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I 200 anni dalla nascita di Marx

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I 200 anni dalla nascita di Marx

Messaggioda mariok il 05/05/2018, 9:48

Spirito critico
di Antonio Carioti

Karl Marx, nato il 5 maggio 1818, non avrebbe certo gradito l'elogio che, per questo bicentenario, gli ha tributato il presidente cinese Xi Jinping, definendolo «il più grande pensatore dei tempi moderni». Spirito critico per eccellenza, il filosofo tedesco sarebbe inorridito nel vedere le sue teorie strumentalizzate come ideologia di Stato da un regime dispotico e incline allo sfruttamento dei lavoratori.
D'altronde ciò non avviene a caso: l'aspetto utopistico del pensiero di Marx (nella foto una caricatura) si presta, come tutte le fedi, all'irrigidimento in culto ufficiale. E l'abolizione della proprietà privata ha prodotto effetti opposti a quelli da lui sperati.
In Occidente invece l'abbandono del marxismo da parte di quasi tutte le forze politiche di sinistra permette di trattare l'autore del «Capitale» come un importante classico: è in corso una riedizione delle sue opere condotta su basi critico-scientifiche e la crisi finanziaria globale induce a ristudiare le sue analisi sull'instabilità del capitalismo. Sono questi gli omaggi che forse Marx, nonostante il suo caratteraccio insofferente, avrebbe apprezzato.
https://www.corriere.it/cultura/18_magg ... 5c11.shtml
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Re: I 200 anni dalla nascita di Marx

Messaggioda franz il 07/05/2018, 7:21

Un amico su FB


Oggi parliamo di lui, il fantasma che si è aggirato per un secolo e mezzo per l'europa e per il mondo, squassandolo ovunque.
Sto parlando di Karl Marx, il filosofo, sociologo ed economista comunista nato a Treviri esattamente due secoli fa.
Siamo dunque al bicentenario dalla sua nascita.
E dopo un arco di tempo così ampio possiamo trarre qualche conclusione sulla sua vicenda intellettuale.
Ovviamente la biografia poco ci interessa.
Quello che conta sono le idee.
Quindi mettetevi comodi che inizia un lungo discorso.

Come abbiamo accennato Marx è stato un filosofo, un sociologo e un economista.
E proprio sull'economista ci concentreremo.
Perchè?
Perchè la sua principale opera, “il capitale”, è un libro di critica economica e perchè la sua teoria, anche nella parte sociologica, è essenzialmente una teoria economica.

Tra le migliaia di pagine della sua opera possiamo trovare almeno tre grandi punti cardinali che orientano l'intera critica economica:
1) il concetto di valore-lavoro
2) la legge sulla caduta tendenziale del saggio di profitto
3) la progressiva concentrazione monopolistica

Partiamo dal primo punto, ovvero il concetto di valore-lavoro.
Questa visione nasce in realtà da Ricardo, il quale l'aveva rielaborata a sua volta da Smith, e vede il valore di un bene come direttamente proporzionale alla quantità di lavoro in esso contenuto.
Marx è chiaro su questo:” Come misurare la grandezza del suo valore? Per mezzo della quantità della sostanza che crea valore, cioè del lavoro, che è contenuta in esso”, dice subito all'inizio del "capitale".
Va da se che se il valore di un qualsiasi bene è dovuto alla quantità di lavoro in esso contenuta, l'eventuale guadagno che un imprenditore capitalista ottenga dallo scambio di questo valore-lavoro cristallizzato nel prodotto, sarà semplicemente una appropriazione indebita di una parte del valore-lavoro che spetta invece a chi ha fornito quel valore, ovvero il lavoratore salariato.
Da qui si evince come nel marxismo non solo il lavoratore sia sfruttato essendo espropriato di parte del suo lavoro, ma come il profitto capitalista sia in realtà, anche se non in via esclusiva, quella parte di plusvalore che spetta al suo legittimo proprietario, ovvero il lavoratore.

Ora, fin qui abbiamo usato il termine generico di valore.
Ma Marx distingue in valore d'uso e valore di scambio.
Il valore d'uso è quello derivante dall'utilità di un bene.
Il valore di scambio è quello che si forma nei rapporti di scambio con gli altri beni.
Per Marx, così come gli altri economisti classici, i due valori sono diversi e ben separati.
E soprattutto, il valore d'uso è una quantità data.
Ma le cose stanno così?
No.
Il valore d'uso cambia.
E il come lo spiegano i marginalisti a partire dal 1870.
Più aumenta la quantità del bene consumato, più il suo valore d'uso scende.
Quindi non solo il valore d'uso cambia, ma può diventare anche molto diverso dal valore dato dalla quantità di lavoro in esso contenuto.
Senza poi considerare che ogni singolo prodotto ha anche altre componenti nella sua produzione oltre il semplice fattore lavoro.
A livello teorico quindi non esiste giustificazione alcuna per parlare di valore-lavoro.

Cosa ci dicono gli esperimenti pratici e i dati empirici?
Niente di più e niente di meno di quanto previsto dal marginalismo.
Tanto è vero che non solo tutti e sottolineo tutti, i paesi che hanno provato ad usare il concetto di valore-lavoro per formare i prezzi dei beni, hanno avuto problemi insormontabili per la loro determinazione, portando a periodici riallineamenti verso quelli stabiliti nei mercati capitalisti.
Ma come non bastasse, l'unico grande e serio tentativo concepito dagli economisti marxisti per risolvere il problema dei prezzi dato dal concetto di valore-lavoro, sfociato nelle opere dell'economista sovietico Kantorovich, vede la riformulazione del sistema marxista in senso …....marginalista.
Ma guarda un po'.

Il secondo concetto, ovvero la legge sulla caduta tendenziale del saggio di profitto, nasce dal concetto di rendimento decrescente, anch'esso mutuato da Ricardo.
Cosa dice tale concetto?
Semplicemente che all'aumentare della quantità utilizzata di un bene produttivo, l'output cresce ad un tasso inferiore a quello dell'apporto del bene.
Se consideriamo il bene come capitale, la legge di Marx ci dice che all'aumentare del capitale immesso in una azienda, il tasso di crescita del prodotto sarà via via minore, determinando così un saggio di rendimento del capitale sempre minore e tendente a zero.
Nella visione marxista, questa dinamica evolve nel terzo punto, ovvero la progressiva concentrazione monopolistica.
La dinamica è la seguente: se il saggio di profitto cala, le aziende risponderanno in due modi.
Da un lato aumentando il tasso di sfruttamento dei lavoratori in modo da aumentare l'appropriazione di plus-valore.
Dall'altro concentrando le imprese in grandi conglomerati per diminuire la concorrenza, e questo perchè la concorrenza riduce i profitti.
Il processo sfocerà secondo Marx infine in una società dove ci saranno pochissime mega-imprese che controlleranno l'intera economia, e la stragrande maggioranza della popolazione ipersfruttata dai pochi capitalisti.
A questo punto la moltitudine ipersfruttata potrà fare una rivoluzione nella quale banalmente si sostituiranno i capitalisti con i lavoratori nella proprietà delle mega-imprese, evolvendo così verso un sistema economico socialista (non comunista), che dovrebbe essere, ma qui Marx non è chiaro, il primo passo verso una successiva società comunista.

Problema: Marx non ha letteralmente capito le forze che cambiano e in quale modo la legge sui rendimenti decrescenti, e questo non ha potuto farlo perchè l'eventuale soluzione va in contrasto con il primo assunto della sua teoria, ovvero il concetto di valore-lavoro e quindi plus-valore.
Se infatti il profitto e quindi plus-valore è di fatto lavoro cristallizzato, un aumento del saggio di profitto deve derivare da un aumento dello sfruttamento dei lavoratori.
Quindi tecnicamente o più lavoratori impiegati nella produzione o più ore di lavoro utilizzate.
Ma qui interviene la tecnologia.
Tecnologia che non solo aumenta la produzione impiegando lo stesso livello di capitale variabile ( i lavoratori), ma anzi e spesso lo fa, aumenta la produzione impiegando meno capitale variabile (di nuovo i lavoratori).
Questo comporta che grazie all'innovazione tecnologica il saggio di profitto può rimanere costante o addirittura aumentare senza intensificare lo sfruttamento dei lavoratori.
Anzi, se l'innovazione è particolarmente rapida, si può non solo tenere costante il saggio di profitto, ma anche aumentare i salari allo stesso livello del tasso di innovazione tecnologica determinando così un aumento reale del livello dei salari.

Cosa ci dice l'esperienza empirica?
Che le cose stanno esattamente così.
Come mostrano in modo chiarissimo tra gli altri le ricerche dell'economista francese Piketty, il saggio di profitto medio è costante da quasi 1000 anni, ripeto 1000 anni, ad un livello oscillante tra il 4 e il 5% medio annuo reale.
E pur con variazioni cicliche, i salari reali sono cresciuti verso l'alto al ritmo di crescita della produttività (in grossa parte frutto della tecnologia citata sopra).
Poco importa se le disuguaglianze sono aumentate o meno nel mentre, cosa peraltro non vera visto che al massimo sono rimaste costanti nei secoli, come mostrano di nuovo le ricerche di Piketty.
Quello che conta è che il salario reale è costantemente salito secondo la crescita della produttività, movimento questo opposto alla teorizzazione marxiana.

Ma c'è di più.
La tecnologia non sono solo nuovi mezzi e impianti di produzione.
Sono anche nuovi prodotti.
E nuovi prodotti sono nuove imprese.
Se quindi esiste un minimo di innovazione tecnologica, non solo il saggio di profitto non scenderà, ma nasceranno anche sempre nuove imprese impedendo lo scivolamento del sistema verso una concentrazione monopolista.
Anche qui, i dati empirici ci dicono proprio questo.
Come ricorda in altro contesto l'economista Jeremy Siegel, le 400 imprese che nel 1982 erano le più grandi d'america, a distanza di 35 anni sono cambiate per circa i 3/4 .
Ovvero la lista delle più grandi 400 multinazionali americane, in soli 35 anni è cambiata per oltre 300 di esse.
Alcune imprese sono morte, altre sono rimaste della stessa dimensione mentre il resto del mercato evolveva espandendosi, altre sono ancora presenti, ma lungi da dominare il mercato in senso monopolista, devono invece faticare in una continua lotta concorrenziale con nuove imprese, nate ripetutamente, più giovani e produttrici di nuovi beni e nuova tecnologia.

Ora, cosa rimane di questo lungo discorso?
Certamente una grande costruzione teorica che ha influenzato il mondo nel bene e nel male.
Ma una grande costruzione che dal punto di vista teorico vede l'erroneità dei suoi assunti fondamentali.
Erroneità trovata prima dagli economisti marginalisti, ma tutto sommato anche classici, visto che ad esempio bastava Marx leggesse meglio Ricardo per quanto riguarda la favola del saggio di profitto decrescente.
Ma erroneità certificata poi anche da ormai più di due secoli di storia del capitalismo e un secolo di storia del comunismo.
Storia che ci dice che:
1) il saggio di profitto è rimasto quasi perfettamente costante
2) i salari reali dei lavoratori sono aumentati
3) il concetto di valore-lavoro li dove applicato non ha mai funzionato
4) non solo il sistema non è diventato più monopolista, ma anzi continua a creare nuove imprese e a tenere viva la concorrenza

In sostanza i dati empirici ci dicono che almeno negli ultimi 250 anni, in realtà 1000 se estendiamo la vista fino ai primi dati economici più o meno certi che abbiamo, i sistemi economici sia capitalisti che alternativi ad esso, hanno funzionato sia nel bene e sia nel male in modo opposto a quanto teorizzato da Marx.
In una qualsiasi disciplina anche solo vagamente scientifica, il lavoro intellettuale di Marx sarebbe da un lato rigettato in toto con aperta disapprovazione di chi oggi lo difendesse, dall'altro sarebbe visto come una curiosità storica che ha causato solo gravi lutti e una enorme perdita di tempo per l'umanità.

Ma la vulgata, io direi più che altro la “chiesa”, cerca di scalare adesso su un'altra visione, ovvero rottamato il Marx economista si cerca di far sopravvivere il Marx sociologo.
Ma anche qui c'è un grosso problema: il Marx sociologo è figlio diretto del Marx economista.
Prendiamo un singolo esempio, ovvero il concetto di classe sociale.
Per Marx questa non è una semplice divisione della società.
No, è una divisione della società centrata su un rapporto economico.
Da un lato abbiamo i detentori dei mezzi di produzione che si appropriano del plusvalore.
Dall'altro abbiamo chi non detiene i mezzi di produzione e viene depredato del suo plusvalore da chi detiene questi maledetti mezzi di produzione.
Il concetto sociologico di classe quindi, in Marx, è legato a filo doppio alla sua teoria economica, nella fattispecie alla teoria del valore-lavoro e a chi si appropria legalmente del plus-valore tramite la proprietà dei mezzi di produzione.
Ma se la teoria del valore-lavoro viene meno, scompare anche l'appropriazione indebita del plusvalore da parte dei detentori dei mezzi di produzione, e quindi viene meno anche la distinzione netta tra chi possiede i mezzi di produzione e chi no, facendo diventare non necessariamente i “capitalisti” una classe sociale diversa dai salariati tout court.
E non a caso è dovuto intervenire successivamente il povero Max Weber a far notare che solo nei sogni dei marxisti i rapporti sociali funzionano in modo così netto come da loro ipotizzato.

Avviamoci verso la fine e cerchiamo allora di rispondere alla grande domanda che aleggia realmente come un fantasma nella società odierna: per quale accidenti di motivo stiamo non tanto celebrando, cosa in realtà legittima, ma celebrando come attuale, una costruzione teorica che ha la scientificità pari alla teoria geocentrica di Tolomeo?

Io credo che la risposta possa venirci da quello che è stato il più grande economista del '900, ovvero Joseph Schumpeter.
Come Marx, Schumpeter vedeva il capitalismo in senso dinamico, ovvero come un sovvertitore dell'ordine costituito.
Ma al contrario di Marx, che vedeva questo sovvertimento dal punto di vista della divisione in classi, Schumpeter più correttamente vede il sovvertimento in quel particolare processo che falsifica il grosso della teoria stessa marxiana, ovvero l'innovazione tecnologica.
Come detto sopra, l'innovazione tecnologica crea nuovi metodi di produzione e crea nuovi beni, mantenendo elevato il saggio di profitto e impedendo lo scivolamento verso una società monopolista.
Questo però vuol anche dire che i vecchi metodi di produzione e i vecchi beni diventano obsoleti e vanno semplicemente cancellati.
Da qui il noto concetto di distruzione creatrice.
Ed il capitalismo funziona esattamente così.
Ma la cancellazione di metodi produttivi e beni crea veri e propri sconfitti della società.
Sconfitti che non saranno certamente ben disposti ne verso i nuovi metodi produttivi, ne verso i nuovi beni, ne infine verso il capitalismo.

In Schumpeter questa dinamica avrebbe portato alla fine alla sostituzione del capitalismo puro con una società mista socialista-capitalista, nella quale il socialismo sarebbe stato essenzialmente lo statalismo.
Più modestamente, nella visione qui proposta, la dinamica Schumpeteriana possiamo considerarla come la fonte di alimentazione costante della fiamma anticapitalista che tiene viva la memoria di Marx.
Questo spiega anche perchè l'occidente della grande crisi e delle nuove tecnologie informatiche, e nella fattispecie l'Italia dell'incapacità di adattarsi al nuovo mondo globalizzato, vedano un aumento dell'interesse per Marx e le sue idee.
Lo scontento genera sempre mostri, o al limite la riesumazione di quelli vecchi.

In conclusione, Marx è sicuramente da celebrare, consapevoli però che ha sbagliato quasi tutte le sue analisi, anche sociologiche, e che se vogliamo capire in modo più profondo la realtà che ci circonda partendo comunque da ipotesi di crollo del capitalismo, è sicuramente meglio se leggiamo il buon vecchio Schumpeter.
Buona giornata a tutti.

Massimo Fontana
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Re: I 200 anni dalla nascita di Marx

Messaggioda Robyn il 07/05/2018, 8:36

L'utile c'è proprio perche è l'imprenditore che cerca il lavoro e lo dà al lavoratore.L'utile ,la percentuale che viene sottratta alla componente lavoro è considerata una contropartita che il datore di lavoro riceve per avere cercato il lavoro.La cosa importante è che l'utile non sia prelevato in percentuali tali da far rimanere al lavoratore poco o niente cosa che non permetterebbe al lavoratore un'esistenza libera
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Re: I 200 anni dalla nascita di Marx

Messaggioda pianogrande il 07/05/2018, 14:28

Marx è da "celebrare" innanzitutto per aver messo in evidenza il problema sia economico che sociale che politico.

Del complesso delle sue teorie che solo un ristrettissimo gruppo (a cui assolutamente non appartengo) conosce abbastanza a fondo, si può anche fare a meno di discutere visto che l'immensità del materiale porta abbastanza spesso a dare ragione non a chi ce l'ha ma a chi le conosce meglio.

Umilmente mi fermo al primo concetto che ho imparato da questo signore e che è il concetto di alienazione che cerco di riassumere assolutamente con parole mie e forse allargo anche un po' perché alla fine dico quello che ci ho ricavato io.
La parcellizzazione del lavoro che lo fa diventare elementare, ripetitivo e quindi con un facilissimo avvicendamento degli addetti, crea una classe lavoratrice senza nessun potere contrattuale e che non si rende neanche conto di quale sia il prodotto finito di quello che sta facendo.

Quindi una classe assolutamente esclusa dal benessere e dalle decisioni di una società alla quale praticamente non appartiene della quale è estraneo (alienato) sotto tantissimi aspetti.

Questa tecnica è sopravvissuta sopratutto nell'ambito militare ma caratterizza ogni perseguimento del potere assoluto e cioè il continuo tentativo di creare un popolo di automi.

Insomma la sua filosofia (non ci dimentichiamo chi fosse Karl Marx) si è diffusa abbastanza a macchia di leopardo ed è stata utilizzata sia per sterminare decine di milioni di persone che per cercare di tirarne fuori altre decine o centinaia di milioni da una situazione assolutamente ingiusta e invivibile.

Questo ha fatto anche il gioco degli anticomunisti che non avevano altro da fare che paragonare qualsiasi organizzazione che cercasse di fare l'interesse dei lavoratori a Stalin o a Pol Pot per avere subito una giustificazione a qualsiasi malefatta; a qualsiasi violenta repressione.
Fotti il sistema. Studia.
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Re: I 200 anni dalla nascita di Marx

Messaggioda mariok il 07/05/2018, 14:56

Quella di Massimo Fontana, mi sembra una buona critica ma alquanto datata.

Innanzitutto, non mi pare che vi sia "un aumento dell'interesse per Marx e le sue idee" tanto da paventare la generazione di "nuovi mostri o al limite la riesumazione di quelli vecchi".

In secondo luogo il richiamo, pur interessante a Schumpeter, mi sembra non tenga conto di quasi un secolo di storia più recente del capitalismo e dei suoi profondi cambiamenti che non potevano essere noti all'economista austriaco vissuto nella prima metà del secolo scorso (né ovviamente tanto meno a Marx).

Per quanto riguarda la concentrazione monopolistica, mi pare che non si tenga minimamente in conto il fenomeno della finanziarizzazione che ha prodotto negli ultimi anni una diversa forma di oligopolio rispetto a quella prevista da Marx ma che è andata ben oltre le sue stesse previsioni.

Per quanto riguarda il ruolo della tecnologia, mi pare che non si tenga nella giusta considerazione il fatto che essa, se da un lato assicura il mantenimento o la crescita dei livelli di profitto anche senza aumentare necessariamente lo sfruttamento dei lavoratori, distrugge posti di lavoro in misura superiore a quelli che crea, la cui compensazione attraverso la crescita dei beni e dei servizi prodotti si scontra con obbiettivi limiti naturali e con l'assunzione del tutto arbitraria che essa possa protrarsi all'infinito.

Certamente le teorie di Marx non sono la risposta, né possono esserlo al pari di buona parte delle teoria economiche del '800 e del '900, ma ciò nulla toglie al problema della sostenibilità del sistema capitalistico.
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Re: I 200 anni dalla nascita di Marx

Messaggioda franz il 07/05/2018, 15:53

Che la tecnologia distrugga posti di lavoro in misura superiore a quelli che crea mi pare vada dimostrato.
Poi quello che conta è che la tecnologia produca valore aggiunto, beni di consumo e servizi utili.
Francamente pensiamo che sia meglio il mondo di migliaia di anni fa quando tutti (bambini e anziani compresi) si spaccavano la schiena nei campi dall'alba al tramonto, sabato compreso oppure oggi, quando a livello mondiale il 60% della popolazione lavora ed il restante 40% è in pensione o sui banchi di scuola?

Io penso che se in futuro arriveremo ad un 50% che guadagna bene ed un 50% che sta a casa, non sarà un dramma.
Con l'invecchiamento della popolazione arriveremo ad un 40% che lavora ed un 60% che o studia o è in pensione.

Tutto sarà possibile se la tecnologia creerà occasioni di elevata produttività.

Vediamo un po' questi dati
https://www.indexmundi.com/facts/indica ... e:it:jp:1w

Prendete atto del dato mondiale. 1991 il 62.5% della popolazione lavorava. Oggi è il 59%
Qualcuno dirà: ecco la prova che l'innovazione distrugge inesorabilmente il lavoro.

Ora date un'occhiata, sempre a livello mondiale, delle piramidi dell'età 1991 e 2017
https://www.populationpyramid.net/it/mondo/1991/
https://www.populationpyramid.net/it/mondo/2017/

Intanto prendiamo atti che siamo passati da 5,398,328,753 ab a 7,515,284,153.

Visto che il tasso di lavoratori è rimasto quasi costante, i posti di lavoro sono aumentati proporzionalmente, e quindi non sono stati distrutti. Anzi sono stati creati ad un tasso quasi uguale a quello della crescita della popolazione.

Nel 1991 il 42.5% della popolazione aveva meno di 20 anni ed il 6.2 ne aveva + di 66
Oggi abbiamo rispettivamente 33.9% e 8.6

Facendole opportune somme e sottrazioni, nel 1991 il 51% della popolazione era in età da lavoro ma lavorava ben il 62.5% della popolazione. Segno quindi che lavoravano giovani (in vece di studiare) ed anche anziani
Oggi nella stessa fascia abbiamo il 57.5% della popolazione e lavora il 59% della popolazione.

La situazione è migliorata, secondo me.
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Re: I 200 anni dalla nascita di Marx

Messaggioda Robyn il 07/05/2018, 21:37

Le idee di Marx rimangono un genere letterario.Penso che chi conosce bene il funzionamento del capitalismo conosca bene anche i suoi rischi e quindi si possono evitare.Per quel che riguarda la concentrazione monopolistica ai tempi di Marx non c'era l'imposta progressiva.L'imposta progressiva disincentiva i monopoli a differenza di quella piatta e pensare che nell'Inghilterra del dopoguerra le aliquote arrivavano ad assorbire anche il 90% del reddito e come è noto è un paese che non è mai stato sfiorato dall'ideologia marxista.Se faccio la fusione monopolistica per aumentare i profitti l'imposta progressiva non me lo permette,quindi non mi fondo potrei perderci.La flat tax invece sì,si presta alla concentrazione monopolistica.Marx diceva che l'innovazione tecnologica avrebbe creato una grande riserva di persone senza lavoro intercambiabili con chi il lavoro ce l'aveva.Ma se scompare il lavoro anche il capitalismo và in crisi si ripiega sù se stesso perche non c'è domanda.Se non c'è il lavoro chi acquista?Si acquistano fra di loro tre o quattro monopolisti?Anziche mangiare 100 grammi di pasta al giorno se ne mangiamo 400?si acquistano una volta al giorno un pc ?Le fabbriche saranno completamente automatizzate e senza operai?
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Re: I 200 anni dalla nascita di Marx

Messaggioda flaviomob il 08/05/2018, 0:24

Che la tecnologia distrugga posti di lavoro in misura superiore a quelli che crea mi pare vada dimostrato.


Basta confrontare le ore di lavoro necessarie per produrre un bene. Nell'ottocento gli operai lavoravano quattordici ore al giorno in fabbrica (bambini compresi). Oggi la robotizzazione porterà a oggetti di consumo che saranno realizzati forse persino con zero ore di lavoro umano. Solo la politica può fare in modo che, a queste condizioni, i posti di lavoro o in alternativa il reddito disponibile equivalente vengano mantenuti.


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Re: I 200 anni dalla nascita di Marx

Messaggioda Robyn il 08/05/2018, 0:51

La direzione dove andare stà a noi deciderla.All'orizzonte vedo profilarsi due tendenze.La prima è la saturazione tecnologica nel senso che abbiamo tutto tablet,pc,lg,tv a cristalli liquidi,telefoni portatili e cordless vetture confortevoli e quindi perderemo l'eccesso di fascino per i beni materiali,la seconda è che rinunceremo a prezzi troppo bassi che portano ad un'eccesso di competizione capitalistica,cioè chiederemo un prezzo giusto.La creazione di nuovo lavoro può venire dallo sviluppo di nuovi settori come la green economy ed altri settori del terziario"quali?"difficili da immaginare e questi sono ancora frenati dall'economia capitalista che si fonda esclusivamente sull'utile.Quando si acquisterà un bene magari i parametri più che il costo potranno essere diversi,ad ex il design,la praticità,le dimensioni,più che le prestazioni limitandole a quelle necessarie.Ad ex i vecchi pc oggi non ci sono quasi più si utilizzano tablet e pc portatili.L'innovazione tecnologica potrà riguardare altri aspetti come la sicurezza sul lavoro eliminare lavori alienati mantenendo il lavoro le competenze e il capitale umano.L'auto con il pilota automatico è sicura?non è che il pilota automatico ci porta a sbattere?non è che per strada dovremmo riprendere lo sterzo ,l'accelleratore il freno,il cambio delle marce e la frizione?forse il pilota automatico può essere utile per le persone disabili
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Re: I 200 anni dalla nascita di Marx

Messaggioda franz il 08/05/2018, 7:17

flaviomob ha scritto:
Che la tecnologia distrugga posti di lavoro in misura superiore a quelli che crea mi pare vada dimostrato.


Basta confrontare le ore di lavoro necessarie per produrre un bene. Nell'ottocento gli operai lavoravano quattordici ore al giorno in fabbrica (bambini compresi). Oggi la robotizzazione porterà a oggetti di consumo che saranno realizzati forse persino con zero ore di lavoro umano. Solo la politica può fare in modo che, a queste condizioni, i posti di lavoro o in alternativa il reddito disponibile equivalente vengano mantenuti.

Certo, ma oggi produciamo molti più beni rispetto al 1800.
I dati sono decisamente chiari.
In termini assoluti dal 1991 al 2017, un quarto di secolo, abbiamo un miliardo di lavoratori in più.
Anche la popolazione è proporzionalmente aumentata e anche questo grazie all'innovazione tecnologica in campo agricolo e ai guadagni di produttività. Sempre meno persone si occupano di agricoltura ma si produce sempre piu' cibo. E questo rende piu' economico il cibo.

Le braccia liberate dall'agricoltura ora sono disponibili al settore secondario e dove questo cala sono disponibili per il terziario. Senza interventi politici salvo i sussidi di disoccupazione (dove ci sono) atti sia a fornire reddito sostitutivo (temporaneo) ma soprattutto a fornire quei corsi di formazione per riqualificare il lavoratore. Per esempio per dargli quelle cognizioni che servono per lavorare in una moderna fabbrica robotizzata. Vero che ora per fare un televisore o un frigorifero servono meno ore; anzi serve anche meno materiale (materie prime e la loro lavorazione) ma questo abbatte il costo del prodotto, che diventa quindi sempre più abbordabile.

Come ho visto analizzando i dati, se il lavoro è in parte diminuito, è positivo perché i giovani devono studiare e gli anziani devono stare in pensione.

Per me arrivare ad una situazione in cui il 20% della popolazione lavora per produrre tanti beni e di costi ridotto, non è negativo. Magari Marx apprezzerebbe l'obbiettivo. Molto meno che sia raggiungibile con metodi opposti a quelli che lui auspicava.
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