Da ilsecoloditalia.it :
Ecco perché Gianfranco fa così paura
Filippo Rossi
Ma se Gianfranco Fini è davvero così solo, ma se i finiani sono davvero "quattro gatti" come dicono, perché cresce il fuoco di fila dei giornali berlusconiani? Perché quegli editoriali di Augusto Minzolini? E perché, anche, il bavaglio agli approfondimenti televisivi? Domande che trovano risposta solo nel fatto che la premessa di un presidente della Camera isolato nel paese e nell'opinione pubblica non ha nessun fondamento concreto. Anzi. Il fuoco di fila dell'informazione targata "berluscones" deriva proprio dalla capacità della nuova offerta politica di intercettare trasversalmente consenso. Gli elettori di una eventuale Lista Fini, rivela un sondaggio di Crespi commissionato da Generazione Italia, provengono per il 55% dal Pdl, per il 22% dal mondo dell'astensione e per il 15% da sinistra.
Una trasversalità che parte dal mantenimento di gran parte dell'elettorato che già sceglieva An per arrivare ai moltissimi "berlusconiani delusi" che non hanno ormai una casa politica. Lo ha spiegato con esattezza Eugenio Scalfari parlando di «settori del centrodestra che hanno fin qui subito con disagio e frustrazione il dominio della "cricca" all'interno del Pdl». E ha ragione l'ex direttore di Repubblica quando svela: «Ce ne sono più di quanto non si creda. Il nuovo movimento di Futuro e libertà creatosi attorno a Fini potrebbe calamitare alcuni di quei settori risvegliandoli dall'ipnosi e portandoli a una piena consapevolezza dei propri doveri civici. Personalità come Pisanu potrebbero svolgere un compito importante di raccordo con altri settori cattolico-democratici». Tutto questo fa paura. E fa paura anche altro. Perché il non detto di questi mesi di ostracismo nei confronti di Fini e dei suoi è proprio questo: la grande capacità di un'offerta politica che da destra gioca a tutto campo e - per dirla anche con Massimo Giannini - mostra di «avere le mani libere». Una capacità che la porta a parlare a vastissimi settori della società italiana: a destra, a sinistra e a quegli ampi spazi di delusione che attraversano gran parte dell'elettorato. Una capacità dimostrata - è solo un esempio - anche dall'appello che lo scrittore Aldo Busi ha lanciato proprio ieri: «Gianfranco Fini deve schiacciare l'acceleratore fino in fondo della sua autonomia ritrovata o perde in un colpo solo quanto ha acquisito in credibilità negli ultimi due anni presso quanti non di destra sono pronti a votarlo, e da soli costituiscono ben di più del 4 per cento: se ora Fini non sfiducia Caliendo, sfiducia se stesso e lo si può considerare finito come individualità politica nuova "futuribile", istituzionalmente ed elettivamente affidabile. Valeva la pena di intraprendere un simile percorso a ostacoli, e tutti superati, per poi reintegrarsi - e scomparire - in una casella qualsiasi del giro dell'oca altrui?».
Al di là del merito, è per questo che quest'ultima svolta finiana fa paura. Non c'entra la tenuta del governo. E nemmeno la leadership. Quel che c'entra è uno spazio politico "strategico" che comincia a essere sempre più libero e che Gianfranco Fini sta gradualmente occupando nell'immaginario collettivo. E "un'altra politica" rispetto al sistema e alla cultura berlusconiani è lo strumento dialettico con cui parlare a tantissimi italiani che hanno perso ogni referente politico. Ed proprio questa la caratteristica di Fini e del suo gruppo che più dà fastidio, che più disturba i sogni delle corti che bivaccano nelle stanze del potere e che sperano nell'eterno status quo. Questa capacità di parlare agli italiani con il linguaggio del nuovo patriottismo laico e costituzionale rende il futuro poco prevedibile. Da qui l'insofferenza per ciò che non è afferrabile secondo quelle categorie consolidate che volevano la destra con la bava alla bocca e a vocazione minoritaria. Nulla di più. Lo sparigliamento finiano dei giochi, alla fine, è tutto qua: nella capacità di non accontentarsi di un ruolo prestabilito. Di creare attenzioni "altre" rispetto al previsto. Nel mondo del giornalismo, della cultura, del ceto medio creativo e riflessivo. È uno sparigliamento sociologico molto prima che ideologico. Perché, per la prima volta dopo decenni, esiste in Italia una destra "presentabile", che sta a suo agio quando vede un libro, che si riconosce nei valori condivisi di onestà e sobrietà. Che punta alla scrittura di un romanzo collettivo piuttosto che a una visione politica senza sogni e senza ideali; a una visione politica professionale e non aziendalista fondata su interessi di parte.
Filippo Rossi
03/08/2010