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Cosa resterà degli anni Novanta

Discussioni e proposte, prospettive e strategie per il Paese

Cosa resterà degli anni Novanta

Messaggioda franz il 09/03/2018, 11:48

ISTITUZIONI E FEDERALISMO
Cosa resterà degli anni Novanta
06.03.18
Fausto Panunzi

Gli anni Novanta sono stati caratterizzati dall’idea che l’efficienza garantita dai mercati non fosse in contrasto con la tutela dei più deboli. La grande recessione l’ha cancellata. Oggi prevalgono chiusura e protezionismo. E dureranno a lungo.


La fine degli anni Novanta

Ci sono molti modi di leggere i risultati delle elezioni del 4 marzo. Una chiave di lettura rilevante, a mio avviso, è che segnano la fine degli anni Novanta.

Dal punto di vista politico, gli anni Novanta sono stati caratterizzati dall’idea che l’efficienza garantita dai mercati non fosse in contrasto con la tutela dei più deboli. Bill Clinton, Tony Blair e Romano Prodi in Italia erano considerati progressisti rispetto ai loro competitori nazionali, ma dal punto di vista economico l’efficienza dei mercati era, più o meno marcatamente, la loro stella polare.

Alcuni dei pilastri di tale dottrina erano le privatizzazioni (il privato gestisce le imprese meglio del pubblico), le liberalizzazioni (i mercati sono efficienti solo se concorrenziali), la flessibilità e la mobilità e flessibilità dei fattori produttivi (ingredienti necessari per allocare le risorse nel modo più efficiente). Quindi un mercato del lavoro flessibile, libertà di movimento di merci, capitali e persone, seppure con una diversa gradazione. Ovviamente nessuno ignorava che il funzionamento dei mercati comportasse anche la presenza di vincitori e vinti e le conseguenti forti disuguaglianze. Ma raggiunta l’efficienza, era il corollario, ci sarebbero state più risorse da redistribuire anche a chi rimaneva indietro. La stessa redistribuzione doveva essere fatta in modo efficiente. Proteggere i lavoratori e non i posti di lavoro. Dare sussidi di disoccupazione, ma legarli alla ricerca – o al non rifiuto ad accettare – proposte di lavoro. Ricordare che uno dei modi in cui si tutelano gli individui è come consumatori, e quindi con prezzi bassi dei beni di consumo garantiti da concorrenza interna e internazionale.

Il ruolo dei governi era, in questa prospettiva, quello di fare funzionare bene i mercati (un ruolo cruciale era assegnato alle politiche della concorrenza) e di gestire in modo efficiente il sistema di welfare. Il riassunto migliore di queste idee, in Italia, è forse contenuto nel pamphlet di Alberto Alesina e Francesco Giavazzi scritto in un periodo appena successivo agli anni Novanta, “Il liberismo è di sinistra”.

La grande recessione iniziata a livello globale nel 2008 con la recrudescenza nel contesto europeo a partire dal 2011 ha cancellato in gran parte queste idee. La domanda di assicurazione che nasce sempre nelle grandi crisi si è incarnata in tutti i paesi in quelli che chiamiamo movimenti populisti. Nel concreto prende la forma di chiusura delle frontiere alle merci straniere (i dazi di Donald Trump), alle persone (la Brexit), di un sistema di welfare più inclusivo e generoso (il reddito di cittadinanza). L’idea che si potesse affrontare l’aspetto di assicurazione separatamente da quello di efficienza è stata rigettata dagli elettori, dopo che per anni i vincitori si erano guardati bene dal compensare i vinti. Si chiede esplicitamente che il governo abbia un maggior ruolo nell’economia, con nazionalizzazioni, chiusura delle frontiere, una maggiore redistribuzione. Insomma, quelle che vengono chiamate politiche sovraniste sono la risposta al fallimento della redistribuzione separata dall’efficienza.

Tre domande

Restano almeno tre domande. La prima è: perché la sinistra tradizionale, almeno in Italia, non è riuscita a intercettare queste esigenze? In fondo redistribuzione e assicurazione sono sue idee chiave. La risposta, a mio avviso, è che la sinistra italiana non è risultata credibile rispetto ad alcuni aspetti delle politiche sovraniste, in particolare rispetto alle politiche sull’immigrazione, uno dei temi centrali di queste elezioni.

La seconda riguarda le risorse necessarie per adottare le politiche di redistribuzione invocate. Nella campagna elettorale di questo aspetto non si è parlato. Meglio, la risposta che si è data è quella di fare più deficit e più debito. Rudiger Dornbush e Sebastian Edwards, nel loro saggio sul populismo economico dei paesi latinoamericani degli anni Ottanta, ci ricordano che tali politiche possono funzionare nel breve periodo. L’esperienza di Trump sembra confermare questa ipotesi. Resta da vedere poi il lungo periodo e qua lo scetticismo è d’obbligo. Protezionismo e guerre commerciali non sono di solito legati a epoche di prosperità.

La terza domanda riguarda la durata di questa ondata di chiusura e protezionismo. Ovviamente, la risposta è impossibile da dare. Ma se si guarda alle crisi passate (le guerre mondiali, la grande depressione, gli shock petroliferi), il rovesciamento di tali trend richiede molto tempo, lustri più che anni. Gli anni Novanta sono finiti e non torneranno.

http://www.lavoce.info/archives/51613/c ... i-novanta/
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Re: Cosa resterà degli anni Novanta

Messaggioda franz il 09/03/2018, 12:01

Per prima cosa è giusto ricordare che quanto affermato ("La grande recessione iniziata a livello globale nel 2008 con la recrudescenza nel contesto europeo a partire dal 2011 ha cancellato in gran parte queste idee.") non è sempre vero per ogni paese europeo.
Ci sono due grandi gruppi di eccezioni: la prima riguarda i paesi del nord-europa (scandinavi, gemania, olanda, svizzera) che sono riusciti per prima cosa a fare grandi riforme ammodernando il welfare e quindi a crescere. La seconda riguarda i paesi dell'europa centrale (ex cortina di ferro) la cui crescita è stata impetuosa proprio dalla caduta del muro, tanto che oggi, con ritmi di crescita del 50-60% a decennio, hanno in gran parte raggiunto e superato il meridione d'Italia. A livello poi mondiale, quindi uscendo per un attimo dall'ombelico europeo, la crescita di India e Cina è stata tumultuosa. Insomma il problema riguarda piuttosto chi non cresce, perché ha fatto le politiche sbagliate o non le ha fatte del tutto. E qui veniamo all'Italia. Che dagli anni 90 non cresce, anzi perde in produttività.

Il problema non è sulla credibilità delle proposte ma è la credibilità dei risultati. Nulli o quasi. Sia che abbia governato il centrodestra sia che lo abbia fatto il centro sinistra. Proprio per questo, ridotti alla disperazione, 1/3 degli italiani tenta la via grillina. La sinistra ha guardato alla redistribuzione ma senza crescita produttività non c'è nulla da distribuire.
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Re: Cosa resterà degli anni Novanta

Messaggioda mariok il 09/03/2018, 12:51

E' comunque indubbio che, a prescindere da casi particolari come quello italiano, l'aumento della competizione a livello globale ha ridotto i margini per la sostenibilità di un welfare ai livelli del secolo scorso in quei paesi che avevano potuto beneficiare di rendite di posizione rispetto agli altri del terzo e del quarto mondo.

E' vero che in Italia l'ascesa dei populismi variamente connotati trova le sue radici ultime nell'incapacità della politica (di destra e di sinistra) di affrontare e risolvere i nodi di un sistema economico e sociale inefficiente e sempre meno competitivo. Ma è pur vero che in altri paesi, che pure si sono mossi meglio dell'Italia, la situazione non è politicamente tanto migliore soprattutto per le sinistre storiche.

L'esempio della socialdemocrazia tedesca, che con Schroede ha avuto il merito di realizzare significative riforme e che tuttavia ha registrato un crollo di consensi dal quale è ancora ben lontana dal riprendersi, è abbastanza eloquente.

E' altresì evidente che il problema si registri soprattutto nell'Europa occidentale, che partendo da una situazione dello stato sociale ai massimi livelli mondiali, in questi anni ha registrato quasi ovunque un peggioramento delle condizioni di vita delle classi più deboli, anche nei paesi in cui lo sviluppo economico generale ha mantenuto buoni livelli.

D'altra parte mi sembra abbastanza intuitivo che nel breve periodo valga la legge dei vasi comunicanti: se crescono le condizioni dei paesi più in dietro, necessariamente peggiorano le condizioni degli altri, anche se non in egual misura sia alivello nazionale che di diverse aree geografiche e sociali di una stessa nazione.

La crescita può senza dubbio attutire tali contraccolpi (anche se c'è da chiedersi se possa farlo all'infinito), ma richiede tempi lunghi, chiaramente inadeguati rispetto alla velocità con la quale è andata avanti in questi anni la globalizzazione.

Si tratta di fenomeni difficili da gestire, rispetto ai quali la dimensione nazionale (soprattutto quella degli "staterelli" europei) è chiaramente inadeguata.

Ora, dopo aver corso forse troppo in fretta sulla strada delle liberalizzazioni a livello mondiale, assistiamo al rischio che si voglia (o ci si illuda di) tornare indietro, con una cura ancora peggiore del male.
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Re: Cosa resterà degli anni Novanta

Messaggioda franz il 09/03/2018, 13:57

Vero: la competizione globale ha prima distrutto gli esperimenti totalitari di "socialismo reale", giusto negli anni 90, e poi ha fortemente messo in discussione il modello di welfare socialdemocratico sia nei paesi nordici sia in Germania. Ma questi, essendo democratici hanno saputo trovare tramite l'alternanza le strade per riformare lo stato sociale. A questo punto però gli elettori non comprendono più il reale ed antico ruolo della sinistra e quindi si chiedono perché mai votarli. Il che forse spiega il calo francese e tedesco della sinistra, nonché le difficoltà del labour britannico.

Il dramma puramente italiano è che qui la sinistra italiana manco le riforme ha fatto e quindi la stagione delle illusioni si chiude con pesanti e cocenti delusioni. Perdere il 50% dell'elettorato non è cosa da poco.

Quanto durerà l'ondata (la terza domanda nell'articolo della Voce.Info)
Nessuno puo' prevedere il futuro ma le politiche protezionistiche di Trump stanno innescando una guerra che potrebbe avere conseguenze molto presto sull'orientamento dell'elettorato populista e sovranista.
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Re: Cosa resterà degli anni Novanta

Messaggioda pianogrande il 09/03/2018, 17:34

E' sempre un errore attribuire poteri magici a un singolo fattore.

Il mercato non può risolvere tutto.
Dopo questa scoperta mi daranno il Nobel dell'economia.

Quello che è mancato e che manca tutt'ora è l'intelligenza e la razionalità fatte politica.

Sì perché i parametri della società sono tanti; infiniti.
C'è un ente che dovrebbe riassumerli al meglio e mediare e operare con realismo e con i giusti obiettivi e questo ente è la politica.

Quando la società non funziona, il responsabile è sempre uno solo ed è la politica.

E' questa che è drammaticamente mancata.

Meno stato e più mercato; piccolo è bello; lasciateci lavorare; votate per me che non sono un politico/disprezzo per i "professionisti della politica" e potrei continuare la lista dello sciocchezzaio interessato arruffone furbesco dilettantesco e anche la lista di questi aggettivi è infinita.

Deve tornare in scena la politica.
La buona politica, evidentemente.

Questo prima che esca da qualche cilindro qualche altra formula magica che risolve tutto e che basta lasciar fare.
Fotti il sistema. Studia.
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