Questo "appello al voto" mi sembra come una specie di colino del the, nel quale si ammassano tutte le scorie, le foglioline sfruttate dell'infuso personale di ciascuno.
Al contrario di Prodi - della sua banale retorica contro i "distinguo" - trovo che questo ammassarsi sia l'eterno e vero problema della politica, poiché trasforma il momento del voto in uno sterminio delle idee, a favore di tanti piccoli plebisciti che ciascun partito utilizza per legittimare le proprie scelte - a patto che non portino ad un tracollo epocale.
Comunque. Io voterò Sinistra e Libertà, nel pieno rispetto di quel compromesso al ribasso di cui parla Pagheca.
Non condivido però l'idea che democrazia corrisponda al meno peggio: questo vale in una democrazia in crisi, malata, e la misura di questa malattia è data dalla quantità di "peggio" contenuta nella miscela.
Mi sembra per altro importante uscire dal luogo comune per il quale l'astensione debba essere vista sempre come una rinuncia, ossia in negativo: si tratta di una scelta, e di un giudizio che vale tanto quanto (forse di più) del sostegno dato al "meno peggio".
Il risultato non esaltante - che tale rimane rispetto a premesse e potenzialità, anche se sarà superiore al 30-33% - del PD, è stato e sarà dovuto alla pessima genesi del partito e all'altrettanto mediocre immagine che ne è derivata (inevitabilmente) nel seguito.
Chi vota PDL sa cosa vota, chi vota - o pensa di votare - PD no, non lo sa, non è sicuro, non capisce bene: è sicuro, fino ad un certo punto, di votare soltanto contro Papi Cucù, cosa che sarebbe buonissima, ma che si scontra con il fatto puro e semplice che non se ne può più di Papi Cucù, nemmeno come avversario - e quindi di votare per qualcosa che ha come centro di aggregazione il facciotto ridens di Papi Cucù.