Certo è che appare altamente improbabile che non ci sia nessuna relazione tra la malaria contratta da Sofia ed il ricovero nello stesso reparto per la stessa malattia dei due fratellini del Burkina Faso.
Ma quali che siano le dinamiche di questo caso, penso che è da pazzi incoscienti ritenere che lo sbarco incontrollato di centinaia di migliaia di africani, abbandonati in gran parte, dopo un breve periodo di finta "integrazione", nella totale illegalità, potesse avvenire senza alcuna conseguenza non solo sul piano della sicurezza, ma anche dal punto di vista sanitario.
Minniti è l'eroe del momento, perché è l'unico che si sta muovendo cercando di gestire in qualche modo il problema.
Certo, meglio di niente. Ma sarebbe un grave errore ritenere che il problema sia risolto, con la riduzione di un 30% del numero degli sbarchi.
Il problema costituito da un milione (o forse più) di persone in circolazione nel paese, di cui non sappiamo praticamente nulla, né come né dove e di che cosa vivono, mi pare che sia stato rimosso colpevolmente.
Manca, mi sembra, la consapevolezza, al di là delle speculazioni di destra e di sinistra, che episodi come questo possono essere dei campanelli d'allarme che stiamo sottovalutando.
Sarebbe il caso guardare in faccia al problema, senza allarmismi ma senza facili sottovalutazioni, in modo razionale ma deciso.
Ma è quanto mai improbabile che ciò accada, soprattutto in questa lunghissima campagna elettorale.
Sofia, la bimba morta di malaria: l’ultima estate tra spiaggia e ricoveri: «Temeva gli aghi, era sempre in braccio»
I ricoveri della piccola: il primo il primo il 13 agosto, per una forma diabetica. Poi in ospedale altre due volte. Dal 16 al 21 agosto a Trento e ancora il 31 per febbri alte e forte mal di gola. Dimessa con la diagnosi di laringite e terapia di antibiotici
di Giusi Fasano
Una ghirlanda di fiori bianchi e rosa al collo e gli occhi a guardare fuori campo, distratta da chissà che. Nella foto Sofia è in braccio alla mamma, Francesca. Sorride appena. In un altro scatto è inverno e lei, imbacuccata in un giubbottino bianco, ancora una volta non guarda l’obiettivo ma i suoi guantini tenuti assieme da un filo di lana. Istantanee dall’altra vita, quella vissuta fino a lunedì sera. Sofia non sarà mai più in nessuna fotografia, questa è stata la sua ultima estate. I giochi con la sabbia sulle spiagge di Bibione, quelli con il fratellino più grande, le braccia strette al collo di mamma o di papà. Non restano che immagini, appunto. E un milione di ricordi e sensi di colpa su quello che si poteva capire e non si è capito, su quello che si poteva fare e non si è fatto.
L’ultima settimana
Ma più passano le ore più sembra chiaro che molto, in questa storia, ha fatto il destino, al di là delle eventuali responsabilità che le indagini potranno mettere a fuoco. L’ultima settimana felice di questa bambina è quella prima di ferragosto. Marco Zago e sua moglie Francesca portano al mare i loro piccoli e decidono di non allontanarsi troppo dalla casa in cui vivono, in un quartiere di Trento. Scelgono una delle spiagge venete più famose e passano lì qualche giorno. Ma la cattiva sorte è già in agguato ad aspettare Sofia. La bimba ha il diabete infantile, non sta bene e il 13 di agosto i genitori la portano all’ospedale di Portogruaro, uno dei più vicini a Bibione. Tre giorni dopo è il Santa Chiara di Trento a ricoverarla in pediatria, dove rimarrà dal 16 al 21.
I due fratellini del Burkina Faso
In quegli stessi giorni nella stanza accanto sono ricoverati per malaria anche due fratellini del Burkina Faso e, ripensa adesso il padre di Sofia, «mi ricordo bene di quei due bimbi, li vedevo quando ero con mia figlia nella sala giochi comune. Ma non ricordo che Sofia abbia avuto dei contatti fisici con loro». Anche sua moglie Francesca lo racconta ai pochi che ieri sono riusciti a parlarle: «Sofia aveva paura dell’ospedale e degli aghi, stava sempre in braccio». Marco e Francesca non hanno né rabbia né voglia di fare polemiche. «Non abbiamo elementi per accusare nessuno» ripetono al telefono a chi chiede che cosa faranno adesso. «Adesso è solo tempo di vivere in pace il nostro dolore».
«Laringite»
Ma, tornando ai bimbi della stanza accanto: se anche fossero venuti a contatto con Sofia possibile che si siano scambiati del sangue infetto e che lei abbia contratto così la malaria nella sua forma più grave? La risposta più logica ovviamente è per tutti un no. E poi: perché i due fratellini che pure erano vittime dello stesso ceppo aggressivo della malattia si sono salvati e lei no? I medici qui parlano di «risposta facile». E segnano un’altra tappa del calvario di questa bimba, il 31 agosto. Dieci giorni dopo le dimissioni dal primo ricovero di Trento, il 31 appunto, Marco e Francesca si ripresentano di nuovo in ospedale. La piccola stavolta ha la febbre alta, ha mal di gola. I medici del pronto soccorso la visitano, prescrivono antibiotici e la rimandano a casa con la diagnosi di laringite. Ma la febbre non cala. Lei sta sempre peggio e il giorno 2, sabato scorso, i genitori i ripresentano di nuovo al Santa Chiara. Sofia non è più cosciente, è gravissima, nel giro di poche ore entra in coma mentre gli esami dell’emocromo — dopo le ipotesi di epilessia e meningite — segnalano finalmente la diagnosi esatta: malaria. Ora. La «risposta facile» sul perché lei sia morta e i due fratellini siano guariti sta nei tempi dell’intervento. Da quando è salita la febbre (sembra già fra giovedì e venerdì scorsi) a quando si è arrivati alla diagnosi esatta (passaggio dal pronto soccorso incluso) sono passati giorni preziosi. Per capire quanto preziosi basti pensare che ogni 48 ore i parassiti si decuplicano. E in più il fisico di Sofia era già debilitato dal diabete. Nessuno ha collegato la febbre alla malaria, semplicemente perché la bimba era stata in vacanza a Bibione, non in Africa. E perché di quelle zanzare dalla puntura mortale in Italia non c’era traccia da molti decenni. Fino al giorno e al luogo dove la cattiva sorte aveva dato appuntamento a Sofia.
5 settembre 2017 (modifica il 6 settembre 2017 | 09:35)