Un lungo articolo da cui non ricavo molto.
Ho lavorato quindici anni in una azienda austriaca (in una fabbrica in Italia) e a quel tempo ero nel sindacato e ho conosciuto vari sindacalisti austriaci.
l'articolo mette anche loro nel "modella tedesco" ma non mi piaceva affatto l'organizzazione austriaca (o almeno di quella azienda).
La casa madre era l'equivalente della nostra ENI; fortemente burocratizzata con capi che calavano dall'alto in territori sconosciuti; li avevo ribattezzati
funzionari dell'impero e che si meravigliavano delle garanzie che aveva il nostro personale.
Dal punto di vista sindacale, però, c'era una cosa che mi piaceva moltissimo e che andrebbe benissimo anche da noi e cioè l'obbligatorietà di iscrizione a un sindacato.
Questo elimina ogni discriminazione e ogni ritorsione nei confronti del singolo lavoratore visto che tutti sono iscritti.
Con un sindacato debole come quello italiano; debole per gli errori fatti ma anche perché tra i suoi tesserati ha solo i garantiti perché i precari non si iscrivono per paura di ritrovarsi a spasso, quale partecipazione si può costruire?
Con quale sindacato?
Bisognerebbe reinventarlo da capo il sindacato.
Ci vuole una maturità che non c'è e che può essere frutto di una storia diversa.
Quindi niente ricette miracolose e niente confusioni tra causa e effetto.
A quei tempi c'era stato anche il periodo della "concertazione" che poteva essere un approccio di quel genere ma è naufragata davanti alla sempre più forte divisione dei sindacati principali e la continua nascita di sindacatini a livello poco più che familiare.
Insomma e come di frequente, non ci si può rifiutare di prendere in mano tutta la complessità del problema.