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La politica senza potere nell’Italia del non fare

Discussioni e proposte, prospettive e strategie per il Paese

La politica senza potere nell’Italia del non fare

Messaggioda ranvit il 22/07/2017, 11:23

RIFORME IMPOSSIBILI
La politica senza potere nell’Italia del non fare
Nessun Parlamento, nessun governo, nessun sindaco, può pensare davvero di far pagare le tasse a chi dovrebbe pagarle, di avere una burocrazia fedele alle proprie direttive, di licenziare tutti i mangiapane a tradimento che andrebbero licenziati, di ridurre l’enorme area del conflitto d’interessi, di stabilire reali principi di concorrenza
di Ernesto Galli della Loggia

Perché da anni in Italia ogni tentativo di cambiare in meglio ha quasi sempre vita troppo breve o finisce in nulla? Perché ogni tentativo di rendere efficiente un settore dell’amministrazione, di assicurare servizi pubblici migliori, una giustizia più spedita, un Fisco meno complicato, una sanità più veloce ed economica, di rendere la vita quotidiana di tutti più sicura, più semplice, più umana, perché ognuna di queste cose in Italia si rivela da anni un’impresa destinata nove volte su dieci ad arenarsi o a fallire? Perché da anni in questo Paese la politica e lo Stato sembrano esistere sempre meno per il bene e l’utile collettivi?
La risposta è innanzi tutto una: perché in Italia non esiste più il Potere. Se la politica di qualunque colore pur animata dalle migliori intenzioni non riesce ad andare mai al cuore di alcun problema, ad offrire una soluzione vera per nulla, dando di sé sempre e solo l’immagine di una monotona vacuità traboccante di chiacchiere, è per l’appunto perché da noi la politica, anche quando vuole non può contare sullo strumento essenziale che è tipicamente suo: il Potere. Cioè l’autorità di decidere che cosa fare, e di imporre che si faccia trovando gli strumenti per farlo: che poi si riassumono essenzialmente in uno, lo Stato. Al di là di ogni apparenza la crisi italiana, insomma, è innanzi tutto la crisi del potere politico in quanto potere di fare, e perciò è insieme crisi dello Stato.
Beninteso, un potere politico formalmente esiste in questo Paese: ma in una forma puramente astratta, appunto. Di fatto esso è condizionato, inceppato, frazionato. Alla fine spappolato. In Italia, di mille progetti e mille propositi si riesce a vararne sì e no uno, e anche quell’uno non si riesce mai a portare a termine nei tempi, con la spesa e con l’efficacia esistenti altrove. Non a caso siamo il Paese del «non finito»; del «non previsto»; dei decreti attuativi sempre «mancanti»; dei finanziamenti iniziali sempre «insufficienti», e se proprio tutto fila liscio siamo il Paese dove si può sempre contare su un Tar in agguato. Il potere italiano è un potere virtualmente impotente.
Perché? La risposta conduce al cuore della nostra storia recente: perché ormai la vera legittimazione del potere politico italiano non deriva dalle elezioni, dalle maggioranze parlamentari, o da altre analoghe istanze o procedure. Svaniti i partiti come forze autonome, come autonome fonti d’ispirazione e di raccolta del consenso, l’autentica legittimazione del potere politico italiano si fonda su altro: sull’impegno a non considerare essenziale, e quindi a non esigere, il rispetto della legge.
È precisamente sulla base di un simile impegno che la parte organizzata e strutturata della società italiana — quella che in assenza dei partiti ha finito per essere la sola influente e dotata di capacità d’interdizione — rilascia la propria delega fiduciaria a chi governa. Sulla base cioè della promessa di essere lasciata in pace a fare ciò che più le aggrada; che il comando politico con il suo strumento per eccellenza, la legge, si arresterà sulla sua soglia. Che il Paese sia lasciato in sostanza in una vasta condizione di a-legalità: come per l’appunto è oggi. È a causa di tutto ciò che in Italia nessun Parlamento, nessun governo, nessun sindaco, può pensare davvero di far pagare le tasse a chi dovrebbe pagarle, di avere una burocrazia fedele alle proprie direttive, di licenziare tutti i mangiapane a tradimento che andrebbero licenziati, di ridurre l’enorme area del conflitto d’interessi, di stabilire reali principi di concorrenza dove è indispensabile, di imporre la propria autorità ai tanti corpi dello Stato che tendono a voler agire per conto proprio (dalla magistratura al Consiglio di Stato, ai direttori generali e capi dipartimento dei ministeri), di tutelare l’ordine pubblico senza guardare in faccia a nessuno, di anteporre e proteggere l’interesse collettivo contro quello dei sindacati e dei privati (dalla legislazione sugli scioperi alle concessioni autostradali) e così via elencando all’infinito. Il risultato è che da anni qualsiasi governo è di fatto in balia della prima agitazione di tassisti, e lo Stato è ridotto a dover disputare in permanenza all’ultimo concessionario di una spiaggia i suoi diritti sul demanio costiero.
In Italia, insomma, tra il potere del tutto teorico della politica da un lato, e il potere o meglio i poteri concreti e organizzati della società dall’altro, è sempre questo secondo potere a prevalere. Da tempo la politica ha capito e si è adeguata, rassegnandosi a non disturbare la società organizzata e i suoi mille, piccoli e grandi privilegi. Il che spiega, tra l’altro, perché qui da noi non ci sia più spazio per una politica di destra davvero contrapposta a una politica di sinistra e viceversa: perché di fatto c’è spazio per una politica sola che agisca nei limiti fissati dai poteri che non vanno disturbati. Da quello dei parcheggiatori abusivi a quello delle grandi società elettriche che possono mettere pale eoliche dove vogliono.
Ma in un regime democratico, alla fine, il potere della politica è il potere dei cittadini, i quali solo grazie alla politica possono sperare di contare qualcosa. Così come d’altra parte è in virtù del potere di legiferare, cioè grazie allo strumento della legge, che il potere della politica è anche l’origine e il cuore del potere dello Stato e viceversa. Una politica che rinuncia a impugnare la legge, a far valere comunque il principio di legalità, è una politica che rinuncia al proprio potere e allo stesso tempo mina lo Stato decretandone l’inutilità. Rinuncia alla propria ragion d’essere e si avvia consapevolmente al proprio suicidio. Non è quello che sta accadendo in Italia?
Il 60% degli italiani si è fatta infinocchiare votando contro il Referendum che pur tra errori vari proponeva un deciso rinnovamento del Paese...continueremo nella palude delle non decisioni, degli intrallazzi, etc etc.
ranvit
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Re: La politica senza potere nell’Italia del non fare

Messaggioda mariok il 23/07/2017, 10:56

La debolezza della politica (io la chiamerei inettitudine) non può non riflettersi anche sul piano internazionale.

Mentre noi stiamo a dilaniarci su Europa sì - Europa no, battere o non battere i pugni (più che sul tavolo, in realtà in aria), il mondo si muove ed ognuno, come è doveroso, bada ai propri interessi (quelli nazionali).

Già sento le lamentazioni su quanto siamo buoni ed ingenui noi e quanto sono cattivi gli altri.

Ed invece dovremmo probabilmente guardarci dentro partendo proprio dall'analisi di Galli della Loggia.

Molinari parla di creatività e strategia. Ma per avere una strategia, bisognerebbe prima sentirsi parte di una comunità nazionale, non membri di corporazioni in perenne conflitto tra loro.

Le quattro novità d’Europa

Illustrazione di Irene Bedino

Pubblicato il 23/07/2017
Ultima modifica il 23/07/2017 alle ore 07:18
MAURIZIO MOLINARI

A tredici mesi dalla Brexit l’Unione Europea è un cantiere di iniziative che promettono di ridisegnare gli equilibri nel Vecchio Continente ma in nessuna di queste l’Italia ha, per ora, un ruolo da protagonista.


In un’Europa scossa, o forse scongelata, dal referendum sull’uscita della Gran Bretagna le maggiori iniziative in corso sono quattro: la convergenza fra Parigi e Berlino per un’Eurozona più coesa; la volontà dell’Eliseo di creare con la Casa Bianca un relazione speciale sulla sicurezza; la determinazione della Germania nel rafforzare il legame economico con Pechino per arrivare ad un accordo sul libero commercio; il summit dei «Tre Mari» fra 12 nazioni dell’Europa centro-orientale e gli Stati Uniti sullo sviluppo di energia ed infrastrutture.

Su ognuno di questi fronti i protagonisti accelerano, puntando a creare nuove geometrie politiche ed economiche. Dimostrando una consistente volontà di innovare l’Europa nelle sue istituzioni comunitarie ed anche nel legame con i giganti americano e cinese.

Sul fronte dell’Eurozona il presidente francese Emmanuel Macron e la cancelliera Angela Merkel condividono la volontà di creare un ministro delle Finanze per la moneta unica, hanno spinto l’Ue a dotarsi di un fondo sulla difesa comune, hanno siglato l’accordo per un nuovo jet, cercano l’intesa sul nome di chi nel 2019 sostituirà Mario Draghi alla guida della Bce e promettono di diventare ancora più concreti nel rafforzare il nucleo dell’Unione Europea dopo le elezioni tedesche del 24 settembre. Per avere un’idea di cosa si prepara bisogna ascoltare Macron quando spinge la Germania tanto a «sfruttare il proprio surplus per far crescere i Paesi Ue più deboli» quanto ad «assumersi più responsabilità sulla difesa». Ovvero, la gara franco-tedesca sarà sul rilancio dell’Ue.

Sul fronte franco-americano le novità non sono da meno perché Macron, d’intesa con il presidente Donald Trump, è all’offensiva: prima ha siglato con cinque Paesi del Sahel il patto per una forza anti-terrorismo di 4000 uomini da impiegare in Africa Occidentale contro i gruppi jihadisti a fianco del contingente francese, in Mali dal 2013; poi ha condiviso con Washington l’approccio alla Siria basato sull’impegno a ricorrere alla forza «se Assad userà le armi chimiche» e sull’invio di truppe speciali a fianco delle forze ribelli addestrate dal Pentagono; e infine vuole prendere le redini della crisi libica invitando a Parigi il premier Sarraj e il rivale Haftar per convincerli a creare un esercito unico, con il sostegno di Egitto, Marocco ed Arabia Saudita. Sono mosse che nascono dalle convergenze di approccio Macron-Trump, esaltate dal cerimoniale militare del giorno della Bastiglia e rafforzate dall’intesa fra le coppie presidenziali - incluse Melania e Brigitte - suggellata dalla cena al ristorante stellato Michelin sulla Torre Eiffel.

Sul fronte sino-tedesco l’orizzonte è forse ancora più ambizioso perché la recente visita in Germania del presidente Xi Jinping ha visto Angela Merkel immaginare di trasformare l’attuale ruolo di primo partner economico europeo di Pechino in un tassello strategico del progetto «One Belt, One Road» - la nuova Via della Seta - fino ad arrivare a un accordo di libero scambio capace di avere un impatto profondo sugli scambi globali. Berlino non fa mistero di temere le acquisizioni cinesi di aziende hi-tech - come avvenuto con Kuka Robotics - ma tali paletti servono proprio a preparare il negoziato che verrà. Tanto più che l’arrivo nello zoo di Berlino dei panda Jiao Ping e Meng Meng evoca l’apertura di Nixon a Mao nel 1972, anch’essa accompagnata dalla «diplomazia dei panda».

Ultima, ma non per importanza, l’iniziativa dei «Tre Mari» perché nel recente summit a Varsavia di Trump con i leader dell’Est e dei Balcani si è parlato di progetti assai concreti: forniture di gas liquefatto Usa dai porti polacco di Sminoujscie e croato di Krk, oleodotti dal Mar Nero all’Adriatico, ricostruzione delle fatiscenti infrastrutture dell’era sovietica e commesse di armamenti. In un’atmosfera segnata dalla volontà dell’Europa ex comunista di essere più vicina a Washington che a Bruxelles, per proteggersi dalle crescenti minacce di Mosca.

Ciò che colpisce è come ognuna di queste quattro novità europee abbia radici nella Storia dei protagonisti. Il dialogo fra Parigi e Berlino sul rilancio della costruzione europea rilucida le idee dei padri fondatori Jean Monnet e Robert Schuman, la convergenza franco-americano sulla sicurezza evoca l’alleanza che consentì agli Stati Uniti di diventare indipendenti nel 1776, la partnership sino-tedesca ripropone la visione di Bismarck sulla Germania proiettata verso Oriente, e il summit dei «Tre Mari» conferma il legame privilegiato degli ex Paesi comunisti con l’America che vinse la Guerra Fredda.

Davanti a tali e tante novità che si affollano sul palcoscenico europeo l’Italia appare in ritardo: imprigionata nel Mediterraneo da un’emergenza sui migranti che non riesce a risolvere, indebolita in Libia dalle rivalità con gli altri partner europei e dal congelamento dei rapporti con l’Egitto, priva di un ambizioso progetto di rilancio della costruzione europea e con all’orizzonte una scadenza elettorale che potrebbe veder prevalere i partiti della protesta. Sono limiti e difficoltà che imprigionano il nostro interesse nazionale perché per farsi spazio nell’Europa del post-Brexit serve creatività strategica.
« Dopo aver studiato moltissimo il Corano, la convinzione a cui sono pervenuto è che nel complesso vi siano state nel mondo poche religioni altrettanto letali per l'uomo di quella di Maometto» Alexis de Tocqueville
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Re: La politica senza potere nell’Italia del non fare

Messaggioda pianogrande il 23/07/2017, 11:05

Le comunità si formano sulla base di accordi.

Gli accordi risultano da un potere contrattuale.

Il resto viene dopo; compresi i richiami agli altissimi ideali dei padri fondatori e i pugni sul tavolo.

Così funziona l'Europa e così funziona ogni singolo paese.

Allora la domanda è: quale è il potere contrattuale della buona politica?

Evidentemente scarsissimo; fino al punto di chiedersi se la buona politica esista.
Fotti il sistema. Studia.
pianogrande
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