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La fine di un solista

Il futuro del PD si sviluppa se non nega le sue radici.

Re: La fine di un solista

Messaggioda guidoparietti il 24/11/2008, 22:56

è un po' troppo facile fare del cerchiobottismo di bassa lega in questo momento, come se veltroniani e dalemiani fossero uguali e speculari... bisogna andare a guardare nel merito delle posizioni. Si può andare molto indietro, fino ad esempio a chi era contrario e chi a favore dell'Ulivo (o ancora prima dell'alleanza con i Popolari nel 1994), oppure si può guardare più vicino ad esempio sul sistema elettorale, chi ha sempre sostenuto il maggioritario e chi ancora sogna proporzionalismi fatti in modo da consentire giochi di alleanze d'altri tempi, o ancora su chi ha perseguito e persegue la linea del partito a vocazione maggioritaria (che significa conquistare prima di tutto elettori e non alleati di dubbiosissima fedeltà) e chi invece anche in questo caso preferirebbe politicistiche sommatorie di vertici autoreferenziali.
Saranno pure due tribù speculari e ugualmente pessime, ma a guardare quali sono state le scelte politiche sostenute nel corso degli anni e fino ad oggi, a me così uguali non sembrano.
Parafrasando il buon Romano, direi che più fastidiosi di dalemiani e veltroniani ci sono solo certi articolisti che amano pontificare dimenticandosi di fare riferimento a qualsiasi realtà concreta.
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Re: La fine di un solista

Messaggioda pierodm il 25/11/2008, 3:09

Bene ha fatto chi ha messo nel forum l'articolo di Romano, del Riformista.Qualunque cosa serva a chiarire lo stato dell'arte - come nelle navi, il cartello "voi siete qui" - torna utile.
L'articolo non è niente di speciale, ma proprio questa è la sua maggiore, utile virtù: il dibattito interno non è niente di speciale, così come tutto il resto.

Per la prima volta, da decenni, non mi sento in grado di fare previsioni sul futuro di questo partito e della sinistra: l'ultima serie di (facili) profezie risalgono a cinque o sei anni fa, al tempo degli ultimi bagliori dell'Ulivo prodiano, anche se forse "bagliori" è una parola un po' esagerata. Anni nei quali si era capito al di là d'ogni dubbio che Prodi aveva finito di avere un significato, e il travaglio genetico del costituendo partito democratico era male incamminato.
Era possibile, ancora, scrutare i fondi di caffè per farsi un'idea, perché la bevanda servita conservava l'odore e il colore del caffè, e i suoi residuati somigliavano ai granellini di caffè.
Adesso francamente non so bene di che bevanda si tratta, e anzi non sono sicuro nemmeno che sia cosa da bere o invece da masticare, o da ingoiare con un sorso d'acqua come una pillola.

La sezione del forum in cui stiamo scrivendo reca come sottotitolo "...se non rinnega le proprie radici". Bello, ma ...
Quali radici? Le radici di chi o di che cosa?
Io sono, per principio, poco interessato alle vicissitudini leaderistiche, che - salvo rare eccezioni, che non hanno bisogno di essere conclamate, perché si conclamano da sé - sono come gli allenatori di calcio: è già tanto se non fanno danni.
In genere la miseria o la nobiltà delle lotte intestine è lo specchio del livello di ciò che è il partito alla propria base, sia come militanza, sia come elettorato.
Negli anni in cui ero iscritto e frequentavo il PDS - prima di trasferirmi a vivere in campagna - avevo visto che la metamorfosi del PCI nella modernità piddiessina aveva implicato anche a livello di sezione periferica uno sviluppo dell'ipocrisia e del personalismo, che mi ricordavano ciò che avevo visto in certi ambienti del socialismo craxiano alla fine degli anni '80.
La sinistra per così dire "storica" era sistematicamente divisa, dentro l'apparente unanimismo del centralismo democratico, ma c'erano valori di fondo condivisi, specialmente sul piano culturale - "cultura" che, prevengo il maligno, non riguardava i libri o il latinorum, ma una certa visone della vita, della società, della politica, della storia.
Il PDS, al tempo che dicevo, quello della "ricchezza delle diversità", aveva cooptato parte dei transfughi del PSDI, della DC, del PSI, del PRI, e magari anche di capi vaganti senza marchiature.
Cooptazione che ho vissuto in senso materiale, prima ancora di avere il tempo di recepirla con qualche eventuale pregiudizio.
Mi sono trovato ad ascoltare discorsi e valutazioni - in quello che avrebbe dovuto essere un partito comune - che non avevano alcuna possibilità di stare insieme, a prescindere che piacessero o no a me personalmente.
Ho "visto" - in senso letterale - una certa dirigenza della sinistra trasformarsi, ossia trasformare i propri discorsi, il proprio modo di ragionare, di mettere in fila le parole e i concetti, in modo da accontentare tutti, o almeno provarci.
Ho visto cambiare il paesaggio del mondo, osservato con gli occhi politici del partito: una visione che, forse senza volerlo, somigliava tremendamente a quella della vecchia DC, o meglio del vecchio pentapartito, giudicando dalle parole e dai concetti messi in campo.
La genesi del PD è questa, perché ho visto che era questa. Ne ho visto il germoglio, e ne vedo ora il compimento.
Da quei primi momenti - Franz e altri della vecchia ML se lo ricordano - ho cominciato a parlare di "identità", di contenuti che dovevano venire prima dei contenitori, di espedienti elettoralistici che non potevano sostituire un'anima che non c'era e un'unità posticcia, etc.

Io credo che un PD al trenta-trentatre per cento sarebbe una forza notevole, e una percentuale formidabile, se si trattasse di una forza unita, con una base che condividesse valori comuni, al di là dell'anti-berlusconismo (e magari si fosse uniti almeno su questo).
In fondo la sinistra del dopoguerra, sommando tutte le formazioni, non ha mai superato questa soglia quantitativa, e pure ha esercitato non solo un certo potere condizionante, ma anche quella che viene chiamata "egemonia culturale", che personalmente meglio chiamerei (eh, eh) "superiorità culturale", che non derivava affatto dalla propria nomenklatura, ma dalle attitudini della propria base.
Sarebbe una forza notevole, con grandi capacità di attrazione, se riuscisse a dare la sensazione di essere una "casa" con pochi ma chiari valori certi, ben definiti e facilmente comprensibili, e importanti. Valori concreti, legati cioè alla vita delle persone, e valori ideali, in parte anche "visionari" e perfino illusori, capaci cioè di rappresentarsi come obiettivi di tendenza, valori identitari, a prescindere dai tempi di un'eventuale realizzazione.
Ma, poiché le persone e anche le nazioni hanno una storia, dev'essere possibile trovare in questa "casa" anche un senso comune della propria storia, una visione condivisa.

In questo PD, così come in embrione nel vecchio Ulivo, non esiste niente, o assai poco e male, di tutto ciò.
Si vede bene anche nelle discussioni di questo forum, dove coesistono non tanto idee "diverse", ma idee e letture inconciliabili.
Se si punta sul leaderismo, sulla personalizzazione della politica e sul valore centrale della vittoria elettorale, non è obbligatorio che accada ogni genere di nefandezza, ma è molto probabile.
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Re: La fine di un solista

Messaggioda ranvit il 25/11/2008, 11:44

Ha ragione Romano : è ora di andare oltre Veltroni e D'Alema.

Due cavalli di razza di quello che fu il Pci (ma allora i cavalli si chiamavano Amendola e Ingrao...).

Il Pd è paralizzato, sarebbe ora che a guidarlo ci fosse un "terzo" cavallo.

Non è questione di leaderismo ma di interprete delle varie anime del riformismo italiano.

Vittorio
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Re: La fine di un solista

Messaggioda ranvit il 25/11/2008, 20:38

Da http://www.ilmattino.it

25/11/2008
Claudio Sardo

Veltroni e D’Alema sono i leader più forti del Pd, come nel quindicennio del Pds e dei Ds. La loro dialettica ha segnato la storia della sinistra nella lunga transizione. Chi guarderà con maggiore distacco le vicende di questi anni noterà di più le cose che hanno unito Veltroni e D’Alema rispetto alla battaglia degli apparati generata dalla loro rivalità.
Il problema è che ora questa guerra intestina, forse oltre la volontà degli stessi leader, sta condizionando, paralizzando il nuovo partito. Le polemiche sul caso Villari hanno davvero rotto gli argini. In un Paese normale la scelta del presidente di una commissione parlamentare è una questione politica secondaria e mai potrebbe concentrare per settimane l’impegno di interi gruppi dirigenti. Da noi Veltroni ha prima inteso le critiche alla sua linea (pro Orlando anche dopo il rifiuto di Di Pietro a fornire una «rosa») come un tentativo di delegittimazione politica, una sorta di assalto al quartier generale, poi i suoi hanno utilizzato il grave infortunio di Nicola Latorre (i pizzini a Italo Bocchino) per gettare l’ombra della delegittimazione morale sull’intera area dalemiana. Non sarà facile ricucire le ferite. Anche perché il partito, dopo più di un anno, ancora non cammina sulle sue gambe. Non ha una platea di iscritti definita. E non è ben chiaro quali poteri avranno, quale equilibrio va cercato tra la scelte formate all’interno del partito e quelle da sottoporre alla platea più ampia delle primarie, se mai il Pd diventerà un partito aperto e contendibile, e se i suoi dirigenti intermedi verranno eletti dal basso o continueranno ad essere cooptati. Il sospetto è che la costituzione, il radicamento stesso del partito sia parte del medesimo scontro di leadership. Anzi, ormai è più che un sospetto. Veltroni sembra temere un partito degli iscritti. Le iniziative di D’Alema assumono spesso, nei fatti, un carattere correntizio. Non che le correnti siano un male. Sono un bene in un partito vivo e aperto. Ma le correnti senza un partito davvero democratico ingessano il gruppo dirigente, diventano l’evidenza di una malattia. Sia chiaro, le differenze di analisi e di strategia politica tra Veltroni e D’Alema non possono essere liquidate con discorsi generici. Tuttavia le polemiche di questi giorni hanno posto un dilemma nuovo. Veltroni e D’Alema, nonostante la forza e il carisma che esprimono, non sembrano più idonei a rappresentare la sintesi del Pd, ad occupare il ruolo di numero uno. La leadership di un partito così plurale e complesso, che addirittura ambisce a conquistare il 35-40% dei consensi, non può affermarsi sulla sconfitta di una sua componente comunque molto rappresentativa. Per non parlare dei tanti «democratici» che non hanno origini diessine - gli ex popolari innanzitutto ma non solo loro - e che non sopportano più l’assimilazione ai veltroniani o ai dalemiani, a secondo delle posizioni prese su questo o quel tema. Checché ne dica qualcuno, assumendo il vocabolario qualunquista, il Pd non può far a meno di D’Alema e Veltroni (che, vale la pena ricordarlo, hanno rispettivamente 13 e 19 anni meno di Berlusconi). Un allenatore non si priva dei giocatori più forti. Ma perché i due campioni possano giocare al meglio nella squadra ci vuole probabilmente un capitano nuovo. Forse è addirittura necessario per impedire che le code degli scontri negli apparati diventino ingovernabili. Naturalmente, un capitano nuovo non vuol dire un capitano qualsiasi. Ma tocca ai potenziali candidati, Bersani, Franceschini, Enrico Letta o altri ancora, marcare la propria originalità e proporre sintesi all’altezza delle necessità del Pd. Il congresso non è vicino. Le elezioni europee e ancor più le amministrative saranno una prova molto importante per definire la rotta nella legislatura. Veltroni continua a tenere alta la bandiera della «vocazione maggioritaria» del Pd, che è certamente il suo spirito vitale. D’Alema ha consentito, anche grazie al lavoro della sua Fondazione, di correggere la «presunzione di autosufficienza» ponendo a tema le alleanze per una coalizione democratica e un coerente impianto di riforme istituzionali (che non possono certo tendere al bipartitismo, come vorrebbe Berlusconi). Anche Giorgio Amendola e Pietro Ingrao, nel vecchio Pci, erano leader di grande peso e capaci di esercitare una larga influenza. Ma non erano i segretari. Anzi, proprio l’esistenza di un segretario diverso consentiva loro di mettere a frutto i rispettivi talenti. Si potrebbe opporre che non fu così per i «cavalli di razza» della Dc, Amintore Fanfani e Aldo Moro: anche loro però dopo essere stati segretari, davanti a situazioni inedite, seppero convergere per favorire nuovi equilibri. Comunque nel Pd la sintesi non può nascere da un’egemonia troppo marcata, perché nei rami più bassi dell’apparato rischia di tradursi in un’esclusione.
Claudio Sardo
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Re: La fine di un solista

Messaggioda guidoparietti il 25/11/2008, 21:52

Anche Claudio Sardo prosegue nell'alzare la cortina fumogena. Davvero encomibaile...
Ma se guardiamo un paio di traduzioni dal dalemese all'italiano:
"le cose che hanno unito Veltroni e D'alema" equivalgono alla continua battaglia per il mantenimento o la restaurazione degli apparati condotta da quest'ultimo contro chi, come Veltroni, è dall'inizio che voleva cambiare modello (e se l'avesse fatto nel 1994, probabilmente non saremmo nella situazione in cui siamo ora e lui stesso non avrebbe dovuto fare tanti compromessi al ribasso)
"l'infortunio di Latorre" è un modo di fare politica scorretto perché autocentrato
"D’Alema ha consentito, anche grazie al lavoro della sua Fondazione, di correggere la «presunzione di autosufficienza» ponendo a tema le alleanze per una coalizione democratica" leggi: D'alema lavora a delegittimare la linea del segretario senza avere il coraggio di proporre un'alternativa in campo aperto, e perdipiù sostenendo la sua solita posizione del politicismo più esasperato volendo buttare alle ortiche qualsiasi velleità democratica di guadagnare voti anziché allearsi tra gruppi dirigenti autoreferenziali.

E così via... Qui non ci sono argomenti, semplicemente si gioca con le parole sulla base della presupposizione implicita che tanto hanno tutti torto e sono tutti ugualmente colpevoli degli stessi errori (ma non troppo, solo un po' per uno così sono contenti tutti). Questo tipo di articoli e questo tipo di pensiero, che direi largamente prevalente in chi si occupa di politica e giornalismo politico in Italia, è una macina al collo di qualsiasi tentativo di fare realmente politica su questioni reali.
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Re: La fine di un solista

Messaggioda pianogrande il 25/11/2008, 23:08

matthelm ha scritto:In verità, pur concordando con talune vostre osservazioni, oggi ho letto la risposta di Veltroni a Galli della Loggia e rimango della mia opinione: la linea politica di Veltroni è chiara e giusta.
Forse riamane una sua inadeguatezza a portarla avanti.
Di certo nel PD c'è confusione anche nei detrattori di Veltroni che si dividono sui sostenitori di Di Pietro,populista,
demagogo di destra, e nei "si però...".

Aspetto ora le mosse per le elezioni europee e vedremo se la linea Veltroni sarà conseguente.


Credo che le elezioni europee siano l'unico motivo per cui Veltroni è ancora lì.
Ci auguriamo sempre il miracolo; ed allora Veltroni rimarrebbe lì ancora un po'.
I furbettoni, invece, dopo avergli fatto subire la batosta delle politiche, aspettano il colpo di grazia (scampandola ancora una volta) e poi verranno fuori a dire ci sono anch'io.
Se poi riemergeranno i soliti (Dalema e compagnia, tanto per intenderci) allora sarà la definitiva consacrazione di un PD che di nuovo non può dire niente di niente ....... di niente.
Che stanchezza!!
Fotti il sistema. Studia.
pianogrande
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Re: La fine di un solista

Messaggioda borghinolivorno il 25/11/2008, 23:25

pianogrande ha scritto:

Credo che le elezioni europee siano l'unico motivo per cui Veltroni è ancora lì.
Ci auguriamo sempre il miracolo; ed allora Veltroni rimarrebbe lì ancora un po'.
I furbettoni, invece, dopo avergli fatto subire la batosta delle politiche, aspettano il colpo di grazia (scampandola ancora una volta) e poi verranno fuori a dire ci sono anch'io.
Se poi riemergeranno i soliti (Dalema e compagnia, tanto per intenderci) allora sarà la definitiva consacrazione di un PD che di nuovo non può dire niente di niente ....... di niente.
Che stanchezza!!


Questa sera vedo su Repubblica che i capi del PD si sono ritrovati d'accordo che il Congresso si fa alla scadenza elettorale
da www.repubblica.it
Il coordinamento ha confermato il calendario dei lavori
All'inizio dell'anno si terrà la conferenza programmatica
Pd, congresso nell'autunno 2009
Appello di Veltroni all'unità
Il 19 dicembre la direzione del partito. Il segretario proporrà
"una piattaforma di forte innovazione", una sorta di "Lingotto Due"


Walter Veltroni
ROMA - Il Pd non anticipa il congresso. L'assise si terrà, come previsto, nell'autunno del 2009. A dirlo, al termine del coordinamento del partito che si è svolto oggi, è Piero Fassino. Niente anticipo dell'assiste, come chiedeva qualcuno. Semmai un appello di Veltroni a fare squadra. "Appello condiviso da tutti- dice Fassino- l'opinione prevalente è di confermare il calendario di lavori previsto e quindi prevedere l'assise congressuale nell'autunno del 2009 dopo i passaggi elettorali che si avvicinano e intanto preparare la conferenza programmatica prevista per gli inizi del 2009".

La decisione di non anticipare il congresso arriva dopo le ripetute tensioni che hanno scosso il Pd. Veltroniani contro dalemiani. Scelta della collocazione europea. Con il caso Villari a fare da detonatore. Ed è stato proprio dopo l'ormai famoso bigliettino di suggerimenti passato da Nicola Latorre a Italo Bocchino di An durante un dibattito televisivo, che le voci di coloro che chiedevano un congresso anticipato si sono fatte più forti. "Meglio un confronto pubblico che la guerriglia sotterranea" era il ragionamento. Che però prestava il fianco alle osservazioni di chi sosteneva che in piena crisi economica una scelta del genere non sarebbe stata capita dai cittadini e dagli elettori del pd.

Con queste premesse si è arrivati all'appuntamento di oggi e alla scelta di non anticipare il congresso. Sperando che l'appello all'unità lanciato da Veltroni sia raccolto da tutto il partito.

Intanto, sempre in seguito a quanto deciso oggi nell'ambito del coordinamento, il Pd ha convocato la propria direzione per il 19 dicembre, e in quella sede il segretario Walter Veltroni proporrà una piattaforma di "forte innovazione" sulla quale verificare l'esistenza o meno di un consenso, una sorta di "Lingotto 2".

A riferirlo, al termine del coordinamento, è Goffredo Bettini, spiegando che in quell'occasione si verificherà se c'è "la condivisione" del partito nei confronti della proposta del segretario. Se la condivisione dovesse mancare, allora "si vedranno soluzioni alternative", tra le quali non è esclusa la convocazione di un congresso anticipato. Ma, sottolinea Bettini, solo nel caso di mancata condivisione.


ora a parte le promesse per una ulteriore spinta all'innovazione (mentre intanto si subisce un vortichio regressivo sempre più pernicioso e asfissiante!)..il punto e' che Veltroni aveva dopo le elezioni interesse a fare il congresso e aveva dopo l'estate interesse a fare il congresso per andare alla conta con chi si sta opponendo alla linea del Lingotto (partito maggioritario e riformista) e per cercare di rivincere garantendo la sponda ad una nuova classe dirigente e interrompendo questa involuzione e l''asfissiante idea di essere sotto scacco nella nebbia dell'unanimismo di facciata.
se Si accoda agli altri coraggiosi a chiacchiere, continuerà ad essere chiacchierato, pagherà le sconfitte alle amministrative e alle europee, tutte le palpitazioni e struggimenti di quello che rimane del pd, e gli ulteriori suoi balbettamenti che saranno necessari per sopravvivere e salvare la faccia, e intanto il PD si riduce all'ombra di quello che voleva essere, ritrovandosi pollaio di candidati e candidate, mentre il popolo delle primarie perderà sempre più interesse ..........beato lui se è contento, ma ha rinviato una battaglia che doveva essere fatta subito, e l'unanimismo di facciata verrà pagato in termini di consenso elettorale (I CARE OF PD se dico bene).
a presto paolo borghi - livorno
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Re: La fine di un solista

Messaggioda pierodm il 26/11/2008, 10:28

Non conosco Sardo, ma l'articolo presenta diverse riflessioni interessanti, anche se un po' slegate: d'altra parte nel caos magmatico di questi ultimi due anni è difficile fare delle sintesi univoche.

Le reazioni che leggo nel forum, di fronte a qualunque tentativo di ragionamento, sono invece esagitate e malate di un certo "protagonismo militante", che si risolvono in definitiva nel definire questo o quel personaggio come uno scemo o un incapace nel senso più meschino.
Intendo dire che - se pure questi personaggi fossero sul serio tutti scemi e incapaci - una discussione politica non può ridursi a questo, a rimestare nel calderone dei pettegolezzi personalistici, a fischiare e insultare i giocatori in campo, come allo stadio da parte degli ultras.
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Re: La fine di un solista

Messaggioda pianogrande il 26/11/2008, 14:41

pierodm ha scritto:Non conosco Sardo, ma l'articolo presenta diverse riflessioni interessanti, anche se un po' slegate: d'altra parte nel caos magmatico di questi ultimi due anni è difficile fare delle sintesi univoche.

Le reazioni che leggo nel forum, di fronte a qualunque tentativo di ragionamento, sono invece esagitate e malate di un certo "protagonismo militante", che si risolvono in definitiva nel definire questo o quel personaggio come uno scemo o un incapace nel senso più meschino.
Intendo dire che - se pure questi personaggi fossero sul serio tutti scemi e incapaci - una discussione politica non può ridursi a questo, a rimestare nel calderone dei pettegolezzi personalistici, a fischiare e insultare i giocatori in campo, come allo stadio da parte degli ultras.


Un personaggio pubblico non può non essere soggetto ai giudizi del pubblico.
Un forum senza questo sale e pepe, rischia di addormentarsi.
E' lo stile del PD?
Il PD sta andando "in sonno"?
Fotti il sistema. Studia.
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Re: La fine di un solista

Messaggioda borghinolivorno il 26/11/2008, 22:06

pianogrande ha scritto:
Un forum senza questo sale e pepe, rischia di addormentarsi.
E' lo stile del PD?
Il PD sta andando "in sonno"?


pietà!, il PD potrà pure ritrovarsi in sonno, ma non addebitiamo ai Democratici tutti l'idea che dormire è la migliore soluzione alle angoscie che li dividono.
Come vedi il sale e il pepe non ci manca.
a presto. paolo borghi livorno
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