Pierluigi Bersani annuncia che con la fine della Festa di Torino finiscono anche le divagazioni e si passa alle cose serie.
Grande notizia, era tempo.
Non sappiamo quanto sia una cosa seria, ma uno dei primi punti da chiarire – il segretario potrebbe farlo già domenica a Torino – è la natura degli accordi che dovrebbero portare alla nascita del Nuovo Ulivo. L’impresa di costruire l’ampia Alleanza democratica per battere Berlusconi – il nuovo arco costituzionale – è sicuramente titanica. Ma anche la semplice riorganizzazione del centrosinistra presenta grossi problemi.
Dunque il segretario del Pd ha stretto un accordo con i capi di ciò che rimane della diaspora neocomunista. Non Nichi Vendola, attenzione, bensì i suoi nemici giurati Ferrero e Diliberto. Proprio loro, proprio i responsabili dei due anni di Vietnam del governo Prodi. Lasciati da soli nel 2008 dal Pd di Veltroni a vedersela con l’elettorato, l’elettorato li ha giudicati e lasciati fuori dal parlamento.
Ora il Pd li recupera. Non gli offre solo un’alleanza. Come fece con i radicali, offre loro posti nelle proprie liste (a Porcellum vigente, si intende), a patto che una volta tornati deputati i neocomunisti non avanzino pretese. Ferrero, riconoscente e felice, ha già fatto sapere che non chiederà nulla. Anzi, dal governo vuole rimanere fuori. «Appoggio esterno».
L’argomento (io l’ho ascoltato da Dario Franceschini) è che anche i voti della Federazione della sinistra sono indispensabili a battere la destra. È la stessa tesi per la quale Veltroni derogò dalla vocazione maggioritaria alleandosi con Di Pietro. Perse lo stesso, e regalò ai dipietristi ciò che da soli non avrebbero mai avuto: il quorum per il parlamento e far crescere un partito che, da subito, come prima e fin qui unica ragion d’essere ha avuto quella di insidiare il Pd.
Così il Pd resuscita i non-riformisti che potranno tornare a insidiarlo domani. Lo fa a dispetto di Vendola (che quell’area vorrebbe fagocitare, senza fare accordi, nella sua scalata alla leadership del centrosinistra) e forse per indebolirne le chances nelle primarie.
Ma il punto grave – sempre per carità nell’interesse della ditta – è il messaggio che un simile patto trasmette agli italiani che non votano Pd perché hanno vista delusa la promessa di uscire dall’enclave della sinistra tradizionale.
Il messaggio è: non votateci, noi stiamo bene con Diliberto.
Forse è un messaggio diretto anche a noi.
Stefano Menichini (Europa)