La Comunità per L'Ulivo, per tutto L'Ulivo dal 1995
FAIL (the browser should render some flash content, not this).

Modernità

Il futuro del PD si sviluppa se non nega le sue radici.

Modernità

Messaggioda pierodm il 02/10/2008, 9:40

" Ci accorgiamo così che in questo processo non c'era stata soltanto una scissione tra capitale e lavoro, già consumata e evidente a tutti. In realtà è saltata l'alleanza tradizionale tra l'economia di mercato e lo Stato sociale, come dice Ulrich Beck, un'alleanza che ha sorretto per decenni il diritto, le istituzioni, la politica, la legittimità stessa delle classi dirigenti che si alternavano al comando, in una parola la forma pratica e quotidiana della democrazia occidentale. Da qui discendeva l'autorità (estenuata e faticosa, e tuttavia resistente) del governo della democrazia, e da questa autorità nasceva la governance della modernità che conosciamo, probabilmente l'unica possibile. Questa legittimità democratica nel governo della complessità contemporanea risiedeva soprattutto nel tavolo di compensazione tra i premiati e gli esclusi, quello che Bauman chiama il "nesso" tra povertà e ricchezza ...
...Se questo è vero, c'è addirittura un contratto sociale da riscrivere, una sovranità da ristabilire, un'autorità democratica che garantisca i diritti anche nel mondo postnazionale, prendendo possesso persino delle bolle senza spazio né tempo della globalizzazione
"

Queste righe sono tratte dall'articolo di oggi del direttore di Repubblica, Ezio Mauro.
Ne ho voluto fare l'incipit di un nuovo argomento, nonostante che si saldasse benissimo con la discussione nata dall'intervento di Veltroni, per sottolineare quello che dicevo nel mio ultimo messaggio: la partita si gioca sulla crisi della democrazia e sulla capacità di capirne i termini.
Una crisi che è cosa diversa dai tradizionali e in qualche modo fisiologici limiti, tutti centrati su meccanismi elettorali e qualità della rappresentanza - limiti che persistono, ovviamente, ma che perdono irrimediabilmente la loro posizione dominante.
Per questo appare piuttosto sterile, e sconfortante, il dibattito sulla "modernità" che si snoda da un decennio in Italia, che per la gran parte dei commentatori sembra riguardare soprattutto l'obsolescenza della sinistra e del socialismo, e dei suoi partiti, laddove in realtà coinvolge sia alcuni caposaldi del liberalismo, sia le forme e i contenuti della democrazia rappresentativa, oltre che il ruolo del capitalismo.

Capisco che questi discorsi abbiano una fastidiosa aria di intellettualismo, ma bisogna che i molti prendano atto che parlare di "modernità" e di svolte epocali è troppo facile, riempiendosene la bocca, se non si ha poi la voglia di affrontare le dimensioni di questa modernità e la complessità dei fenomeni che l'accompagnano - limitandosi a usarne l'evocazione solo per regolare qualche livoroso conto in sospeso con il "vecchio".
pierodm
forumulivista
forumulivista
 
Messaggi: 1996
Iscritto il: 19/06/2008, 12:46

Re: Modernità

Messaggioda franz il 02/10/2008, 12:18

Dovremmo riflettere sul significato del termine "crisi".
Piu' volte abusato ed inteso quasi come "fine del mondo", varie passate crisi si sono risolte positivamente, con una rinascita imprevista.
Da qui l'idea che le crisi non siano una iattura ma una grande opportunità di rinnovamento e ripartenza, su basi nuove.
Questo riguarda tutti, dal capitalismo alla democrazia, dal socialismo al welfare.
Tutto va in crisi, ogni crisi puo' essere superata.
Raramente questo avviene sulla base delle considerazioni dei critici piu' accaniti della cosa in crisi.

Potremmo dire che le crisi sono salutari, come le malattie esantematiche dell'infanzia.

Il problema pero' non è il prendere atto di una crisi ma le letture (diverse) che su questa crisi danno i vari commentatori, dei vari orientamenti e di come la soluzione che scaturisce poi è diversa da ogni proposta analiticamente messa in campo dai vari esperti/analisti/critici.

Cionondimento non siamo esentati dal tentare una analisi.
Oggi se potessimo unire in un punto comune tutte le crisi (dei mercati e della democrazia, con sempre meno votanti) una costante sarebbe data dalla "crisi di sfiducia".

Questo vuol dire che i comportamenti osservati (dai cittadini, consumatori, risparmiatori, elettori ...) sono molto diversi da quelli attesi (e promessi) da chi "vende la soluzione" e secondo me è da qui che si deve partire per cercare di ragionarci assieme.

Ciao,
Franz
“Il segreto della FELICITÀ è la LIBERTÀ. E il segreto della Libertà è il CORAGGIO” (Tucidide, V secolo a.C. )
“Freedom must be armed better than tyranny” (Zelenskyy)
Avatar utente
franz
forumulivista
forumulivista
 
Messaggi: 22077
Iscritto il: 17/05/2008, 14:58

Re: Modernità

Messaggioda pierodm il 02/10/2008, 17:38

Tutto vero: la crisi non equivale a un crollo - non necessariamente, comunque.
Crisi è trasformazione, e come tale significa la scomparsa di alcune cose e l'emergere di altre.

Però non bisogna cadere in un eccesso di saggezza, vale a dire in una visione talmente lungimirante da far perdere significato al presente e all'immediato futuro, o da privilegiare una sorta di fatalismo perché "alla fine le cose troveranno da sole un nuovo equilibrio": cosa quest'ultima, per altro, vera, a patto che si tenga conto del fatto che nelle "cose" è compresa anche la nostra coscienza e le azioni che ne conseguono.

Dobbiamo tenere conto del fatto che in politica ragioniamo e compiamo azioni sulla misura di una o due generazioni, vale a dire che, anche se ci proiettiamo verso una dimensione futura, il grado di consapevolezza è misurabile sul presente e su ciò che è direttamente percepibile in un orizzonte realistico e limitato: da un lato questo è un limite, dall'altro è l'unico modo per esercitare la nostra volontà.

Scendendo sullo specifico, la crisi della democrazia è quasi un archetipo del senso di "trasformazione" che si diceva all'inizio, essendo la democrazia un modello tipicamente aperto che si sta trasformando da quando ha cominciato ad essere praticata.
Il problema politico nasce semplicemente dal fatto che, per un'inerzia quasi fatale, si vive ogni successivo stato della democrazia secondo i valori e i parametri istituzionali che erano validi in una fase precedente: un modo come un altro per dire che le trasformazioni della società sono sistematicamente più rapide della coscienza che la politica riesce ad averne, e delle azioni di adattamento che ne dovrebbero seguire.
Fino a quando questa discrasia si mantiene entro certi limiti, e se l'assetto sociale "obsoleto" ha un suo buon livello di efficienza, questo inseguimento della politica non ha aspetti drammatici.
Se, come nel caso dell'Italia, non siamo indietro solo di una fase, e forse nemmeno di due, ma siamo ancora alle prese con un intreccio di fasi antiche e spesso contraddittorie con le basi stesse della democrazia, la situazione è assai meno tranquilizzante: come dissi una volta, nel nostro paese dobbiamo fare ancora pace con l'Illuminismo, in un mondo occidentale che ha già superato sia la fase della sua piena accettazione, sia quella di una successiva critica.

Un gap culturale che corrisponde al ben noto e più evidente gap strutturale, e amministrativo.
Anche laddove s'individua un programma, o una ricetta, per fronteggiare un fenomeno negativo, o per favorire una modernizzazione, bisogna fare i conti con la realtà di un sistema farraginoso e irrazionale, ossia con uno strumento inservibile sul piano pratico: fenomeno perfettamente rappresentato dal detto che in Italia siamo "giacobini nel fare le leggi, e gesuiti nell'applicarle", cioè condannati all'enunciazione teorica e alla rinuncia ad effetti pratici all'altezza dele aspettative.

Una situazione che, nell'oscura saggezza del ventre profondo dell'animale sociale, trova una sua soluzione nella vocazione, diciamo pure nell'aspettativa dell'uomo della provvidenza, ossia in un governo forte assimilabile a quello autoritario, che sembra essere l'unico espediente per superare il circolo vizioso di una società e di una classe dirigente che si rincorrono e si legittimano reciprocamente in una gara al ribasso.

Quindi, la lungimiranza circa l'onda lunga della "crisi democratica", nel nostro paese deve servire non tanto a governare i fenomeni di frontiera, ma a indirizzare con un poco di più di consapevolezza il processo di modernizzazione di fenomeni di retrovia, che per noi sono di perfetta attualità.
pierodm
forumulivista
forumulivista
 
Messaggi: 1996
Iscritto il: 19/06/2008, 12:46

Re: Modernità

Messaggioda franz il 04/10/2008, 13:55

pierodm ha scritto:Il problema politico nasce semplicemente dal fatto che, per un'inerzia quasi fatale, si vive ogni successivo stato della democrazia secondo i valori e i parametri istituzionali che erano validi in una fase precedente: un modo come un altro per dire che le trasformazioni della società sono sistematicamente più rapide della coscienza che la politica riesce ad averne, e delle azioni di adattamento che ne dovrebbero seguire.

Chiarissimo e condivisibile. La politica democratica ha i suoi ritmi, lenti, dovuti al fatto che bisogna prendere atto del problema (tutti, non solo pochi illuminati) e della soluzione (idem) e quindi attuarla.
Quando ci si arriva .... poi si scopre che la realtà nel frattempo è già cambiata .... e si ricomincia.
Qui un buon metodo è cercare di anticipare i problemi e darsi delle cadenze come minimo decennali per riesaminare certi temi in modo periodico.

Un altro aspetto è che molti problemi oggi iniziano ad emergere ma saranno drammatici tra 30, 40, 100 anni.
Faccio due esempi classici del dibattito politico odierno: il welfare previdenziale e il clima (riscaldamento globale).
Il mondo della politica tende ad avere obiettivi a breve termine, legati alla legislatura ed alla rielezione (quindi 4 o 5 anni) e ben difficilmente affronta aspetti che prevedono sacrifici oggi in funzione di problemi che (forse) avremo tra 40 o 100 anni. I sacrifici chiesti oggi infatti possono trasformarsi in una bocciatura del politico da parte di un elettorato ottuso, di scarse vedute o semplicemente con interessi immediati in contrasto con le scelte future richieste e necessarie.
La democrazia infatti non è un metodo per predere decisioni giuste e sagge (lo diventa solo se giusto e saggio è tutto il popolo che decide). E' possibilissimo prendere decsioni sbagliate e democraticissime.

C'è da dire che tuttavia oggi la democrazia è solo una parte della politica e la politica è solo una parte della società.
Non c'è rischio di inerzia. La società cambia comunque. Indipendentemente dal volere dei singoli o dei gruppi, dalle azioni o inazioni. Questo puo' sconcertare chi vorrebbe imprimere direzioni ben precise alla società, sulla base di un disegno intelligente ed ideale. Ma è cosi'. Quando noi esaminiamo a ritroso la società e la sua evoluzione scopriamo che è cambiata indipendentemente dalla azioni fatte e che anzi, spesso le azioni fatte hanno prodotto mutamenti imprevisti ed anche avversi.

C'è tutta una scuola di pensiero che sulla base di queste considerazioni afferma che non è possibile alcuna forma di intervento organico per cambiare la società sulla base di un disegno preciso. Per farlo occorerebbe conoscere non solo lo stato attuale ma anche quello futuro e questo non è possibile (a causa dell'innovazione tecnologica, che rende imprevedibili le direzioni che la società prenderà). Questo non vuol dire che non se debba fare nulla ma che si dovrebbe "governare" la situazione con interventi minimi (" a spizzico"). In parte sono d'accordo, in parte no. Per il No considero che una innovazione come quella del welfare state, introdotta tra la fine del 1800 ed i primi del 1900 ha modificato profondamente la struttura della società e che quindi è possibile in teoria fare cose che modificano di molto la società. Va detto pero' che chi allora imposto' i primi programmi di welfare non sapeva assolutamente cosa sarebbe successo (tanto che chi oggi è uno strenue difensore del welfare, 100 anni fa ne era un acceso nemico).

Ciao,
Franz
“Il segreto della FELICITÀ è la LIBERTÀ. E il segreto della Libertà è il CORAGGIO” (Tucidide, V secolo a.C. )
“Freedom must be armed better than tyranny” (Zelenskyy)
Avatar utente
franz
forumulivista
forumulivista
 
Messaggi: 22077
Iscritto il: 17/05/2008, 14:58

La democrazia sa correggersi

Messaggioda franz il 04/10/2008, 17:22

Mi pare perfettamente in tema.
Ciao,
Franz


La democrazia sa correggersi

di Walter Veltroni

Caro direttore,

ho trovato particolarmente convincente l'analisi svolta da Carlo Bastasin sul Sole 24 Ore del 2 ottobre in merito alla crisi del sistema finanziario internazionale e ai suoi risvolti politici. Bastasin ci consegna un allarmante quesito: se la democrazia non rischi d'essere o di apparire un regime politico inadatto a governare processi critici e complessi come quelli di un'economia globale in crisi. Si tratta di un tema su cui io stesso mi interrogo con preoccupazione da qualche tempo e su cui mi sforzo di sollecitare una riflessione più ampia rispetto al dibattito contingente e alle polemiche quotidiane.
La crisi prodotta dalla deregolamentazione dei mercati finanziari è la questione più acuta che oggi abbiamo di fronte, ma non certamente l'unico aspetto della globalizzazione con cui dobbiamo fare i conti.

Basta pensare ai flussi migratori, alla pressione competitiva sul costo del lavoro, alla corsa al controllo sulle fonti energetiche di origine fossile. In un contesto simile appaiono più a loro agio Paesi di grandi dimensioni che stanno diventando anche grandi potenze economiche, e che tuttavia fanno non a caso parlare diversi osservatori di nuove forme di "capitalismo autoritario". L'efficacia con cui sembrano muoversi sulla scena globale, l'uso smaliziato del nazionalismo a fini di legittimazione interna, per giustificare la repressione del dissenso e gli atteggiamenti basati sulla forza verso l'esterno, rischiano di rinvigorire quei caratteri invece che stemperarli, e di promuovere imitazioni altrove, come suggerisce lo stesso Bastasin, soprattutto in Africa e in Asia.

Seppure in modi e misure completamente diversi, un rischio simile esiste anche nei Paesi a democrazia consolidata dell'Occidente. C'è il rischio che la soluzione alle ansie prodotte dalla globalizzazione venga trovata in un decisionismo fine a se stesso, in un'illusoria protezione dei mercati nazionali, in un ripiegamento identitario sul piano culturale. La politica è tentata di far leva sulle inquietudini e le paure, di torcere in senso xenofobo la riscoperta, di per sé positiva, delle identità territoriali. Di usare a fini politici la religione, per lo più identificata con i valori tradizionali. Di sostituire alla faticosa ricerca di soluzioni riformiste (per modernizzare la scuola, la pubblica amministrazione, la giustizia, per rimettere in moto l'economia) la scelta di parole d'ordine populiste comunicativamente efficaci.

La paura diffusa e il generalizzato bisogno di decisione generano così una pericolosa miscela di semplificazione mediatica dei problemi, la demonizzazione degli avversari, la marginalizzazione delle istituzioni di mediazione come il Parlamento e la politicizzazione partigiana delle autorità indipendenti, la noncuranza per la patologica concentrazione del potere e per i conflitti d'interesse. Sono pericoli in cui è caduta anche la democrazia americana, per intendersi, nell'ultimo decennio, soprattutto dopo l'11 settembre, e gli esiti li abbiamo oggi sotto gli occhi. E tuttavia la democrazia americana ha dalla sua la storia e la forza di un sofisticato sistema di controlli e contrappesi, di una società civile vivace, consapevole; di una grande pluralità di gruppi e mezzi d'informazione; di una radicata cultura orientata a difendere le libertà dei cittadini. Non a caso, dopo la crisi del '29 produsse Franklin Delano Roosevelt e il New Deal, inaugurando la più intensa e lunga fase non solo di crescita economica ma anche di estensione dei diritti e redistribuzione dei redditi.

Dunque condivido, anche in un'ottica meno congiunturale, la fiducia di Bastasin nella capacità di correggersi delle democrazie, tanto più che il Congresso americano ha trovato ieri davvero un largo accordo nel momento del bisogno. Un accordo possibile perché i parlamentari neoconservatori sono stati disposti a lasciare un po' di voti sull'altare di quella stessa rudimentale ideologia della totale deregulation e del "meno Stato a prescindere" che hanno alimentato per un ventennio e che è alla base dell'attuale crisi.

È con stupore, devo dire, che da quest'altra parte dell'Oceano si assiste alla disinvoltura con cui i profeti fino a ieri dell'iper-liberismo diventano ora iper-statalisti in nome della ricerca di un facile consenso. Ha perfettamente ragione Michele Salvati quando paventa (sul Corriere della Sera del 2 ottobre) il rischio che si alimenti nel nostro Paese un clima di "più Stato" altrettanto superficiale del clima di "più mercato" che dominava fino a un anno fa. Sarebbe una strada sbagliata e piena di conseguenze negative: la libertà di mercato è alla base di una società pluralista ed è parte integrante della forza di una democrazia. È l'insufficiente e cattiva regolazione dei mercati, il problema.

È a partire da qui che si sono moltiplicati i rischi d'instabilità finanziaria. Ed è qui che bisogna cambiare: non un generico "più Stato", ma un intervento pubblico che affermi regole contro discrezionalità, e proprio grazie a questa distinzione, e non più vicinanza che diventa intreccio, tra politica e interessi privati, chiamati invece a muoversi in un quadro chiaro e certo. Ad ogni modo, se per quanto riguarda gli Stati Uniti c'è da confidare, dopo il voto del 4 novembre, in un ulteriore e più incisivo cambiamento di stile e di rotta, lo stile e la rotta assunti del Governo italiano, purtroppo, non promettono invece niente di buono. Senza ripercorrere ancora le vicende di questi mesi, solo la cronaca degli ultimi giorni è esemplare di un atteggiamento iniziato subito dopo l'inizio della legislatura.

Mercoledì il presidente del Consiglio ha detto che la decretazione diventerà la modalità ordinaria per legiferare, dimenticando che la Costituzione su cui ha giurato consente al Governo di emanare decreti solo in casi di necessità e urgenza. Giovedì il ministro del Tesoro, invitato ad esporre alla Camera la visione del Governo sulla crisi dei mercati finanziari, ha illustrato burocraticamente la nota di aggiornamento al Dpef 2009-2013. Con una profonda mancanza di reale considerazione del ruolo del Parlamento, ha sostanzialmente riletto i dati già noti relativi alle previsioni per il prossimo quinquennio e ricordato l'agenda degli incontri internazionali a cui il Governo italiano parteciperà nei giorni a venire.

Si intende che non è il ritorno alla "centralità parlamentare" della prima Repubblica il modello a cui mi ispiro. So bene che la democrazia s'indebolisce e può morire anche per l'eccesso di mediazioni e l'incapacità di decidere. Le mie convinzioni a riguardo sono note. Tanto per essere chiari, anche in questa legislatura, il Partito democratico si batterà per una seria riforma del Parlamento e del processo legislativo, per superare le irrazionali duplicazioni del bicameralismo paritario, ridurre il numero dei parlamentari e rendere il loro lavoro più produttivo. Così come lavoreremo per salvaguardare i mercati tanto dall'assenza di regole quanto dall'ingerenza statale esercitata a fini politici (due tentazioni ricorrenti nell'attuale maggioranza).

Ma anche le democrazie che decidono, come sanno bene Tony Blair e Gordon Brown, leader di governo nel più maggioritario dei sistemi istituzionali europei, si reggono sul rispetto degli avversari e delle regole del gioco, sul bilanciamento dei poteri e la fastidiosa indipendenza dell'informazione. È per questo, soprattutto per questo, che sono in grado di correggersi.

http://www.ilsole24ore.com
“Il segreto della FELICITÀ è la LIBERTÀ. E il segreto della Libertà è il CORAGGIO” (Tucidide, V secolo a.C. )
“Freedom must be armed better than tyranny” (Zelenskyy)
Avatar utente
franz
forumulivista
forumulivista
 
Messaggi: 22077
Iscritto il: 17/05/2008, 14:58

Re: Modernità

Messaggioda pierodm il 04/10/2008, 23:33

Non è possibile cambiare la società secondo un disegno organico - cosa vera, che diventa tanto più evidentemente vera, se al termine "società" sostituiamo quello di "mondo".
E' un problema assai simile a quello che si pone di fronte ad un ecosistema: complicatissimo, per non dire impossibile, prevedere quali siano le conseguenze di un qualunque cambiamento, sia pure piccolo.
C'è una disparità enorme tra la logica che governa l'apparente caos naturale - equivalente alle forze della storia - e la meccanica limitatezza delle azioni individuali, o politiche: e pure i vari organismi che dano vita questo caos hanno la necessità di avere una loro logica interna e interiore, e in questa logica è ricompresa l'illusione (chiamiamola pretesa, o prospettiva) di dare un indirizzo al mondo e alle forze della storia.
In realtà, quello che avviene, se avviene, quando avviene, è di dare un indirizzo alla propria vita e alla propria sfera mentale: nell'ecosistema il gatto fa il gatto, il topo fa il topo, e per quanto sia limitata la loro vocazione, sarebbe assai peggio se il topo facesse il gatto e viceversa.
Fuori dalla metafora, desiderare e immaginare di poter cambiare il mondo è necessario non al mondo, ma alla nostra esistenza, e alla nostra sanità mentale.
pierodm
forumulivista
forumulivista
 
Messaggi: 1996
Iscritto il: 19/06/2008, 12:46


Torna a Ulivo e PD: tra radici e futuro

Chi c’è in linea

Visitano il forum: Nessuno e 8 ospiti