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Macelleria sociale generazionale

Discussioni e proposte, prospettive e strategie per il Paese

Macelleria sociale generazionale

Messaggioda flaviomob il 09/02/2018, 9:42

La generazione dei 30-40 è sotto scacco, un costo economico per l’Italia

Alice, 35 anni, da dieci giornalista precaria. Maria, 40 anni, pensa di lasciare la professione di avvocato, divenuta nella sua esperienza personale troppo incerta, e studia per i concorsi pubblici. Antonio, 38 anni, ha lasciato il suo lavoro precario all’università e sogna il posto fisso. Sono storie raccolte tra i 30-40enni, una generazione che ha pagato di più delle altre il costo della crisi che li ha investiti proprio mentre cercavano di entrare o di affermarsi nel mondo del lavoro. Ma tutto questo, come spiega Mario Morcellini, commissario Agcom, sociologo e studioso dei mass media, già prorettore dell’università Sapienza di Roma , si tradurrà anche in un costo economico per la comunità, tanto più alto ed evidente col passare del tempo. Un costo che sarà pagato a livello psicologico, sanitario, pensionistico.

“La generazione più compromessa – afferma lo studioso in un’intervista ad Alley Oop-Il Sole 24 Ore – non è l’ultima generazione di laureati, per la quale, mi dispiace dirlo perché può sembrare una frase elettorale, un po’ di speranza comparativa con le generazione precedenti c’è. La generazione sotto scacco è quella dei 30-40enni. Su questi ci vogliono cure specifiche da parte della politica”.

LA FOTOGRAFIA SCATTATA DALL’ISTAT

Ma lasciamo parlare i dati. Secondo la fotografia scattata dall’Istat nel 2017, in un anno si contano 234mila occupati in meno tra i 25 e i 49 anni. A soffrire di più, in particolare, sono i 35-49enni con una perdita di 204mila occupati. Su base percentuale, da dicembre 2016 a dicembre 2017, gli occupati sono calati dello 0,7% tra 25 e 34 anni e del 2,1% tra 35 e 49 anni. E’ quest’ultimo il risultato peggiore tra le varie fasce d’età. Il segno meno tra i 35-49enni esiste anche al netto della componente demografica. Cioè: è vero che ci sono meno occupati perché ci sono meno giovani e la popolazione invecchia, ma il lavoro diminuisce comunque: mentre l’incidenza degli occupati sulla popolazione cresce su base annua tra i 15-34enni e i 50-64enni, è in lieve calo tra i 35-49enni (-0,2%).

LE SCELTE DI POLITICA DEL LAVORO

Alla radice del problema, secondo Morcellini, ci sono anche scelte di politica economica e del lavoro: “Negli anni in cui c’è stato il dibattito sulla cosiddetta ‘flessibilizzazione’ del mercato del lavoro, molti intellettuali, e purtroppo – ammette lo studioso – devo mettere anche me stesso in questa corte che non ha visto lontano, hanno ritenuto che non fosse un errore introdurre elementi di flessibilità perché ci veniva promesso in cambio una diversa trasparenza e una diversa riformabilità del mercato del lavoro. Tutto questo non c’è stato, abbiamo le prove storiche, la flessibilità troppo spesso si è presentata come precariato. E, se si chiama precariato, prelude a costi che da qualche parte si manifesteranno. Per di più non c’è stata neanche la controprova, cioè che il mercato del lavoro sia stato davvero riformato e risanato: quindi abbiamo sbagliato a consentire che una misura di politica economica e di politica del lavoro venisse rivenduta con un marketing improprio come politica riformatrice. Quella adottata è stata una politica che ha commesso due errori. Ha pensato che sui giovani si potesse fare più facilmente macelleria sociale, cioè che si potesse infliggere precarietà solo sui giovani, risparmiando quasi tutti gli altri settori, o almeno comparativamente risparmiando quasi tutti gli altri settori”, e si ci è illusi che “ritoccare il tempo di ingresso nella vita adulta attraverso la precarietà fosse ininfluente sulla qualità della vita e delle relazioni sociali dei giovani. Oggi non possiamo non scorgere la limitatezza culturale di questa miope analisi”.

NEL TEMPO I COSTI PIU’ PESANTI, A LIVELLO DI SALUTE E PENSIONE

Tutto questo ha delle conseguenze economiche poiché “i costi economici sono quasi sempre intrecciati con quelli sociali”. In primis, prosegue Morcellini, “i costi della precarietà che si collegano al rinvio della professione e dell’esperienza di lavoro securizzante sono anzitutto visibili nei costi psicologici. Se allunghi innaturalmente i tempi, non con il consenso dei giovani, ma perché lo impone la crisi del mercato del lavoro, è impossibile non immaginare che questo determini una situazione di stress, di difficoltà esistenziale, di dipendenza dalla famiglia, situazione che non è detto sia accettata così tacitamente come amiamo dire. A questo proposito è buona una frase che dice: ‘sento parlar bene del lavoro flessibile, ma tutti quelli che ne parlano hanno il posto fisso’. Noi non riusciamo neanche a immaginare la difficoltà di adeguazione a un simile contesto di vita, non solo difficoltà psicologiche, ma probabilmente difficoltà di salute e certamente possibile aumento delle dipendenze, tra le quali non escluderei di citare la dipendenza della rete. Il costo economico più pesante si vedrà, tuttavia, nel tempo e sarà “in termini di pensione e di salute. La politica – spiega Morcellini – non lo vedrà volentieri. A parte la politica più responsabile, infatti, in genere la politica si occupa dell’oggi e del domani e io sto parlando del dopodomani”. Un giovane che non ha avuto esperienza di vita e di ruolo paragonabile alle generazioni che lo hanno preceduto è in una situazione che “si tradurrà in un elemento di stress identitario, realizzazione di felicità, di realizzazione in famiglia. E questo provocherà certamente problemi salutari: invece di fare prevenzione, stiamo incoraggiando aumenti pazzeschi di costi che certamente non saranno equivalenti a quelli del risparmio di non averli mandati prima a lavorare, ma sui quali una società equilibrata, e soprattutto democratica, deve interrogarsi”. Alla lunga, poi, si sommeranno anche i costi pensionistici di una generazione che arriva tardi, o in maniera discontinua, nel mercato del lavoro. E adesso? Come si può rimediare? Secondo Morcellini “se si vuole ridurre il costo per il sistema sanitario, per il sistema welfare e alla lunga pensionistico ci dobbiamo occupare anche di quelli che rischiano di essere messi in mezzo rispetto all’uscita della crisi economica. Siamo, infatti, abbastanza usciti dalla crisi economica, ma non siamo usciti dalla crisi sociale. Non siamo stati in grado di offrire una risposta ai soggetti più colpiti dalla crisi economica”.

L’APPELLO IN VISTA DELLE ELEZIONI

Passando agli strumenti pratici, e indossando il cappello non di commissario Agcom, ma di ricercatore, Morcellini suggerisce, in vista delle elezioni imminenti e, quindi, del nuovo governo che si formerà, di “fare sui 30-40enni un’operazione coraggiosa: la prima è quella di alzare il livello d’età per i concorsi pubblici che stanno ripartendo. Non è, infatti, pensabile che la riflessione sui concorsi non si accompagni al ragionamento sul giacimento di dolore e difficoltà che ci lasciamo alle spalle. Occorre cioè alzare l’età in modo che si raggiunga, anche consultando economisti ed esperti del mercato del lavoro, il momento in cui i giovani hanno cominciato a essere non competitivi con i loro genitori, quello è il break even”. Il secondo elemento riguarda le politiche di avvicinamento al lavoro. I giovanissimi sono in un’età in cui possono permettersi un comparativo allungamento dei tempi di attesa mentre non se lo possono più permettere quelli che hanno aspettato da troppo tempo. Non sto cercando di organizzare una rivoluzione tra due diverse fasce di giovani, ma siamo di fronte a un problema di equità sociale. Noi come docenti abbiamo assistito all’ indebolimento comparativo di un pezzo di generazione. Solo se ci accorderemo a livello politico e studi, e qui gioca un ruolo anche l’Istat che ha gli strumenti adatti, su qual è la generazione che più ha pagato la crisi, senza creare una disputa politica, ma piuttosto una disputa sui dati scientifici, usciremmo da questa crisi rafforzati”.

http://www.alleyoop.ilsole24ore.com/201 ... fresh_ce=1


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Re: Macelleria sociale generazionale

Messaggioda pianogrande il 09/02/2018, 11:24

Stiamo diventando un paese povero; questa è la condizione di base.

Tutti i ragionamenti dell'articolo si riducono a come distribuire equamente questo percorso verso la povertà.

Insomma c'è chi diventa povero più in fretta perché nella situazione attuale ci sta crescendo e chi più lentamente perché si porta dietro la rendita di quando ha potuto lavorare e guadagnarsi qualche sicurezza come un posto di lavoro stabile e poi una pensione.

Tutto qua il grande conflitto generazionale.

Una vera e propria isteresi sociale.

Giusto ragionare di equità ma attenzione alle equità raggiunte togliendo invece che aggiungendo.
Mai dimenticare (come fa l'articolo) che una parte delle risorse dei vecchi si riversano sui giovani e guai far mancare anche questo ammortizzatore.
Fotti il sistema. Studia.
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Re: Macelleria sociale generazionale

Messaggioda franz il 09/02/2018, 16:08

Ma quale macelleria sociale del kaiser!
Se i ragazzi studiano scienze politiche o scienza della comunicazione, se le ragazze ambiscono a fare le veline, quella sarà sempre una generazione di disoccupati.
Il lavoro c'è ma mancano i lavoratori qualificati, mancano i tecnici.

http://www.lastampa.it/2017/08/30/econo ... agina.html
http://www.lastampa.it/2017/12/24/econo ... agina.html
http://www.ecomulo.it/italia-mancano-gl ... 184205612/
http://www.repubblica.it/economia/2017/ ... 184205612/

Qui non è un problema di "flessibilità", perché se hai studiato scienze politiche non puoi fare l'ingegnere, ma di banale capacità di capire quali professioni danno sbocchi lavorativi.
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Re: Macelleria sociale generazionale

Messaggioda mauri il 09/02/2018, 19:08

franz ha scritto:
Qui non è un problema di "flessibilità", perché se hai studiato scienze politiche non puoi fare l'ingegnere, ma di banale capacità di capire quali professioni danno sbocchi lavorativi.


ma se le famiglie non ci arrivano chi ci deve pensare? credo che un buon governo debba essere in grado di programmare il futuro dell'italia fornendo agli studenti strumenti adatti a capire quali professioni diano posti di lavoro, con incentivi allo studio e tasse universitarie gratuite, purtroppo nei partiti che si candidano alle elezioni non vedo nulla nessuna programmazione nessun sguardo al futuro, forse anche per questo l'italia è destinata al declino
ciao mauri
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Re: Macelleria sociale generazionale

Messaggioda trilogy il 09/02/2018, 21:18

Fino a poco tempo fa se uno diceva che la tutela dei diritti acquisiti era una incu. per milioni di giovani e meno giovani, era di destra. Ora gli effetti pratici sono sotto gli occhi di tutti. Ringraziate la camusso, monti, la magistratura ecc. che hanno fatto i loro interessi scaricando l'intero costo dell'aggiustamento sui giovani e sui meno tutelati. Si potevano fare nel tempo scelte più eque e ripartire i costi in modo diffuso.
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Re: Macelleria sociale generazionale

Messaggioda flaviomob il 09/02/2018, 22:42

Il lavoro c'è ma mancano i lavoratori qualificati, mancano i tecnici.


Che c'azzecca? La percentuale di tecnici sarà spannometricamente la stessa tra i giovani e i meno giovani.
Trilogy ha centrato il problema.
Va aggiunto che nei paesi più evoluti d'Europa c'è un drenaggio di reddito e risorse a favore dei giovani che in Italia funziona pressoché al contrario. In molti stati il giovane viene incentivato a studiare all'università con borse di studio, gratuità o rimborso dei costi di iscrizione, fondi per vitto e alloggio per i fuori sede, incentivi a riqualificarsi durante tutta la vita lavorativa. Si disincentiva invece la permanenza in casa con i genitori raggiunta la maggiore età. Inoltre il tasso di disoccupazione tra i giovani italiani è superiore alla media europea, ma non è previsto un sussidio di disoccupazione per chi non ha ancora iniziato a lavorare. Senza contare che il reddito minimo garantito in UE non è previsto solo in Italia e Grecia. Eppure abbiamo una spesa pubblica fuori controllo e un debito record che si riverserà (è proprio il caso di dire "con gli interessi") sulle stesse nuove generazioni già penalizzate sul piano del lavoro e dei contributi pensionistici. Un vero capolavoro di cinismo ottuso ed egoista.


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Re: Macelleria sociale generazionale

Messaggioda franz il 10/02/2018, 9:41

flaviomob ha scritto:Che c'azzecca? La percentuale di tecnici sarà spannometricamente la stessa tra i giovani e i meno giovani.

Non credo che sia la stessa.
Riparto da qui:
Ma lasciamo parlare i dati. Secondo la fotografia scattata dall’Istat nel 2017, in un anno si contano 234mila occupati in meno tra i 25 e i 49 anni. A soffrire di più, in particolare, sono i 35-49enni con una perdita di 204mila occupati. Su base percentuale, da dicembre 2016 a dicembre 2017, gli occupati sono calati dello 0,7% tra 25 e 34 anni e del 2,1% tra 35 e 49 anni. E’ quest’ultimo il risultato peggiore tra le varie fasce d’età. Il segno meno tra i 35-49enni esiste anche al netto della componente demografica. Cioè: è vero che ci sono meno occupati perché ci sono meno giovani e la popolazione invecchia, ma il lavoro diminuisce comunque: mentre l’incidenza degli occupati sulla popolazione cresce su base annua tra i 15-34enni e i 50-64enni, è in lieve calo tra i 35-49enni (-0,2%).

Il problema sarebbe quindi la generazione di mezzo (35-49) mentre, proporzionalmente, andrebbe meglio per i giovani (15-34) e gli anziani (50-64). Cosa che non vedo legabile ad una macelleria sociale in senso lato perché dovrebbe colpire le fasce di età piu' deboli: giovani ed anziani, quindi il contrario di ciò che si osserva.

La causa piu' probabile è quella delle competenze. Un giovane uscito recentemente da scuola dovrebbe avere, verosimilmente, le competenze piu' adeguate per le nuove tecnologie. Se le hanno, trovano lavoro, altrimenti no. Probabilmente ne hanno di piu' rispetto alla fascia 35-49. Gli anziani invece hanno esperienza sulle tecnologie "vecchie", che i giovani non hanno. Forse la fascia intermedia ha meno esperienza (perchè ha cominciato piu' tardi trovando lavoro solo dopo i 30 anni) e non è formato sulle ultime tecnologie. Inoltre ha compiuto forse studi, 20 anni fa, tra gli anni 80 e 90, che si rivelano scarsamente utili oggi.

Ma c'è un altro fattore da considerare, che mi viene in mente ora. Il fatto che manchino intere fasce d'età tra i lavoratori puo' anche essere legato all'emigrazione che, a partire dal 2005 ad oggi, è ripresa in modo costante ed ha interessato centinaia di migliaia di lavoratori (e recentemente anche pensionati).
Secondo i dati AIRE, lo stock di italiani all’estero è passato da 3.106.251 (2006) a 4.636.647 (2015), con una crescita del 49,3% in 10 anni. Circa 1,45 milioni in più. Siamo in attesa dei dati aggiornati, che dovrebbero registrare un aumento almeno analogo a quello tra 2014-2015 (oltre 150mila), per cui dovremmo attestarci attualmente intorno ai 4.8 milioni.

Ma questi dati sarebbero sottostimati. Se prendiamo ad esempio le partenze che ISTAT indica verso Germania e Regno Unito e le confrontiamo con i dati che DE e UK indicano rispetto agli italiani in ingresso sono molto diversi. Per la Germania "I dati forniti dallo Statistisches Bundesamt di Wiesbaden, ci dicono che gli ingressi registrati ad esempio in Germania, risultano in tutto il quinquennio, sempre tra le 3 e le 4 volte superiori al dato Istat; nel 2014, circa 5 volte in più" (fonte: gli articoli che linko alla fine).

Questo vuol dire che ogni anno finiscono col mancare oltre 300'000 lavoratori, partiti per altri paesi. Chiaramente partono quelli con le competenze (il saper fare + la lingua) e rimangono quello che o non sanno la lingua ma almeno qualche competenza la possiedono, oppure mancano di entrambe le cose.

In effetti la nuova emigrazione è caratterizzata da scolarizzazione medio-alta (oltre il 60% risulta diplomato o laureato). Ci sono tanti giovani (18-34) ma anche tanti 35-49 con moglie e figli.
Rapporto Migrantes ha scritto:Su 107.529 espatriati nell’anno 2015, i maschi sono oltre 60 mila (56,1%). L’analisi per classi di età mostra che la fascia 18-34 anni è la più rappresentativa (36,7%) seguita dai 35-49 anni (25,8%). I minori sono il 20,7% (di cui 13.807 mila hanno meno di 10 anni) mentre il 6,2% ha più di 65 anni (di questi 637 hanno più di 85 anni e 1.999 sono tra i 75 e gli 84 anni)

Il 62% è nella classe 18-49 ma stante l'attuale attitudine a studiare oltre la scuola dell'obbligo, soprattutto in queste fasce di buona scolarizzazione, direi che il grosso dei lavoratori che vengono a mancare nel mercato del lavoro italiano è nella fascia 30-45.

Riassumendo piu' che "macelleria sociale" verso gli over 35 direi che abbiamo mancanza di sviluppo e prospettive in Italia, per cui chi sa fare le cose e sa anche una lingua, se ne va all'estero. In effetti è vero che non era certo la "flessibilità" l'unico nodo da sciogliere. Era un nodo ma è servito da foglia di fico per nascondere e/o ritardare gli altri.

https://cambiailmondo.org/2016/04/13/la ... -profughi/

http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/ ... d=AEuX6nsB

http://ced.uab.es/wp-content/uploads/20 ... altres.pdf
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Re: Macelleria sociale generazionale

Messaggioda flaviomob il 10/02/2018, 14:51

E' la politica a definire le generazioni deboli, non l'anagrafe.

Oggi chi è in pensione col retributivo prende mediamente più di quanti andranno in pensione col contributivo, a parità di potere d'acquisto. Per non parlare dei baby pensionati. Poi che esistano anziani indigenti è un altra questione. I giovani sono in buona parte a rischio, evidentemente i giovanissimi hanno ancora l'ombrello della famiglia di origine che i quarantenni non hanno più.

L'argomento che "mancano i tecnici" io lo avevo già sentito in canton Ticino trent'anni fa ed era uno dei motivi per cui assumevano lavoratori italiani frontalieri. Credo quindi che sia un aspetto comune a più paesi e sicuramente a più generazioni. Bisogna anche capire se dipenda dalle scelte di studio o dalla mancanza di scuole in grado di formarli: io ricordo bene molti dei miei compagni di superiori all'Istituto tecnico e sono sicuro che quelli che uscivano con una media appena "sufficiente" non erano in grado di lavorare dopo il diploma senza una ulteriore formazione adeguata, a parte una piccola schiera di volenterosi che imparavano "sul campo".

Al di là di questo, però, la scelta di formarsi in materie umanistiche non può essere valutata con parametri "numerici" uniformi. Ad esempio, io ho un paio di ottimi colleghi educatori, tra i migliori; uno è laureato in filosofia e l'altro in storia medievale. La peculiarità italiana è la creatività e io penso che, se si lavora seriamente e si cresce anche dopo il percorso di studi curriculari, anche i percorsi umanistici possano dare strumenti creativi e innovativi. Il disastro è quando uno si "siede" e si accontenta del "posto fisso" in qualche mortorio burocratico privo di stimoli. Dovremmo creare una società aperta alla formazione continua per tutto l'arco dell'esistenza. Senza considerare che formiamo anche eccellenti "tecnici" e non tecnici i quali, in maniera lungimirante, scelgono di lavorare e vivere all'estero in paesi più evoluti del nostro: e su questo dobbiamo fare i conti o continuerà il nostro declino.


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Re: Macelleria sociale generazionale

Messaggioda franz il 10/02/2018, 18:26

Che chi va in pensione con retributivo prenda di piu' del contributivo è noto, ma questi soldi extra (che non si creano da nulla) vengono pagati da qualcuno. Quì si', è la politica che ha deciso (male) in passato. In generale chi lavora paga (ed ha pagato per decenni) un extra proprio per permettere questo scempio che ha sottratto risorse all'economia, ai redditi, alle imprese, agli investimenti.

Naturalmente potremmo chiederci come mai l'Italia non fa come Germania, UK, Svizzera e cioè assumere i tecnici che mancano facendoli arrivare dall'estero. Non è che forse all'estero li pagano di più?
E alludo con quel "di più" sia allo stipendio lordo sia al netto.
E perché l'Italia non puo' offrire stipendi adeguati?

La domanda è retorica, ovviamente, perché ne abbiamo discusso direi decine di volte. Carenza di produttività, innovazione, investimenti, quindi basso valore aggiunto e quindi bassi salari. I bravi tecnici in tempi di crisi vanno all'estero e quando l'economia riprende, risultano "mancanti" in Italia.

può essere bravo fin quando vuoi ma un laureato in filosofia non può fare l'ingegnere o progettare una catena produttiva in tecnologia CAD/CAM. Non può nemmeno riparare un tetto (moderno o medioevale) se non ha studiato almeno tre anni carpenteria, con profitto.
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Re: Macelleria sociale generazionale

Messaggioda pianogrande il 10/02/2018, 20:17

Posso confermare quello che dice Franz e cioè che l'Italia non assume tecnici (validi) dall'estero per lo stesso motivo per cui i tecnici italiani non rientrano.

Come può aver voglia di rientrare qualcuno che si sente apprezzato per il suo lavoro/viene giudicato sul merito e guadagna anche più del doppio di quello che guadagnerebbe in Italia?

Noi li formiamo i tecnici e ci spendiamo soldi (e magari ne vogliamo spendere di più togliendo le tasse universitarie) e poi li forniamo a chi è in grado di utilizzarli ed apprezzarli mentre noi siamo sempre più capaci solo di spremere mano d'opera a bassa qualifica e basso costo.

Cosa se ne fa di un fior di tecnico una imprenditoria dedita sopratutto alla raccolta di pomodori o alla costruzione di viadotti alla sabbia?
Fotti il sistema. Studia.
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