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Scuola, se la mensa non è un diritto
Il 48% degli iscritti alla primaria non ha accesso al servizio. Tra Comuni in rosso, disservizi e rette non pagate molti bimbi restano così "affamati" e discriminati. Mentre il legislatore delega tutto agli enti locali.
CARLO TERZANO
Mentre in campagna elettorale partiti come il M5s e la Lega promettono di cancellare buona parte della buona scuola - una riforma che «ha rottamato migliaia di insegnanti», ha tuonato il segretario del Carroccio Matteo Salvini - la vita quotidiana di molti alunni e studenti resta difficile. Un esempio? Il 48% degli oltre 2 milioni e mezzo di iscritti alla primaria lo scorso anno non ha avuto accesso ai servizi di ristorazione, come ha denunciato il rapporto (Non) tutti a mensa 2017 di Save the Chidren. Ma anche nel 2018 in molti paesi e città italiani il quadro non è migliorato: tra rette non pagate, buchi di centinaia di migliaia di euro nei bilanci e stipendi arretrati, molti istituti sono dovuti correre ai ripari.
Comuni in crisi: una bancarotta ogni 12 giorni
La Costituzione stabilisce che tutti i cittadini hanno diritto all’istruzione e che a tutti deve quindi essere data la possibilità di raggiungerne i più alti livelli, indipendentemente dal reddito. La possibilità di avere accesso alla mensa scolastica contribuisce a garantire il pieno godimento non solo del diritto allo studio, ma anche dei diritti alla salute e alla non discriminazione. Dopo la riforma in senso federalista del Titolo V della Carta, la competenza di porre in essere interventi per rimuovere gli ostacoli di ordine economico, sociale e culturale a tali diritti è finita in capo a Regioni ed Enti locali.
ENTI IN ROSSO. Il servizio della mensa è gestito dai Comuni. Il problema, però, è che tra tagli, minori entrate, amministrazioni fantasiose e scelte economiche infelici, oggi non esiste ente più indebitato dei Comuni. Secondo uno studio della Fondazione nazionale dei commercialisti, a fine 2016, in Italia, erano ben 107 gli enti in situazione di crisi e 151 in predissesto. Numeri preoccupanti e in continua crescita. Le casse comunali risultano tristemente vuote e, secondo i dati del Tesoro, nell'Italia degli oltre 8 mila Comuni, il loro indebitamento è poco al di sotto di 50 miliardi di euro. Ogni 12 giorni un gonfalone viene tristemente ammainato a causa della bancarotta. In una situazione simile, come possono i Comuni garantire il servizio della mensa?
A Sud il più alto numero di “studenti affamati”
Lo studio di Save the Children si è focalizzato su 45 capoluoghi di provincia con più di 100 mila abitanti. Secondo i dati raccolti, in ben 8 regioni italiane, più del 50% degli alunni non ha avuto la possibilità di usufruire del servizio mensa. Si tratta di una situazione fuori legge? No, anzi, per paradosso è permessa proprio dal legislatore: la norma di riferimento, infatti, definisce la mensa non come un «servizio pubblico essenziale», bensì come un servizio a domanda individuale, che dunque può essere garantito discrezionalmente dai Comuni, a seconda delle esigenze di bilancio. Il risultato è che, come in altre classifiche economiche, si registra una Italia a due velocità, con un Sud ingolfato e un Nord virtuoso. La più alta percentuale di alunni che non hanno usufruito del servizio risiede in Sicilia (80%), seguita dalla Puglia (73%), dal Molise (69%), dalla Campania (64%) e dalla Calabria (63%). Le regioni più virtuose sono state: la Toscana al 33%, il Friuli al 32%, la Lombardia al 31% e Piemonte e Liguria, a pari merito, con un 29%.
Un milione e 300 mila minori in povertà assoluta
Secondo i dati dell'Istat, gli edifici scolastici pubblici adibiti alla formazione primaria sono poco più di 15 mila e forniscono istruzione a oltre 2 milioni e mezzo di bambini (report del 2015). Circa 1 milione e 300 mila alunni sarebbero però esclusi dalla fruizione della refezione scolastica, con buona pace del dettato costituzionale. Un dato allarmante, specie se comparato con un altro numero: Poco meno di 1 milione e 300 mila minori vivono in condizione di povertà assoluta. Questi bambini e ragazzi non pranzano regolarmente neppure a casa.
UNA OPPORTUNITÀ PER TUTTI. Dal sito del dipartimento per le Pari Opportunità è possibile scaricare il "Piano nazionale di azione e di interventi per la tutela dei diritti e lo sviluppo dei soggetti in età evolutiva", documento che risponde agli impegni assunti dall’Italia per dare attuazione ai contenuti della Convenzione sui diritti del fanciullo, sottoscritta a New York il 20 novembre 1989. Alla voce “mense”, si legge: «La mensa assume rilievo fondamentale soprattutto in scuole situate in contesti territoriali fortemente deprivati sia economicamente che socialmente» e «l’accesso a una mensa di qualità nelle scuole è uno strumento fondamentale di contrasto alla povertà minorile, a condizione che esso sia una opportunità per tutti i bambini, soprattutto quelli che vivono nelle famiglie più deprivate e a rischio di disagio sociale». La mensa non solo contribuisce a garantire il pieno godimento del diritto allo studio, ma è anche intesa quale strumento di lotta alla dispersione scolastica.
Comune che vai, mensa che trovi (si spera)
In alcuni Comuni il servizio è efficiente, in altri disastrato. In Liguria solo il 29% delle scuole non ha la mensa. In Campania manca in un istituto su due. Nel 23% dei casi in cui gli enti locali garantiscono il servizio, la mensa poi è fantasma e cioè non esiste. I bambini sono costretti a pranzare in classe, magari portando piatti e posate da casa. C'è molta sperequazione anche con riferimento ai costi: si va da una tariffa massima di 2,3 euro a Catania a quella di 7,28 euro a Ferrara, passando per gli 0,3 euro di Palermo e i 6 euro chiesti a Rimini. È tutta questione di fortuna: se le famiglie povere risiedono nei – pochi - Comuni che garantiscono assistenza, non dovranno sopportare le spese personalmente. Su 43 enti locali presi in esame, solo 9 infatti applicano l'esenzione ai bimbi di nuclei familiari che dichiarano meno di 5 mila euro all'anno (27 comunque hanno dichiarato di scendere a tariffa zero “caso per caso”, ovvero dietro segnalazione dei servizi sociali). Invece, si paga sempre e comunque lo scaglione minimo di 3 euro indipendentemente dal reddito a: Rimini, Bergamo, Modena, e Reggio Emilia.
ESENZIONI E CRITERI BALLERINI. Ma ciò che non può essere digerito è che, nei pochi comuni in cui è possibile essere esentati dal pagamento del servizio per acclarata situazione di povertà, cambino i criteri usati per stabilire le condizioni economiche delle famiglie. «Si va da un massimo di reddito Isee 7.718 euro del Comune di Venezia a una soglia media di 3 mila euro del comune di Taranto, Ravenna e Ferrara a una minima di zero del Comune di Perugia». Inoltre, si legge nel report, «solo 6 Comuni prevedono l’esenzione per motivi connessi alla composizione familiare e 31 Comuni esentano dal pagamento i nuclei familiari segnalati dai servizi sociali, per motivi di fragilità economica». Insomma, nell'Italia dei campanili è sufficiente attraversare un ponte per essere considerati poveri o meno e godere quindi delle esenzioni previste dalla normativa nazionale. E poi ci sono i casi in cui gli alunni vengono esclusi dal servizio perché i genitori sono in ritardo con i pagamenti. Secondo il report di Save the Children, su 44 Comuni interpellati, 9 si dicono pronti a chiudere le porte delle mense in faccia ai figli dei morosi, con conseguente stimmate sociale per i bambini pubblicamente esclusi dal servizio.
MENSA 3
Educazione alimentare: il primo passo è a scuola
Poi c'è il capitolo dell'educazione alimentare che andrebbe introdotta a scuola. Ridurre l'apporto degli zuccheri e dei grassi, eliminare le merendine e far riscoprire i benefici della dieta mediterranea garantirebbe anche sollievo alle casse del sistema sanitario nazionale. Spiega Save the Children: «In un Paese in cui la povertà minorile aumenta di anno in anno in misura preoccupante, può rappresentare un forte segnale di cambiamento non solo politico, ma anche molto concreto, garantire almeno un pasto proteico e salutare al giorno ai bambini per migliorare la condizione di quel 5,7% di minori che non consuma né carne, pollo, pesce verdura e combattere la malnutrizione del 10% dei bambini obesi e del 20% dei bambini in sovrappeso».
IL SERVIZIO RESTA INDIVIDUALE. Tutto ruota attorno alla definizione «servizio pubblico essenziale». Nonostante gli impegni presi dall'Italia a seguito della firma della Convenzione di New York sui diritti del fanciullo, la norma nazionale continua a sostenere che quello della mensa sia solo un servizio individuale, in questo modo si permette ai Comuni di fare ciò che vogliono: scegliere se garantirlo o meno, individuare chi ammettere e a quali condizioni e, soprattutto, decidere chi deve esserne tagliato fuori. Eppure già il Consiglio di Stato, in più occasioni (sentenze n. 5589 del 5 novembre 2012 e n. 6529 del 10 settembre 2010) aveva definito la mensa quale «servizio essenziale, funzionale a garantire l’attività didattica, strumentale all’attività scolastica stessa». Nell'attendismo del legislatore, migliaia di bambini restano a bocca asciutta.