da pierodm il 25/11/2008, 3:09
Bene ha fatto chi ha messo nel forum l'articolo di Romano, del Riformista.Qualunque cosa serva a chiarire lo stato dell'arte - come nelle navi, il cartello "voi siete qui" - torna utile.
L'articolo non è niente di speciale, ma proprio questa è la sua maggiore, utile virtù: il dibattito interno non è niente di speciale, così come tutto il resto.
Per la prima volta, da decenni, non mi sento in grado di fare previsioni sul futuro di questo partito e della sinistra: l'ultima serie di (facili) profezie risalgono a cinque o sei anni fa, al tempo degli ultimi bagliori dell'Ulivo prodiano, anche se forse "bagliori" è una parola un po' esagerata. Anni nei quali si era capito al di là d'ogni dubbio che Prodi aveva finito di avere un significato, e il travaglio genetico del costituendo partito democratico era male incamminato.
Era possibile, ancora, scrutare i fondi di caffè per farsi un'idea, perché la bevanda servita conservava l'odore e il colore del caffè, e i suoi residuati somigliavano ai granellini di caffè.
Adesso francamente non so bene di che bevanda si tratta, e anzi non sono sicuro nemmeno che sia cosa da bere o invece da masticare, o da ingoiare con un sorso d'acqua come una pillola.
La sezione del forum in cui stiamo scrivendo reca come sottotitolo "...se non rinnega le proprie radici". Bello, ma ...
Quali radici? Le radici di chi o di che cosa?
Io sono, per principio, poco interessato alle vicissitudini leaderistiche, che - salvo rare eccezioni, che non hanno bisogno di essere conclamate, perché si conclamano da sé - sono come gli allenatori di calcio: è già tanto se non fanno danni.
In genere la miseria o la nobiltà delle lotte intestine è lo specchio del livello di ciò che è il partito alla propria base, sia come militanza, sia come elettorato.
Negli anni in cui ero iscritto e frequentavo il PDS - prima di trasferirmi a vivere in campagna - avevo visto che la metamorfosi del PCI nella modernità piddiessina aveva implicato anche a livello di sezione periferica uno sviluppo dell'ipocrisia e del personalismo, che mi ricordavano ciò che avevo visto in certi ambienti del socialismo craxiano alla fine degli anni '80.
La sinistra per così dire "storica" era sistematicamente divisa, dentro l'apparente unanimismo del centralismo democratico, ma c'erano valori di fondo condivisi, specialmente sul piano culturale - "cultura" che, prevengo il maligno, non riguardava i libri o il latinorum, ma una certa visone della vita, della società, della politica, della storia.
Il PDS, al tempo che dicevo, quello della "ricchezza delle diversità", aveva cooptato parte dei transfughi del PSDI, della DC, del PSI, del PRI, e magari anche di capi vaganti senza marchiature.
Cooptazione che ho vissuto in senso materiale, prima ancora di avere il tempo di recepirla con qualche eventuale pregiudizio.
Mi sono trovato ad ascoltare discorsi e valutazioni - in quello che avrebbe dovuto essere un partito comune - che non avevano alcuna possibilità di stare insieme, a prescindere che piacessero o no a me personalmente.
Ho "visto" - in senso letterale - una certa dirigenza della sinistra trasformarsi, ossia trasformare i propri discorsi, il proprio modo di ragionare, di mettere in fila le parole e i concetti, in modo da accontentare tutti, o almeno provarci.
Ho visto cambiare il paesaggio del mondo, osservato con gli occhi politici del partito: una visione che, forse senza volerlo, somigliava tremendamente a quella della vecchia DC, o meglio del vecchio pentapartito, giudicando dalle parole e dai concetti messi in campo.
La genesi del PD è questa, perché ho visto che era questa. Ne ho visto il germoglio, e ne vedo ora il compimento.
Da quei primi momenti - Franz e altri della vecchia ML se lo ricordano - ho cominciato a parlare di "identità", di contenuti che dovevano venire prima dei contenitori, di espedienti elettoralistici che non potevano sostituire un'anima che non c'era e un'unità posticcia, etc.
Io credo che un PD al trenta-trentatre per cento sarebbe una forza notevole, e una percentuale formidabile, se si trattasse di una forza unita, con una base che condividesse valori comuni, al di là dell'anti-berlusconismo (e magari si fosse uniti almeno su questo).
In fondo la sinistra del dopoguerra, sommando tutte le formazioni, non ha mai superato questa soglia quantitativa, e pure ha esercitato non solo un certo potere condizionante, ma anche quella che viene chiamata "egemonia culturale", che personalmente meglio chiamerei (eh, eh) "superiorità culturale", che non derivava affatto dalla propria nomenklatura, ma dalle attitudini della propria base.
Sarebbe una forza notevole, con grandi capacità di attrazione, se riuscisse a dare la sensazione di essere una "casa" con pochi ma chiari valori certi, ben definiti e facilmente comprensibili, e importanti. Valori concreti, legati cioè alla vita delle persone, e valori ideali, in parte anche "visionari" e perfino illusori, capaci cioè di rappresentarsi come obiettivi di tendenza, valori identitari, a prescindere dai tempi di un'eventuale realizzazione.
Ma, poiché le persone e anche le nazioni hanno una storia, dev'essere possibile trovare in questa "casa" anche un senso comune della propria storia, una visione condivisa.
In questo PD, così come in embrione nel vecchio Ulivo, non esiste niente, o assai poco e male, di tutto ciò.
Si vede bene anche nelle discussioni di questo forum, dove coesistono non tanto idee "diverse", ma idee e letture inconciliabili.
Se si punta sul leaderismo, sulla personalizzazione della politica e sul valore centrale della vittoria elettorale, non è obbligatorio che accada ogni genere di nefandezza, ma è molto probabile.