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Foa e Putin

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Foa e Putin

Messaggioda franz il 30/07/2018, 8:23

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[Marcello Foa se ne va, forse] – Sì, per chi vive qui, in Svizzera, Marcello Foa se ne sta andando, salvo imprevisti, per tornare in Italia e passare ai vertici RAI. Raccontare ai miei venticinque lettori come stiamo vivendo questa partenza qui, val bene una seconda interruzione del silenzio che mi ero imposto per l’estate. Ci sono un po’ di cose che sui media italiani, a quanto vedo, non stanno arrivando.

Marcello Foa era amministratore delegato del Corriere del Ticino, il più importante quotidiano della Svizzera italiana. Ciò significa essere a capo della maggiore impresa editoriale di questa regione linguistica, a fianco della Radiotelevisione della Svizzera italiana. Il concetto di «Svizzera italiana» non comprende solo il Canton Ticino, ma anche tre valli di lingua italiana del vicino Cantone dei Grigioni e tutti coloro che in Svizzera si riconoscono nella lingua e nella cultura italiane, anche se vivono nei cantoni di lingua tedesca, francese o romancia: studenti e lavoratori fuori sede, emigrati dal Ticino o dall’Italia, persone nate nel resto della Svizzera da famiglie di lingua italiana. Sono tantissimi, com’è normale in un Paese sorto dall’unione di più culture. Questi cittadini sono spesso bi o trilingui, ma seguono anche i media svizzeri di lingua italiana, la cui influenza, pertanto, va ben oltre i confini cantonali.

Foa non era direttore del Corriere del Ticino, ma amministratore del gruppo editoriale che lo pubblica. Nonostante le posizioni siano consuetudinariamente ben distinte, soprattutto nei primi anni interveniva regolarmente anche come giornalista sul giornale stesso e talvolta come commentatore sugli schermi di Teleticino, la TV privata facente parte della stessa galassia da lui diretta. Qui in Svizzera, Foa è stato il deus ex machina di una profonda riorganizzazione del panorama mediatico cantonale. Ha anche dei meriti, in un contesto globale in cui i media di piccole dimensioni faticano a stare in piedi. La stranezza è che questa riorganizzazione sia avvenuta all’insegna di una crescente unificazione di linea politica espressa dalle testate che venivano riunite sotto un solo cappello. Un processo che a me ricorda ciò che accadde in Italia nei primi anni Novanta, quando la macchina politico-mediatica di Silvio Berlusconi ebbe bisogno di un solido apparato di comunicazione e cominciò a mangiarsi un giornale e un canale TV dopo l’altro, addomesticando i direttori o rimuovendo tout court le (poche) schiene dritte che si opponevano.

Vittima recente di questa riorganizzazione, qui, è Il Giornale del Popolo, il quotidiano cattolico del Canton Ticino. 92 anni di tradizione interrotti, letteralmente, dalla sera alla mattina. Certo, oggi è difficile mantenere in vita tre quotidiani, in Svizzera italiana e il colpo di grazia lo ha dato il fallimento della principale concessionaria di pubblicità locale. Sulla strada verso la morte di questo quotidiano, però, c’è stata anche la fine della collaborazione proprio con l’editoriale del Corriere del Ticino, dovuta a «divergenze di opinione» sul ruolo del quotidiano cattolico in seno al gruppo del Corriere, guidato da Foa. Il vescovo, responsabile della testata cattolica, non ha accettato le nuove condizioni. Nessuno ha mai saputo veramente cosa abbia chiesto il Corriere al Giornale del Popolo, come condizione per proseguire la collaborazione, e che il vescovo non ha potuto accettare. Il quotidiano cattolico ha chiuso, lasciando aperte molte domande.

La direzione redazionale vera e propria del Corriere del TIcino era affidata ad altri, ma durante la gestione Foa sono arrivate firme la cui comparsa non sembra avere una spiegazione giornalistica: tutte provenienti dall’Italia e, soprattutto, rigidamente allineate a posizioni politiche filorusse. Come se la redazione del Corriere non avesse propri collaboratori validi (ci sono, eccome), non vi era evento internazionale che coinvolgesse ideologicamente, politicamente o militarmente la Russia che non comportasse l’inevitabile manifestarsi, tra le colonne del Corriere, di commentatori italiani che sentivano il bisogno di farsi altoparlanti della visione del mondo di Mosca. Le letture dei fatti che sentivo la sera al TG della televisione russa, le rileggevo il mattino dopo sul Corriere del Ticino.

Da un articolo sul separatismo catalano di un giornalista italico che citava come vivente un politico spagnolo morto tre anni prima (ne ho fatta un’analisi sul mio blog, per chi ha voglia di cercarsela, nella rubrica Spagna) e scivolava sui fondamentali, pur di sostenere i separatisti, cari a Mosca; sino ad articoli in cui si riportavano colpi di Stato in Ucraina mai avvenuti (ma rispondenti alla distorsione russa di quegli eventi); arsenali e attacchi chimici siriani negati a dispetto di ogni evidenza. No, non si parla di legittime differenze di opinione su fatti controversi: si parla di diffusione di notizie falsificate, di «fatti alternativi» atti a orientare l’opinione pubblica in senso favorevole alla Russia e, ultimamente, a chiunque si dichiari contro i valori europei e occidentali, come l’entourage di Donald Trump e i nuovi astri della politica italiana.

Quando forze turche abbatterono un aereo militare Sukhoj russo, nel contesto del conflitto siriano, Foa stesso scrisse un fondo sul Corriere del Ticino, in cui riprese le tesi di Mosca sul fatto: proprio nell’incipit dell’articolo, però, non scrisse «Sukhoj russo,» ma «MIG sovietico» (era il 2015, l’Unione sovietica si è sciolta nel 1991). Persi la pazienza e scrissi al giornale: mi rispose lui stesso, attribuendo i due errori a una svista (vabbè…) e rassicurandomi che non erano dovuti a nient’altro. Cos’era quel «nient’altro» da cui sentiva il bisogno di confermare di non essere stato condizionato? Lasciai cadere la cosa, non risposi alla mail e mi tenni le mie considerazioni.

Lo scorso ottobre leggo sul Corriere del Ticino un articolo che annuncia un «Festival del cinema censurato:» tre giornate, a Lugano, dedicate alla proiezione di documentari sul conflitto tra Russia e Ucraina (ho ancora tutte le documentazioni e i biglietti da visita degli organizzatori). Non posso non andarci. Mi trovo di fronte una serie di filmati che riprendono fedelmente, manco a dirlo, le tesi russe: pesanti omissioni, rappresentazioni parziali, classico corredo di notizie errate coincidenti con la visione di Mosca. Organizzatrice, un’associazione di ucraini (ci sono anche gli ucraini filorussi); ingresso libero, nessuna indicazione su chi ha finanziato l’iniziativa. Presenti alla prima giornata: sette spettatori, di lì in poi calando. L’organizzazione pare un po’ improvvisata, non di rado gli organizzatori litigano rumorosamente fra loro sul da farsi. Peccato, perché la manifestazione qualche spunto utile lo offriva. Un pomeriggio viene invitata a parlare una giovane, venuta da Milano, che aveva passato un anno e mezzo nel Donbass combattendo a fianco dei separatisti filorussi (spettatori di quella giornata: due, uno dei quali l’accompagnatore della medesima combattente, l’altro ero io).

Alla fine, gli organizzatori non si preoccupano più nemmeno di fare la traduzione in italiano, tanto parliamo tutti russo. Com’è possibile che una tale iniziativa abbia avuto sul Corriere del Ticino una risonanza del tutto superiore alla sua sostanza e persino, a quanto mi dice una degli organizzatori, un’intervista su Teleticino? Chiedo all’organizzatrice stessa, una cittadina dell’Est che vive tra Germania e Italia. «E’ grazie al signor Foa!» mi risponde, con la stessa naturalezza con la quale avrebbe citato il nome di sua madre. Qualche ora dopo riprendo da parte la signora e le chiedo più dettagli sul punto. Lei fa un balzo e smentisce tutto, assolutamente Foa non c’entra nulla.

Rispetto la smentita della signora, accetto che si sia sbagliata. Mi restano alcune domande, però: com’è possibile che una persona straniera arrivi in Ticino e citi con tanta sicurezza un cognome che in Italia fino a quattro giorni fa non era certo conosciuto al largo pubblico; era più noto qui, ma a chi vive qui e segue le vicende dei media? Perché, poche ore dopo, la mia interlocutrice sente il bisogno di smentire così recisamente se stessa? Qualunque altra associazione che arrivi a Lugano dall’estero, qui sconosciuta, per organizzare un «festival cinematografico» con mezzi casalinghi, senza avere patrocini comunali o cantonali, senza indicare finanziatori privati, otterrebbe gli stessi spazi sui media? Le domande restano aperte.

Il primo grave colpo alla credibilità del Corriere del Ticino sotto la gestione Foa è arrivato nel giugno dello scorso anno. Il giornale pubblica come grande scoop la notizia secondo cui i Servizi segreti tedeschi avrebbero fatto opera di disinformazione della popolazione sui reali pericoli del terrorismo. Il quotidiano riproduce documenti che si svelano rapidamente falsi (bastava controllare il logo dell’istituzione interessata) e tutta la notizia si scopre essere una clamorosa bufala. Una notizia falsa sparata a tutta pagina sui servizi segreti di un Paese confinante, su una testata nazionale! La notizia proveniva ufficialmente dalla Germania, ma puzzava di vodka lontano un miglio: erano i mesi caldi della campagna elettorale tedesca, bastava accendere la TV russa per sentire continue finte notizie denigratorie del governo della signora Merkel e dell’intero arco costituzionale tedesco. Un contesto in cui la falsa notizia sui servizi segreti si inseriva a meraviglia. Forse è vero che era arrivata dalla Germania: è possibile che provenisse dagli ambienti vicini alla AfD, il partito di estrema destra che in Germania è latore delle posizioni russe, non diversamente dalla Lega italiana o dal Front National francese.

Il Corriere del Ticino, un quotidiano con 127 anni di storia, è costretto a un’umiliante smentita. L’articolo falso era firmato con uno pseudonimo, non si sa chi ci fosse dietro. Non è dato sapere se nel fatto vi fosse un personale coinvolgimento di Foa. Com’è, come non è, da quel momento la presenza della sua firma sul Corriere si è largamente diradata, taluni dicono che sia del tutto scomparsa.

Poi, nelle settimane scorse, la vicenda «L’Espresso.» Il settimanale italiano parla dell’incontro fra Marcello Foa, Matteo Salvini e il pubblicista statunitense di estrema destra Steve Bannon, a Milano, pochi giorni dopo le recenti elezioni. Aggiunge una serie di considerazioni sui rapporti che presume esistere tra Foa, la Russia e le destre sovraniste. Foa smentisce, minaccia querele. Qui in Ticino nasce un caso: fatto più unico che raro, la famiglia proprietaria del Corriere del Ticino e il Consiglio di fondazione (l’organo esecutivo della fondazione che finanzia l’editoriale) escono allo scoperto per difendere l’indipendenza del giornale. Per la vellutata vita pubblica svizzera, è clamoroso. La figura di Foa non viene messa direttamente in discussione. In Svizzera non si fanno processi mediatici, le forme si rispettano sempre. In un Paese come questo, però, una persona a capo di un’impresa editoriale di tale importanza che dia solo il sospetto di avere vicinanze con interessi o progetti politici stranieri, non tranquillizza.

Dal mio personale punto di vista, per i fatti a cui ho assistito, non credo che Marcello Foa sarebbe rimasto ancora a lungo alla guida del gruppo Corriere del Ticino. Ciò per essersi infilato in quelle situazioni in cui può essere difficile dimostrare delle colpe, soggettive o oggettive, ma nelle quali, a torto o a ragione, sorgono ragioni di opportunità che rendono impossibile all’uomo pubblico tenere la posizione. Una forma di controllo sociale che in Italia è andata perduta, ma qui agisce ancora. Per come ho visto maturare gli eventi, mi pare che a Foa servisse rapidamente un modo per andar via di qua senza lasciare la spiacevole percezione di essere stato allontanato, meglio ancora dando l’impressione di venir promosso.

Ieri, prima ancora che si avesse la certezza (che ancora non c’è) della sua effettiva nomina, a poche ore dalla sua candidatura alla RAI, sul Corriere del Ticino è già comparso il suo saluto ai lettori e il congedo firmato dal Consiglio di fondazione: in sette anni di lavoro lascia anche risultati che gli vanno riconosciuti. Resta da stabilire cosa accadrà, se la Commissione di vigilanza RAI non ratificherà la sua nomina. Può succedere ancora di tutto, ma, almeno a quanto sembra da qui, a oggi la questione Foa sembra ormai definitivamente esportata in Italia, qualunque sarà l’esito. Aiutatevi a casa vostra. Noi… hic manebimus optime.

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