https://it.businessinsider.com/il-debit ... ebbe-fare/Il debito pubblico è troppo alto ma nessun partito ha un piano serio per abbatterlo. Ecco cosa si potrebbe fare
Giovanni Pons 15/2/2018
Il debito pubblico italiano è il convitato di pietra della campagna elettorale in corso. Tutti, partiti politici, economisti e osservatori, ne parlano e sono concordi nel sostenere che è troppo alto – 2300 miliardi di euro a fine 2017, pari al 132% del Pil – e che una sua riduzione sarebbe un toccasana per il paese. Peccato che nessuno si azzarda a mettere in campo uno straccio di ricetta valida per ottenere questo risultato. Probabilmente i politici pensano che impostare una campagna elettorale sulla riduzione del debito pubblico, con eventuali sacrifici incorporati, non sia molto sexy e non serva ad acchiappare voti.
Eppure sarebbero molto sexy i benefici che ne potrebbero trarre gli italiani dal momento che una riduzione del debito pubblico si porterebbe con sè una diminuzione dello spread (differenziale tra i tassi di interesse) con la Germania e dunque una minore spesa per interessi per lo Stato (64 miliardi nel 2017), per le imprese e per le famiglie. Inoltre le risorse finanziarie così risparmiate potrebbero essere reinvestite in attività produttive, cioè in una spinta propulsiva alla crescita economica del paese.
Evidentemente la classe politica italiana pensa che la riduzione del debito pubblico rappresenti un nobile obbiettivo ma sia troppo difficile da realizzare e dunque anche pericoloso da proporre pubblicamente poiché si rischia facilmente il nulla di fatto. Il risultato è che i pronunciamenti contenuti nei vari programmi elettorali, dal Pd al M5S passando per la Lega e Forza Italia sono altisonanti ma assolutamente privi di concretezza. In particolare il Pd è riuscito a mettere nero su bianco che si potrebbe “ridurre gradualmente ma stabilmente il rapporto tra debito pubblico e Pil al valore del 100% entro i prossimi 10 anni. Per raggiungerlo basterebbe la crescita attuale anche in presenza di politiche fiscali moderatamente espansive”.
Peccato che la crescita è ondivaga e che il piano di privatizzazioni messo in campo dal governo a trazione Pd negli ultimi cinque anni non sia stato minimamente rispettato nonostante gli annunci roboanti del ministro Padoan.
Tuttavia, a ben vedere, una razionale riduzione del debito pubblico italiano non è un sogno impossibile se solo si partisse da alcune considerazioni di fondo e si agisse di conseguenza.
L’Italia ha un debito pubblico elevato, 132% del Pil come abbiamo detto, ma un debito complessivo, se si aggiunge quello del settore privato (119% del Pil), non così alto. Nella classifica del debito complessivo siamo dietro la Germania (75% debito pubblico, 110% debito privato) e la Francia (95% debito pubblico, 145% debito privato) ma davanti nell’ordine a Belgio, Regno Unito, Paesi bassi, Spagna, Grecia, Portogallo, Giappone.
Gli italiani, a fronte del debito pubblico e privato, hanno un enorme stock di risparmio privato (nell’ordine dei 7-8000 miliardi di euro, inclusi gli immobili di proprietà) e un’alta propensione al risparmio. Questo risparmio per generazioni è stato investito in titoli del debito pubblico poichè questo rendeva bene. Ma dalla fine degli anni ’90 e soprattutto negli ultimi tre anni, a causa della discesa dei rendimenti determinata dal Quantitative easing promosso dalla Bce, almeno 200 miliardi di risparmio italiano ha preso la via dei mercati finanziari internazionali, sotto forma di gestioni patrimoniali, fondi o investimenti diretti all’estero, in cerca di un miglior rendimento.
Durante il governo Monti è stato firmato il Fiscal Compact che obbliga i paesi europei a ridurre, a partire dal 2019, il proprio debito pubblico di un ventesimo all’anno della differenza tra il debito effettivo e il 60% del Pil. In pratica l’Italia nei prossimi cinque anni dovrà ridurre di circa 300 miliardi il proprio debito pubblico anche se questa cifra varierà a seconda della crescita economica del paese e dei tassi di interesse.
I tedeschi sono particolarmente spaventati dalla mole del debito pubblico italiano, poiché temono che prima o poi saranno costretti a caricarselo, almeno in parte, sulle spalle. Così stanno spingendo perché venga approvato a livello europeo un meccanismo che definisca un percorso preciso di ristrutturazione del debito per i paesi che non riescono a ridurlo con le loro forze. Questo timore impedisce di fatto all’Europa di progredire sul fronte dell’integrazione politica ed economica e deve essere in qualche modo superato.
E’ anche vero che a fronte di un debito pubblico elevato l’azienda Italia ha al suo attivo una serie di asset di un certo rilievo (le stime variano a seconda dei centri di ricerca) e che potrebbero essere realizzati in varie forme. Si va dalle partecipazioni in società quotate (circa 20 miliardi di valore), a quelle in società non quotate (10 miliardi), agli immobili dello Stato (8-10 miliardi) a quelli detenuti dagli enti locali (300 miliardi), dai crediti verso Equitalia (30 miliardi) a quelli verso stati esteri (70 miliardi), dall’oro della Banca d’Italia (60 miliardi) alle concessioni governative (20 miliardi) fino alla cassa Depositi e Prestiti (35 miliardi).
Così come è vero che gli italiani rispondono positivamente ogni qual volta si propongono investimenti interessanti per il loro risparmio, soprattutto se si utilizza la leva fiscale per rendere attraente lo strumento in questione. E’ successo abbastanza recentemente con i Pir (Piani individuali di risparmio), strumenti che investono nelle piccole e medie imprese e che sono stati collocati con successo dalle banche (10 miliardi nel 2017 con previsioni di arrivare a 70 miliardi in cinque anni) grazie a un incentivo fiscale per il sottoscrittore al termine dei cinque anni di investimento.
Detto questo si possono tirare le seguenti conclusioni:
Difficilmente si riuscirà a rispettare i vincoli europei del Fiscal Compact facendo affidamento solo sulla crescita economica (che fa aumentare il denominatore del rapporto Debito/Pil) e sulla crescita dell’inflazione (in Europa siamo ancora ben sotto il 2% auspicato da Mario Draghi), come pensano il Pd e anche Forza Italia.
I tedeschi e gli altri paesi europei con i conti pubblici più in ordine dei nostri cercheranno nei prossimi mesi e anni di forzare l’Italia a ridurre il suo debito pubblico attraverso qualsiasi forma, dalle riforme, alla vendita di asset alla ristrutturazione.
La spesa per interessi nei prossimi mesi e anni è destinata a salire per effetto del trend di crescita dei tassi americani e per il graduale rientro del Quantitative easing promosso da Draghi. Dunque aumenterà la spesa per interessi sul debito ma anche i rendimenti dei titoli italiani diventeranno un po’ più interessanti.
L’annuncio da parte di un nuovo governo italiano di un piano preciso e credibile di riduzione del debito pubblico nei prossimi cinque anni avrebbe l’immediato effetto di ridurre lo spread con i titoli tedeschi e dunque far calare la spesa per interessi non solo per lo Stato ma anche per le imprese e le famiglie, liberando al contempo risorse per lo sviluppo.
Utilizzando ‘cum grano salis’ la leva fiscale si potrebbe trasferire una parte del patrimonio pubblico, sano e valorizzato, ai portafogli degli italiani che potrebbero far rientrare i propri risparmi spostandoli dalle attività estere a quelle italiane grazie a un rendimento più generoso. Tutto ciò senza svendite di pezzi importanti del patrimonio pubblico a stati o investitori esteri. Ma il tutto dovrebbe essere gestito dal governo nella massima trasparenza e nell’ottica di beneficiare il più possibile il risparmiatore italiano.
Non si vuole certo sostenere che tutto ciò sia facilmente realizzabile ma sorprende che nessun partito in vista delle elezioni parli del problema in termini concreti vanificando così l’opportunità offerta dalla ‘finestra’ dei tassi a zero aperta da Draghi e rischiando di veder finire l’Italia sotto scacco dell’Europa se i parametri del bilancio pubblico e di ripresa dell’economia non permettessero un cammino di rientro virtuoso dall’alto debito pubblico.