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Tito Boeri: racconto di due Italie

Discussioni e proposte, prospettive e strategie per il Paese

Tito Boeri: racconto di due Italie

Messaggioda franz il 17/03/2018, 14:45

Mai come oggi l’Italia è politicamente e socialmente spezzata in due. La flat tax e il reddito di cittadinanza hanno contrapposto lavoratori e pensionati del Nord ai disoccupati del Sud. Ci sarebbe un modo di ricomporre il paese, ma nessuno vuole intraprendere questa strada.


L’Italia divisa a metà

Le elezioni del 4 marzo hanno dipinto di blu, il colore della coalizione di centro-destra dominata dalla Lega, la cartina elettorale del Nord Italia. Al Sud, dove gli elettori hanno dato una vittoria schiacciante al Movimento 5 stelle, sulla mappa prevale un giallo brillante. Al Centro, si vedono solo alcuni sprazzi di rosso nelle regioni in cui una volta il centro-sinistra primeggiava.

Nessun partito o coalizione ha ricevuto abbastanza voti per governare da solo, lasciando la Lega e i 5 stelle alla ricerca spasmodica di alleati per formare un governo.

Il problema per i due partiti è che, nonostante possano trovarsi d’accordo su cosa disfare, propongono ricette divergenti su cosa fare. È perciò impossibile per loro governare stabilmente insieme ed è probabile che il loro modo di interpretare il disagio economico fortifichi una divisione Nord-Sud che renderà il paese ingovernabile per molto tempo.
Sia la Lega che i 5 stelle vogliono smantellare la riforma delle pensioni del 2011 – un drastico aumento dell’età pensionabile messo in atto in risposta alla crisi finanziaria. Entrambi vogliono eliminare gradualmente la riforma del mercato del lavoro del 2015 – il cosiddetto Jobs act – che ha indebolito i regimi di protezione dell’impiego aumentando le tutele per la disoccupazione. Sull’immigrazione le vere scelte avvengono su scala europea. Comunque, i due partiti hanno entrambi proposto la chiusura delle frontiere e un rimpatrio in larga scala degli immigrati irregolari.
Ma se Lega e M5s sono d’accordo su cosa smantellare, non hanno punti in comune per quanto riguarda quello che vogliono effettivamente fare.

I 5 stelle sostengono il “reddito di cittadinanza” – uno schema molto generoso di reddito minimo garantito, il cui costo è prudenzialmente stimato intorno ai 30 miliardi di euro (quasi il 2 per cento del Pil italiano). La Lega e gli altri partiti della coalizione di centro-destra, invece, hanno fatto campagna elettorale su una flat tax che, se attuata, ridurrebbe le entrate fiscali, secondo le stime, di 60 miliardi.
Entrambe le misure sarebbero incompatibili con la riduzione o anche solo la stabilizzazione del debito pubblico. Attuarle insieme è impensabile.
Queste due ricette di politica economica contrappongono frontalmente due blocchi sociali e spiegano la geografia del voto.
Il reddito di cittadinanza dei 5 stelle ha fatto breccia tra i disoccupati, che in larga misura sono concentrati al Sud. La flat tax della Lega favorisce i lavoratori e i pensionati del Nord, dove i salari e le pensioni sono più alti in termini nominali rispetto al Sud, ma comprano meno che nel Mezzogiorno perché il costo della vita è molto più alto.
La flat tax è attraente nelle regioni con redditi nominali più alti e un elevato costo della vita. Infatti, quando i salari aumentano, una tassazione fortemente progressiva può spingere un contribuente verso uno scaglione fiscale più alto, anche se il suo reddito reale non è di fatto aumentato.

I due partiti si trovano dunque in una situazione di impasse. Gli elettori della Lega non accetteranno mai di rinunciare alla promessa riduzione fiscale per finanziare trasferimenti a persone del Sud che non lavorano. Allo stesso modo, i 5 stelle non possono abbandonare la loro principale proposta elettorale senza una ribellione del loro elettorato meridionale.
Il risultato è che il paese intero – e non solo il sistema politico –rimarrà probabilmente diviso e paralizzato per un lungo periodo.

Figura 1 – La distribuzione dei collegi tra le principali coalizioni – Camera dei deputati
Immagine

La questione salariale

Il profondo divario tra le regioni italiane ha una semplice spiegazione: i salari sono troppo bassi al Nord e troppo alti al Sud.
A partire dagli anni Settanta, i salari italiani sono fissati attraverso un sistema di contrattazione salariale centralizzata, tra sindacati e associazioni datoriali nazionali. I compensi per lavori simili sono dunque quasi gli stessi al Nord e al Sud, nonostante ci siano crescenti differenze nella produttività.

In media i differenziali di produttività tra un’azienda in Lombardia e una in Sicilia sono intorno al 30 per cento, mentre le differenze nei salari nominali a parità di qualifiche e nello stesso settore sono nell’ordine del 5 per cento. Di conseguenza, per le aziende meridionali è difficile competere, così si crea disoccupazione al Sud, emigrazione al Nord con prezzi delle case e costo della vita più alti e, dunque, salari reali più bassi al Nord che al Sud.
Un percorso controllato verso la decentralizzazione dei salari, del tipo di quello avviato in Germania dopo l’unificazione, ridurrebbe questi squilibri e la povertà dovuta alla disoccupazione al Sud, portando i salari in linea con i livelli di produttività locali. Permetterebbe anche ai lavoratori del Nord di avere redditi reali più vicini a quelli che spererebbero di avere con una flat tax.

Sfortunatamente, né la Lega né il Movimento 5 stelle hanno intenzione di affrontare il problema. I partiti populisti non sono disposti ad avere a che fare con i corpi intermedi come i sindacati o le associazioni datoriali. Ed è difficile riformare la contrattazione collettiva senza le parti sociali. Dal canto loro, né i sindacati né le associazioni datoriali sono così ansiosi di smantellare il sistema attuale, che dà a entrambi grande potere. L’accordo siglato la settimana scorsa da Confindustria, Cgil, Cisl e Uil è motivato principalmente dal desiderio di evitare l’introduzione di un salario orario minimo in Italia. Come già discusso su questo sito, il salario minimo sarebbe uno strumento potente per decentrare la contrattazione.
Se i vincitori delle elezioni vogliono davvero cambiare il paese, dovranno presentarsi con soluzioni, come il salario minimo, che accontentino sia l’elettorato del Nord che quello del Sud. Ma, date le promesse elettorali di entrambi i partiti, è ben più probabile che il paese rimanga diviso.

Una versione più breve e in inglese di questo articolo è pubblicata su Politico.

*Tito Boeri è presidente dell’Inps
http://www.lavoce.info/archives/51931/r ... ue-italie/
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Re: Tito Boeri: racconto di due Italie

Messaggioda pianogrande il 17/03/2018, 15:42

Più che "due italie" la solita Italia che non funziona dalle Alpi a Lampedusa; Pantelleria compresa.

Non funziona a Nord come non funziona a sud perché i problemi li vuole risolvere con le chiacchiere invece che con il coraggio e la competenza.

Quando qualcuno mette le mani sui problemi invece che sulle chiacchiere come è successo col governo Monti o con Prodi (o, perché no, con Renzi) il popolo tutto si ribella e premia i chiacchieroni.

E così abbiamo un Salvini e un Di Maio (i re dei chiacchieroni incompetenti) che trionfano alle elezioni contro l'Europa, la legge Fornero, le tasse... In parole povere, contro tutto quello che costa fatica (popolo compreso) ed a favore di fantapolitica facile da raccontare visto che i problemi semplicemente li dribbla etichettandoli come burocrazia o tecnocrazia o balle dei poteri forti.

"Buona notte, popolo" dice in un famoso film un eroe del risorgimento mentre sale sulla ghigliottina in mezzo a bancarelle e curiosità morbosa.
Fotti il sistema. Studia.
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Re: Tito Boeri: racconto di due Italie

Messaggioda flaviomob il 17/03/2018, 17:06

Abbassare i salari al Sud significa abbattere anche le entrate fiscali del Mezzogiorno, ovvero mettere in ginocchio gli enti locali e forse anche il sistema nazionale. Inoltre a parità di salario nel meridione ci sono meno posti di lavoro, più famiglie monoreddito (anche per carenza di servizi, più madri stanno a casa ad occuparsi della prole), più disoccupati. Abbassare i salari significherebbe ridurre ulteriormente il PIL delle regioni del Sud e aumentare la migrazione verso Nord (e l'estero).
Non è neppure vero che al settentrione tutto sia più caro: una maggiore diffusione della grande distribuzione può abbattere i prezzi dei generi di consumo. Il Sud ha un indice di diseguaglianza (tra il 20% più ricco e il 20% più povero della popolazione) maggiore del Nord.

Piuttosto, l'introduzione del reddito minimo apre e riapre l'annoso tema del lavoro nero e dell'evasione. Senza controllo, chi evade verrebbe premiato tre volte: la prima risparmiando sulle imposte, la seconda accedendo illecitamente a servizi riservati a chi ha un ISEE basso, la terza perché otterrebbe anche il reddito minimo.

Riguardo alla flat tax, mi pare di capire dalla scheda di Wikipedia che in Europa venga applicata solo in alcuni ex paesi dell'est poco rilevanti sul piano economico continentale e poco tutelati sul piano sociale. Se è un'idea tanto brillante, perché gli stati economicamente più avanzati come Germania, Francia, Olanda, Svizzera, paesi scandinavi non l'hanno mai presa in considerazione?

Molto più utile e morale sarebbe una riforma federale dello stato e del sistema tributario nel suo insieme.

https://it.wikipedia.org/wiki/Flat_tax

https://www.justlanded.com/italiano/Svi ... n-Svizzera


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Re: Tito Boeri: racconto di due Italie

Messaggioda franz il 17/03/2018, 19:23

flaviomob ha scritto:Abbassare i salari al Sud significa abbattere anche le entrate fiscali del Mezzogiorno, ovvero mettere in ginocchio gli enti locali e forse anche il sistema nazionale.

Quello nazionale assolutamente no, perché il concetto di fondo di quanto scritto da Boeri è che aumenterebbero al Nord
e quindi la nazione avrebbe maggior gettito dal nord il sud diventerebbe piu' competitivo attirando attività economiche e dando gettito anche al sud.
D'accordissimo che tutto questo dovrebbe avvenire all'interno di una riforma federale.
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