento giudiziale - Veniamo infine alla questione strettamente tecnico-giuridica da cui questa discussione è nata. Oggi in Italia siamo ancora abituati a considerare la reintegrazione dei lavoratori o la costituzione coattiva del rapporto di lavoro come provvedimento tendenzialmente “di sinistra”, mentre la sanzione del risarcimento del danno, la “monetizzazione”, sarebbe tendenzialmente “di destra”. Così, nel caso specifico, preferiamo chiudere gli occhi sul fatto che a) qui la costituzione coattiva del rapporto di lavoro non avrebbe potuto comunque essere disposta per tutti i 300 lavoratori discriminati, ma soltanto per metà di essi (e l’altra metà? si arrangi!), mentre il risarcimento del danno per perdita di chance di lavoro avrebbe potuto essere riconosciuto a tutti gli interessati; e sarebbe stata per l’impresa una perdita patrimoniale, pagata principalmente dagli azionisti; b) viceversa, la sentenza non può imporre all’imprenditore di mantenere durevolmente un organico sovradimensionato rispetto alle esigenze aziendali effettive; imporre la costituzione di un posto di lavoro aggiuntivo stabile significa dunque prima o poi metterne a repentaglio un altro.

5. Non è “di destra” valutare i costi delle tutele e chiedersi chi li paga - A ben vedere, l’apertura della procedura di riduzione del personale da parte della Fiat evidenzia un rischio, e quindi un costo, che deriverebbe comunque per tutti i lavoratori dal provvedimento del giudice, anche nel caso in cui la procedura non fosse stata attivata o il licenziamento collettivo non venisse attuato: i posti di lavoro in un’azienda con organico sovradimensionato, operante in un settore fortemente concorrenziale, sono tutti a rischio. Questo – il costo delle misure protettive e chi effettivamente lo sopporta – è il dato su cui noi, a sinistra, quando discutiamo di diritto del lavoro tendiamo a chiudere indebitamente gli occhi. È evidente che qualsiasi sanzione contro un comportamento discriminatorio in qualche misura grava sul conto economico dell’impresa che viene puntia; ma l’analisi economica del diritto consente di individuare le sanzioni più efficaci e produttive di minori effetti indesiderati.

. I giuslavoristi ortodossi italiani – non per caso – considerano “di destra” l’analisi economica del diritto del lavoro (quella che gli anglosassoni chiamano labor law and economics); e quindi oggi la snobbano, quando addirittura non la demonizzano. Scommettiamo che fra dieci anni, in ritardo di venti rispetto ai loro colleghi d’oltremanica e di trenta rispetto a quelli di oltreatlantico, anche i giuslavoristi italiani si accorgeranno che l’analisi economica del diritto del lavoro è uno strumento indispensabile per correggere in modo migliore le distorsioni del mercato del lavoro? (p. i.)

http://www.pietroichino.it/?p=23942
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Re: Se la sinistra rinuncia a combattere l'apartheid

Messaggioda flaviomob il 12/11/2012, 15:43

Pianogrande, sei una persona saggia, leggerti fa sempre riflettere con piacere ed arricchisce.

Per il resto, vorrei ricordare che grazie alla non/sinistra che ha quasi sempre governato, in questo paese il lavoro e' piu' penalizzato che in tutti gli altri paesi UE eccetto forse la Grecia. Solo in Italia e nel paese ellenico non esiste un reddito minimo garantito. E da noi imposte e contributi versati da lavoratori ed imprese *cuneo fiscale* sono tra i piu' elevati della UE in assenza di politiche di welfare che garantiscano reddito decente e formazione a chi perde il lavoro (tranne le eccezioni dei cassintegrati, con tutta la discrezionalita' del caso), oltre ad avere precari privi di protezione (per favorire il capitale) come in nessun paese occidentale. Ma questo discorso e' gia' stato fatto migliaia di volte per cui mi fermo qui; inutile sprecare altro tempo.


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Re: Se la sinistra rinuncia a combattere l'apartheid

Messaggioda franz il 12/11/2012, 16:11

flaviomob ha scritto:Ma questo discorso e' gia' stato fatto migliaia di volte per cui mi fermo qui; inutile sprecare altro tempo.

hai ragione, ne abbiamo già discusso.
Il sistema è bloccato perché chi ha teme di perderlo (ed ha abbastanza potere di interdizione) e chi non ha non ha abbastanza voce in capitolo per ottenere cio' che vorrebbe.
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Re: Se la sinistra rinuncia a combattere l'apartheid

Messaggioda ranvit il 13/11/2012, 9:53

flaviomob ha scritto:Pianogrande, sei una persona saggia, leggerti fa sempre riflettere con piacere ed arricchisce.

Per il resto, vorrei ricordare che grazie alla non/sinistra che ha quasi sempre governato, in questo paese il lavoro e' piu' penalizzato che in tutti gli altri paesi UE eccetto forse la Grecia. Solo in Italia e nel paese ellenico non esiste un reddito minimo garantito. E da noi imposte e contributi versati da lavoratori ed imprese *cuneo fiscale* sono tra i piu' elevati della UE in assenza di politiche di welfare che garantiscano reddito decente e formazione a chi perde il lavoro (tranne le eccezioni dei cassintegrati, con tutta la discrezionalita' del caso), oltre ad avere precari privi di protezione (per favorire il capitale) come in nessun paese occidentale. Ma questo discorso e' gia' stato fatto migliaia di volte per cui mi fermo qui; inutile sprecare altro tempo.



E io vorrei ricordare che negli altri Paesi europei al governo ci è stato piu' spesso il centrodestra...e che non esiste una sinistra come quella italiana (ma socialdemocratica) :lol:
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