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Ichino su Jobs Act ed i suoi effetti

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Ichino su Jobs Act ed i suoi effetti

Messaggioda franz il 04/12/2017, 10:43

LE RAGIONI FORTI DEL JOBS ACT E L’USO CORRETTO DELLE STATISTICHE

Possiamo attribuire fin d’ora alla riforma non l’aumento dell’occupazione, che pure c’è stato, ma la riduzione drastica del contenzioso giudiziale in materia di licenziamenti, che costituiva una peculiarità negativa del nostro Paese; e smentire la tesi della “precarizzazione” – La necessaria mobilità dalle imprese deboli a quelle ad alta produttività

Tra le grandi difficoltà che incontrano i riformatori seri non ci sono soltanto le resistenze preventive dei conservatori, ma anche e soprattutto la pretesa di quasi tutti – i contrari come i favorevoli – che gli effetti della riforma si vedano istantaneamente o in tempi brevissimi. Questo non si dà quasi mai: né nel caso della riforma attuata per mezzo di nuove norme legislative, né, tanto meno, nel caso della riforma organizzativa, che incide direttamente sulla capacità di un’amministrazione di implementare nuovi schemi.

La fretta di vedere i risultati contagia tutti. Oggi, in particolare, noi che due anni fa abbiamo progettato, approvato e sostenuto con la maggiore convinzione la riforma del lavoro dobbiamo resistere alla tentazione di usare i dati forniti dall’Istat sull’aumento dell’occupazione registratosi da allora, pur molto rilevante, come dimostrazione della bontà di quella legge. Può servire per uscire bene da un talk show, ma è un argomento privo di consistenza: nessuno può dire seriamente se e quale aumento dell’occupazione si sarebbe verificato in Italia, come effetto della incipiente crescita economica, se la riforma non fosse stata fatta.

Viceversa, sul fronte delle politiche attive del lavoro – quelle che dovrebbero sostenere sul piano economico e dell’assistenza il passaggio dal vecchio lavoro al nuovo, la riqualificazione professionale mirata agli sbocchi occupazionali concretamente possibili – dobbiamo riconoscere onestamente che il livello dell’implementazione della riforma è ancora molto modesto, per un difetto di riorganizzazione effettiva dell’apparato ministeriale.

Una cosa possiamo, invece, e dobbiamo affermare con forza e saper spiegare all’opinione pubblica: questa riforma, insieme a quella delle pensioni del 2012, e insieme al rispetto da parte nostra degli impegni presi nei confronti dei nostri Partner europei in materia di bilancio statale, costituisce un presupposto indispensabile senza il quale

=> non sarebbe stata neppure pensabile la politica monetaria espansiva della BCE, che costituisce uno dei fattori più rilevanti della nostra crescita attuale;
=> non sarebbe neppure pensabile oggi l’avvio di un programma di grandi investimenti dell’UE finanziati mediante l’emissione dei project bonds, che può costituire il primo atto di una politica economico-industriale espansiva promossa e gestita al livello continentale;
=> il nostro Paese non potrebbe aspirare a tornare attrattivo per gli investimenti diretti esteri, allineandosi per questo aspetto alla media UE: obiettivo che, se raggiunto, può portare con sé un aumento di oltre 50 miliardi (tre punti percentuali e mezzo rispetto al nostro PIL) del flusso annuo di investimenti stranieri in ingresso.

Certo, l’attrattività dell’Italia per gli operatori economici internazionali dipende anche da un suo allineamento rispetto ai maggiori partner europei per quel che riguarda la pressione fiscale su imprese e lavoro, il costo dell’energia, l’efficienza delle amministrazioni pubbliche e in particolare di quella giudiziaria: tutti campi, pure questi, nei quali negli ultimi anni si sono fatti dei passi avanti rilevanti. Ma insieme a questi anche l’allineamento del nostro diritto del lavoro rispetto ai migliori standard europei, compiuto con la riforma del 2015, costituisce un passo avanti di primaria importanza nella direzione necessaria. Ed è indispensabile che le nuove norme varate non si rivelino volatili, quindi inaffidabili: hanno un effetto negativo sul piano economico, da questo punto di vista, sia i preannunci di contro-riforma contenuti nei programmi elettorali di diversi partiti oggi all’opposizione, sia i tentativi di contro-riforma per via giudiziaria e in particolare per mezzo di ricorso alla Corte costituzionale.

Detto questo in linea generale, ci sono poi due dati statistici che possono, senza alcuna forzatura, essere considerati molto significativi riguardo all’impatto immediato delle riforme del lavoro attuate progressivamente tra il 2012 e il 2015: due dati entrambi sorprendenti se considerati isolatamente, ma resi ancor più sorprendenti se considerati congiuntamente. Il primo è quello che vede una sostanziale invarianza, negli ultimi anni, del numero dei licenziamenti in rapporto al numero dei contratti di lavoro a tempo indeterminato in essere, siano essi costituiti prima dell’entrata in vigore della riforma del 2015, o dopo. Un dato, questo, che per un verso smentisce nel modo più netto la tesi secondo cui la riforma avrebbe “precarizzato” i rapporti di lavoro nel nostro Paese; per altro verso, obbliga a una riflessione approfondita sul peso relativo che hanno la legge da un lato, dall’altro la cultura diffusa e le relazioni sindacali, nel determinare i comportamenti degli imprenditori e in particolare la loro propensione all’esercizio della facoltà di recedere dal rapporto con i dipendenti. Parrebbe che una riduzione incisiva del vincolo al recesso produca, almeno nel breve periodo, una fluidificazione del tessuto produttivo e del mercato del lavoro meno rilevante di quanto ci si sarebbe atteso.

Il secondo dato sorprendente, solo apparentemente contraddittorio rispetto al primo, è quello che dà conto della drastica riduzione del contenzioso giudiziale registratasi fra il 2012 – anno nel quale è entrata in vigore una prima parte della riforma dei licenziamenti e dei contratti a termine – e la metà del 2017. I dati forniti dal ministero della Giustizia consentono di quantificare questa riduzione intorno ai due terzi. Gli stessi dati dicono, per converso, che questa riduzione si sta verificando soltanto nel settore del lavoro privato: in quello del pubblico impiego, dove né la riforma del 2012 né quella del 2015 hanno avuto applicazione, il flusso dei nuovi procedimenti iscritti a ruolo resta sostanzialmente invariato. Il che autorizza a ipotizzare, in attesa di verifiche più rigorose, che siano proprio quelle due riforme la causa del fenomeno osservato.

Questa riduzione drastica del tasso di contenzioso giudiziale costituisce un fatto positivo di grande rilievo, non solo per l’amministrazione della Giustizia, ma anche e soprattutto per il sistema delle relazioni industriali; e indirettamente anche per l’efficienza del sistema economico nel suo complesso. Il tasso di contenzioso giudiziale italiano in materia di lavoro costituiva un’anomalia negativa, nel panorama europeo: solo in Italia la regola era che ogni licenziamento fosse accompagnato da un ricorso al giudice del lavoro e che dunque il severance cost per entrambe le parti fosse normalmente appesantito dalle spese legali e dall’alea di un giudizio sulla quale pesa sempre molto l’imprevedibilità dell’orientamento personale del magistrato cui il procedimento sarà affidato. Solo in Italia avvocati e giudici erano di fatto protagonisti di primaria importanza del sistema delle relazioni industriali.

Il fatto che quell’anomalia stia avviandosi a essere superata, in parallelo con l’allineamento del nostro diritto del lavoro rispetto allo standard prevalente nei grandi Paesi occidentali, costituisce un progresso importante nella direzione di una maggiore attrattività dell’Italia per gli investitori stranieri. Che è la precondizione, insieme alla riduzione del debito pubblico e dunque della pressione fiscale, per quella crescita economica senza la quale non può crescere né il potere contrattuale né il benessere dei lavoratori.

http://www.pietroichino.it/?p=47551
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Re: Ichino su Jobs Act ed i suoi effetti

Messaggioda ranvit il 04/12/2017, 12:30

Condivido totalmente. 8-)
Quello che non va bene è che nonostante il Jobs Act si consente alle imprese di usare a dismisura il tempo determinato!!! :mrgreen:
Il 60% degli italiani si è fatta infinocchiare votando contro il Referendum che pur tra errori vari proponeva un deciso rinnovamento del Paese...continueremo nella palude delle non decisioni, degli intrallazzi, etc etc.
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Re: Ichino su Jobs Act ed i suoi effetti

Messaggioda Robyn il 04/12/2017, 12:47

Secondo Ichino il contenzioso giudiziario si riduce solo se si elimina il diritto alla difesa cioè non devono esistere più giudici a Berlino scaricando le spese processuali sul lavoratore in contrasto alla costituzione che fornisce assistenza alle fasce più svantaggiate.I paesi del nord europa hanno una minore incidenza di ricorsi e minore rigidità nei rapporti di lavoro perche sono più civili sul lavoro licenziano solo se veramente esistono delle cause.Il contenzioso giudiziario diminuisce con la fase conciliativa non solo nei licenziamenti ,ma anche nelle altre cause come ad ex gli elementi retributivi se prima di intraprendere un ricorso c'è una pausa di riflessione che permetta di trovare un'intesa in ambito aziendale,diminuisce se si riforma la giustizia civile portandola ad un solo grado di giudizio e l'apertura di un ricorso solo previo parere positivo di un'organo paritetico in ambito giudiziale,(se si riducono i tempi in cui si può presentare ricorso da 180 giorni a due settimane).Poi altra illusione è racchiudere tutte le forme di flessibilità previste dalla Biagi nel contratto a protezioni crescenti.La riforma ha dato mano libera alla parte peggiore dell'imprenditoria scardinando notevolmente l'equilibrio lavoratore datore di lavoro e a nulla vale il mito dell'intoccabilità.Prevedendo due regimi diversi ha scaricato interamente la flessibilità sui giovani irrigidendo da un'altra parte il mercato del lavoro.In merito a furti, litigio,danneggiamento se il fatto è stato commesso non c'è reintegrazione e se di una certa gravità non c'è neanche l'indennità.Tuttavia se il fatto è stato commesso ma è lieve e sarebbe stata possibile una sanzione disciplinare ad ex un presunto e lieve danneggiamento per lo più involontario il giudice applica l'indennità perche per queste cause lievi si sarebbe potuto applicare una sanzione disciplinare.In questo modo si stà attenti a licenziare per cause lievi come dimenticanza di una chiave inglese per non pagare un'indennità che è in funzione della grandezza aziendale e che varia da 6 ad un massimo di 24 mensilità
X ranvit per fare in modo che il determinato sia usato solo se necessario il costo del lavoro indeterminato deve essere molto più basso e non una semplice foglia di fico
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