Tutte in parte convincenti ed obbiettive ed in parte improbabili ed interessate.
Mi sembra tuttavia che ce ne sia una probabilmente più verosimile delle altre, che attribuisce alla politica dell'immigrazione buona parte delle cause che hanno determinato le scelte degli elettori.
Grillo (che deve avere un buon ufficio marketing- probabilmente quello della Casaleggio associati) lo ha intuito ed ha cercato di agganciare il tema, ma ci è arrivato evidentemente troppo tardi. Anche perché si tratta di una prateria che appartiene storicamente al centro-destra.
Il PD (e con esso tutto il centrosinistra tradizionale) ha portato avanti la peggiore politica possibile, talmente suicida da non trovare una plausibile spiegazione se non nelle più fantasiose ipotesi di inconfessabili interessi.
L'invenzione poi di Minniti, quella di "spalmare" in tutti i comuni i flussi di immigrati, è stata un vero colpo di genio che è riuscito a trasformare sacche di dissenso concentrate in alcune aree in una incazzatura generale di dimensioni nazionali.
L'altra questione più generale, che ha trovato conferma anche in questa circostanza, riguarda la figura di Renzi e la sua perdita di ogni potere attrattivo personale (una volta determinante per le performance elettorali del PD) nei confronti di un buon 10% dell'elettorato.
E' veramente ridicolo che il segretario di un partito debba starsene defilato durante la campagna elettorale, evidentemente consapevole che un suo intervento avrebbe causato più danni che effetti positivi.
Personalmente è dal 4 dicembre che sostengo che la scelta migliore che avrebbe dovuto fare era quella di mettersi fuori dai giochi se non definitivamente almeno per un lungo periodo.
Ed i fatti sembrano darmi ragione. Anche se la prospettiva di un governo Grillo-Casaleggio + qualche burattino telecomandato o di una riedizione Berlusconi-Salvini del centrodestra mi appare in tutta la sua drammaticità.
La débâcle del centrosinistra, Renzi non può fare finta di nulla
Pubblicato il 26/06/2017
Ultima modifica il 26/06/2017 alle ore 00:55
RICCARDO BARENGHI
Peggio di così non poteva andare. E non solo per Matteo Renzi, non solo per il Partito democratico. Ma per tutta la sinistra italiana, o quasi. In tutte le città in cui il candidato di centrosinistra è riuscito ad arrivare al ballottaggio (tranne eccezioni come a Padova) ha perso. E non contro i temibili grillini, quelli che turbano il sonno dei democratici. Ha perso contro il centrodestra, di nuovo miracolosamente unito (chissà fino a quando). Contro Berlusconi insomma, e contro Salvini. Come se non fossero passati 23 anni da quando la sinistra venne sconfitta dal Cavaliere apparso sulla scena politica come un coniglio dal cilindro del mago e che oggi riappare come un fantasma castigatore.
Nessuno pensa che la storia si ripeta tale e quale, in questi 23 anni è successo di tutto, Berlusconi non è più quello di allora, Salvini non è Bossi, Grillo non esisteva se non nei teatri e la sinistra era un’altra cosa. E soprattutto queste erano elezioni locali, molto locali, che non dovrebbero avere un valore politico nazionale.
Non dovrebbero ma invece ce l’hanno, soprattutto perché non sono le prime consultazioni amministrative che puniscono il Partito democratico praticamente ovunque, addirittura a Genova che è sempre stata una roccaforte rossa, addirittura a Sesto San Giovanni denominata la Stalingrado d’Italia, e nella sua roccaforte toscana, come Carrara dove vince il candidato dei Cinquestelle. Basti pensare alle sconfitte subite a Roma e a Torino l’anno scorso, a quella regionale in Liguria, solo per citare le tre più importanti. Alle quali si può aggiungere la mancata riconquista della Napoli di De Magistris. Si tratta allora di una vera e propria lezione che questi elettori “locali” hanno voluto impartire al centrosinistra, a cominciare dal Pd per finire con le mille anime e animelle della sinistra diffusa. Una lezione che si somma a quella del 4 dicembre, quando il 60 per cento degli italiani ha brutalmente bocciato la riforma costituzionale voluta dal governo e che è costata a Renzi la poltrona di premier.
Il quale Renzi aveva evidentemente intuito quello che stava per succedere, tanto che si è tenuto rigorosamente lontano dalla battaglia elettorale. In alcuni casi anche perché i suoi dirigenti locali lo hanno caldamente invitato a non farsi vedere, sostenendo che la sua presenza sarebbe stata controproducente. Ma la sua assenza non è bastata, il vento ormai soffiava da un’altra parte. Dalla parte di chi - oggi il centrodestra, ieri e forse domani i Cinquestelle – sta all’opposizione nel Paese (forse ancora per pochi mesi). Non sappiamo cosa pensi di fare Renzi, non ha parlato. Difficile che si dimetta da segretario dopo due mesi dalle primarie che lo hanno incoronato per la seconda volta, può sempre sostenere che si tratta di elezioni locali facendo finta di non vedere tutto l’insieme. Ma se anche restasse leader del Pd, sbaglierebbe se facesse finta di niente. Il segnale che arriva è chiaro e forte, e dice che questo Pd non funziona. E con esso non funziona neanche la galassia che lo circonda, da Mdp a Pisapia. In poche parole, oggi in Italia non funziona la sinistra.
Eppure ci sono milioni e milioni di persone che si sentono di sinistra e non intendono passare da un’altra parte. Magari oggi non votano, probabilmente non si sentono rappresentati per quello che pensano e chiedono al loro (ex) partito. Ma un domani potrebbero tornare a casa, a condizione che quella casa o quelle case vengano ricostruite e rese confortevoli. Un compito che spetterebbe a Renzi, se solo ne avesse la voglia e la capacità. Facendo ovviamente un enorme sforzo su se stesso per diventare finalmente il leader del Partito e non l’uomo immagine che punta esclusivamente al governo, cioè al potere personale. Oppure, se lui non fosse in grado di mettersi al lavoro con umiltà, caratteristica che non fa certo parte della sua storia, sarebbe il caso che passasse la mano a qualcun altro. Prima che la sinistra italiana venga dichiarata estinta dagli elettori.