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Macron ce la fara?

Discussioni e proposte, prospettive e strategie per il Paese

Re: Macron ce la fara?

Messaggioda mariok il 25/04/2017, 10:01

«Il dato francese è rappresentato dalla fine del ciclo delle vecchie famiglie politiche che hanno caratterizzato la scena francese. Il rapporto ormai è fra il candidato e gli elettori. Bisogna fare tesoro di questa esperienza, figlia della nuova politica che si veicola attraverso internet, senza la mediazione dei grandi partiti politici. Può piacere o non piacere, si può essere d’accordo o meno, essere contenti o meno di questa evoluzione ma occorre prenderne atto. Chi non lo fa sarà spazzato via».

Ma Letta non era tra quelli che accusavano Renzi di voler distruggere il PD per farsi il suo partito personale?

I politicanti nostrani non se ne lasciano sfuggire una per sparare le loro balle del momento.

Persino brunetta arriva a a dire «Macron è un lib-lab. Come lo sono io» :lol: :lol:

Avanti un altro: c'è posto per tutti.


Dall’ex premier a Letta e Calenda, i troppi aspiranti Macron italiani

Pubblicato il 25/04/2017
Ultima modifica il 25/04/2017 alle ore 07:14
JACOPO IACOBONI
È facile essere Macron in Francia, il difficile - e forse tragico - è cercare di esserlo in Italia, col proporzionale, senza doppio turno e senza barrage républicain. La fila è lunga ma, sostanzialmente, si riduce a tre personaggi (alcune comparse offrono simpatiche chiose al tema).


Il primo personaggio è Matteo Renzi. Dice che «la vittoria di Macron potrebbe dare molta forza a chi vuole cambiare l’Europa. Chi ama l’ideale europeista sa che gli avversari sono i populismi». Poi precisa: «Ma sa anche che l’Europa è un bene troppo grande per essere lasciato ai soli tecnocrati». Renzi sta puntando tutto, e da anni, anche da prima di Macron, va detto, sul superamento della sfida tra sinistra e destra, ma capisce che, per come si sono messe le cose per lui nell’Italia 2017, la battaglia ai partiti populisti, o cyberfascisti, rischia di collocarlo dalla parte dell’establishment, delle odiate élite. E così sì, vorrebbe essere il Macron italiano, ma accentuando un profilo critico verso l’Europa esistente finisce per allontanarsene troppo: «L’elezione diretta del presidente della commissione, il cambio di paradigma della politica economica, l’Europa sociale, un piano per le periferie, la difesa comune e nuove politiche sulle reti e sulla ricerca: questo chiederemo a Bruxelles».

«Il problema è che in Italia nessuno ha avuto non l’ambizione di Macron, quella ce l’hanno, ma la sua visione strategica: mettersi fuori dal sistema dei partiti», riflette Alessandro Campi, politologo mai scontato. «In Italia tutti parlano del cambiamento, ma restano ancorati a forme di politica tradizionale. A Renzi fu anche suggerito, a un certo punto, di uscire dal Pd, di farsi un partito suo, e magari chiamarlo “In Cammino”». Uno scatto che non ha avuto. L’avranno altri, magari Calenda?

Certo altri aspiranti Macron italiani sanno muoversi con più efficacia e agganci, almeno europei, sul presupposto - macroniano - che la vittoria contro i populismi arriverà solo da un vero partito europeista, oltre i partiti tradizionali, distante parecchio dalla retorica del «siamo per l’Europa, ma un’Europa diversa». E qui gioca, di sfondo, la figura di Enrico Letta (uomo che peraltro ha un rapporto personale, con Macron). L’ex premier continua a non avere contatti con Renzi, ma gioca una partita impossibile da ridurre al bersanismo. Difficile che ottenga di nuovo una chance di leadership in tempi brevi, ma non intelligente anche pensare di poterne fare a meno, per com’è messa l’Italia.

Lui lo sa, e da Sciences Po, dove aspetta gli eventi sulla riva del fiume, suggerisce un’analisi su Macron significativamente diversa da Renzi: «Il dato francese è rappresentato dalla fine del ciclo delle vecchie famiglie politiche che hanno caratterizzato la scena francese. Il rapporto ormai è fra il candidato e gli elettori. Bisogna fare tesoro di questa esperienza, figlia della nuova politica che si veicola attraverso internet, senza la mediazione dei grandi partiti politici. Può piacere o non piacere, si può essere d’accordo o meno, essere contenti o meno di questa evoluzione ma occorre prenderne atto. Chi non lo fa sarà spazzato via». Dove, a parte la curiosa inversione delle parti con Renzi, appare evidente che il macronismo di Letta è un europeismo post-partiti, quello di Renzi un preteso, e rischioso, europeismo anti-establishment.

Così potrebbe pure spuntare, in questa corsa, Carlo Calenda, un uomo capace, amato al Quirinale, all’impresa italiana, non troppo connotato politicamente col centrosinistra, anzi. In questo, davvero molto macroniano. E infatti Calenda si smarca dalla gara (ieri s’è limitato a una riflessione classicamente europeista - «il risultato di Macron fondamentale per la tenuta dell’Ue» - ma ha anche lievemente preso in giro, indirettamente, alcuni rivali: «La gara italica a chi è più Macron è sintomo di debolezza e provincialismo»). Macron sarebbe insomma, ci ricorda lui, l’Ena, banche importanti, studi prestigiosi, cosmopolitismo, apertura sui diritti, cultura metropolitana.

Ci sarebbero, poi, anche nel centrodestra emulazioni varie. A Stefano Parisi piacerebbe, occupare quello spazio geografico centrale della politica (anche se «augurarsi la vittoria di Macron non vuol dire condividere le politiche economiche e sociali che propone»). Renato Brunetta coltiva un gusto più rapido, comunque definitivo nel suo genere, più Macron di Macron: «Macron è un lib-lab. Come lo sono io».
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Re: Macron ce la fara?

Messaggioda pianogrande il 25/04/2017, 12:12

Tutto questo nuovo portato dai vecchi è solo propaganda di uno stampo, anche quello, vecchissimo.

Questi qua trascurano il dato principale e cioè che Macron è giovane e quindi un po' più nuovo di loro.
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Re: Macron ce la fara?

Messaggioda mariok il 25/04/2017, 16:36

Prima parte interessante, da leggere. Soprattutto dove mette in evidenza che molti dei nostri politici (Renzi in testa, anche senza nominarlo) si illudono se pensano che grazie a Macron potranno mettere nell'angolo la Germania e continuare a spandere e spendere come gli pare.

Nella seconda parte c'è la solita difesa della sua fallimentare esperienza politica.

La sua è una verità solo parziale. Omette di dire che la sua azione riformatrice (dopo la riforma fornero) si è di fatto bloccata, soprattutto quando si è trattato di toccare certi poteri forti ponendo mano alle promesse liberalizzazioni mai attuate.

C'è da dire che probabilmente non fu solo colpa sua, ma soprattutto delle forze politiche che avrebbero dovuto sostenerlo. Resta però il fatto che non ebbe quel coraggio che ci si aspettava e che avrebbe dovuto portarlo anche a gesti forti come le dimissioni di fronte ai crescenti condizionamenti ai quali era sottoposto.


INTERVISTA SU EMMANUEL MACRON
Intervista di Maurizio Crippa a Mario Monti
Il Foglio, 25 aprile 2017
Milano. Conoscere Emmanuel Macron da dieci anni, cioè da quando nel 2007 entrò a far parte come vice-segretario della Commissione Attali per la liberazione della crescita, significa in pratica conoscerlo dagli esordi dell’attività pubblica. All’epoca Macron di anni ne aveva 29, Mario Monti 64 ed era già stato due volte commissario europeo. Fu (anche) in quel lavoro rigorosamente “non partisan” che Macron forgiò parte della sua visione europea. Monti poi ebbe altre occasioni di contatto stretto, quando il giovane consigliere economico di François Hollande partecipava ai vertici ristretti tra capi di governo. Ne ha sempre tratto un’eccellente impressione personale.
Ma soprattutto, oggi, preferisce sottolineare una “notevole convergenza di vedute” con il candidato all’Eliseo: “Convergenza sul modello di economia necessario all’Europa per vincere la sfida della globalizzazione. Ovvero la convinzione che i paesi avanzati, ma con rilevanti problemi economici come sono appunto la Francia e l’Italia, debbono puntare su riforme strutturali e sullo stimolo della concorrenza, non sperare che i disavanzi pubblici generino crescita”. E convergenza di vedute sotto il profilo dei “rapporti tra l’Unione europea e gli stati membri”.
L’ex premier italiano è l’osservatore adatto per spiegare all’Italia che cosa potrebbe significare l’arrivo al potere di una personalità molto competente ed europeista, post politico ma capace di ascoltare gli elettori come Macron.
Parte dalla visione generale, Monti, ricordando proprio il lavoro ai tempi della commissione Attali: “Né io né Macron siamo a favore della ‘sovranità’ dei mercati. Siamo a favore di regole chiare, fatte rispettare rigorosamente da poteri pubblici imparziali, anche di fronte a poteri economici e finanziari che tendono a prevaricare. Nella commissione Attali – prosegue Monti - ci battemmo per dare alla Francia un’Autorità della concorrenza forte e indipendente dal governo (in meno di un anno la legge fu approvata e nacque la nuova Autorità) e una strategia coerente di liberalizzazioni, contro le rendite di posizione. Alcune liberalizzazioni le avrebbe in seguito varate proprio Macron come ministro dell’Economia.”
Poi c’è l’aspetto politicamente più interessante del tentativo di Macron: il superamento della divisione tra destra e sinistra, la vecchia politica. E’ il punto di novità più evidente di Macron, non solo per la Francia. Di questo necessario superamento l’ex premier italiano è stato un teorizzatore fin da quegli anni (del resto pure Jacques Attali, consigliere di Mitterrand e poi anche di Sarkozy, e ora felice “padrino” ideale di Macron, è un precursore del superamento della vecchia politica) e ne sottolinea la portata non occasionale: “Se si vuole essere riformisti – spiega Monti – ma si deve rimanere nel pendolo dall’alternanza destra-sinistra, finisce che le riforme non si fanno mai. Il pendolo è un limite, e allora bisogna provare a superare questo limite. Bisogna mettersi insieme, magari per periodi limitati, e realizzare quelle riforme che sono necessarie e che di solito sono troppo politicamente costose perchè una sola parte riesca a imporle contro l’altra. Superamento di destra e sinistra significa pensare in termini di sacrifici anche per le proprie constituencies economico-sociali : si fa quanto necessario, e quanto da soli non si riuscirebbe a fare”.
La visione politica di Macron va proprio in questo solco. Certo, si può obiettare che il sistema politico presidenziale francese non è adatto alle grandi coalizioni. Eppure Monti insiste sul punto: “Ho avuto occasione di conversare con Macron qualche mese fa e gli ho suggerito che il ‘pendolo destra-sinistra’ è un limite anche nel sistema francese. Infatti la Francia ha fatto meno di quanto l’Italia ha potuto fare con una grande coalizione, in particolare per uscire dalla crisi finanziaria. Però in questa fase – la necessità per la Francia di fare riforme e al contempo di spingere l’Europa a riformarsi – e per la sua storia politica, Macron è secondo me nelle condizioni ideali per chiedere uno sforzo in questo senso alla politica francese. Uno sforzo che può essere di 3 anni, o di 5, per fare le riforme”. Non una grande coalizione, estranea al sistema francese. Monti preferisce definirlo uno sforzo “più non partisan”. Magari, dopo le elezioni dell’Assemblea nazionale in giugno, Macron (se davvero vincerà il ballottaggio) potrebbe appellarsi all’arco di partiti che l’avranno sostenuto nel secondo turno.
Macron sarebbe la persona adatta. Non soltanto perché è un uomo di profonda cultura e competenza, con in più la legittimazione del voto popolare. Ma anche perché, spiega Monti, possiede “una sottigliezza e una facilità di creare consenso notevolissima. E’ un uomo competente e che apprezza la competenza; è veloce nel decidere, ma non mette l’azione prima della riflessione; e sa unire, sa ascoltare; e ascolta prima di parlare. Tutto questo sarà fondamentale”. (Sempre parlandone al futuro, ovviamente).
Ma che cosa potrebbe provocare in Europa una presidenza Macron? Monti è qui sul suo terreno preferito. Innanzitutto, nota, sarebbe il passaggio “dal danno cessante al lucro emergente. Ho notato già da qualche tempo, e non solo io, che dopo la Brexit l’onda montante dell’antieuropeismo si è affievolita. Il contagio non c’è stato. Ora, con Macron forse vince uno che, secondo i nostri blog dozzinali e secondo alcuni partiti o movimenti che ne sono i ventriloqui, sarebbe il perfetto demonio: tecnocrate, uomo di finanza, a suo agio con il capitalismo anglosassone e, ahimé, amico dei tedeschi”.
Ma la fine del contagio – le elezioni in Germania saranno secondo Monti una rete di sicurezza per l’Europa, che vinca Merkel o Schulz – non deve generare alcuna auto assoluzione. Non toglie l’obbligo di migliorare la Ue. Anche perché sarebbe un abbaglio interpretare male la visione di Macron. Tra i suoi più stretti collaboratori ci sono due conoscenze di Monti. L’europarlamentare Sylvie Goulard, che ha spesso lavorato con Monti e ora affianca Macron sui temi europei, “ha una visione molto vicina alla Germania” e Jean Pisani-Ferry, primo consigliere economico di Macron che con Monti ha fondato nel 2005 il think-tank Bruegel a Bruxelles e ne condivide le idee di rigore ben temperato. La Francia di Macron sarebbe insomma più propensa di quanto lo è stata quella di Hollande alle riforme strutturali, agli equilibri di bilancio. Avrebbe una visione più cooperativa con Berlino.
E questo, dice Monti, può essere un vantaggio per tutta l’Europa, ma anche un rischio per l’Italia: “Negli anni passati, noi abbiamo fatto sforzi di riforma maggiori di quelli della Francia, anche perché avevamo una maggiore esposizione sul debito e verso i mercati, ora le riforme e la riduzione del disavanzo deve farle (anche) la Francia. Questo atteggiamento di collaborazione responsabile in linea con le regole europee consentirà a Parigi di affrontare positivamente con Berlino dossier come la revisione del patto di stabilità, gli investimenti europei.
Ma questa maggior credibilità della Francia chiamerà in causa anche l’Italia. Guai a pensare che una maggior solidarietà franco-tedesca significhi un allentamento dell’attenzione per noi. Significherebbe non aver capito che è necessario cambiare le cose che non funzionano in Italia perché solo così si possono cambiare le cose che vanno cambiate, e certo vanno cambiate, in Europa”.
Una presidenza francese sinceramente europeista, e non europeista malgré lui come spesso era quella di Hollande, segnerebbe, dice Monti, “il ritorno al suo naturale splendore dell’asse franco-tedesco. E siccome la Gran Bretagna non ci sarà più, sarà ancora più strategico. L’Italia è la terza economia europea, con Germania e Francia, ma dovrà decidere se essere co-pensatore di un’Unione riformata, o accontentarsi di accoccolarsi su un gradino più basso, con la Spagna”.
Eccoci all’Italia, dunque. Il Foglio sta sostenendo da qualche settimana una campagna per invitare i partiti europeisti e anti populisti a sottoscrive un accordo politico, prima delle elezioni, che li impegni a fare le cose necessarie che vanno fatte per il paese e per partecipare positivamente all’Europa. Servirebbe anche da noi, insomma, un superamento – almeno temporale – di quel pendolo sinistra-destra che Macron ha proposto ai francesi, ed è stato premiato. Che ne pensa? “Sarei molto d’accordo. Anni fa, in vista di una elezione politica, Luigi Spaventa e io affermammo insieme la stessa cosa, in un articolo a due firme uscito lo stesso giorno, sulla Repubblica e sul Corriere. Ma farlo, oggi, richiede non solo volontà politica ma una trasmutazione di serietà. E almeno un minimo, minimo, rispetto per la realtà”.
E qui l’ex premier che guidò, da tecnico, una coalizione che appunto accettò per qualche tempo il rischio condiviso delle riforme, non fa sconti a nessuno: “Non si può costruire una coalizione europeista e riformista come quella di cui parliamo, mantenendo un duplice falso, e cioè se non si fa chiarezza su due punti.
Il primo, è il falso di quelli che sostengono che quella stagione di riforme condivise, che ci permisero di uscire dalla crisi finanziaria senza il giogo della troika, fu invece un ‘golpe’. Il secondo, è il falso di chi sostiene che l’Italia abbia recuperato il suo ruolo in Europa solo dopo, con l’avvento di un presidente del Consiglio che ha molto alzato la voce in Italia contro l’Europa pensando così di rendere l’Europa più attenta agli interessi italiani. Sono due falsi, e non si può costruire una coalizione europeista coltivando con cinismo un atteggiamento che scarica proprio sull’Europa l’origine dei nostri problemi. Ci chiediamo se il populismo italiano subirà ripercussioni dal voto francese. Ma c’è forse un populismo, per così dire dall’alto, che è stato alimentato anche da questi atteggiamenti delle due principali parti politiche italiane.
Macron, su questo, è stato molto diverso. Forse diventerà cinico in futuro, ma oggi non è falso né sull’Europa né sulle responsabilità della Francia”. Quel che l’Italia può imparare, al momento, è che dovrebbe scrivere “10-15 righe di una versione concordata su come sono andate le cose, e partire da lì. L’Europa ha limiti che vanno superati, un atteggiamento come quello indicato da Macron può dare fiducia anche ai nostri pallidi europeisti”.
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Re: Macron ce la fara?

Messaggioda pianogrande il 26/04/2017, 18:42

Direi che, se c'è un superamento del concetto destra sinistra, questo non può risolversi in una semplicistica negazione ma portarci su parametri sostitutivi.

Il primo parametro sostitutivo ritengo proprio sia Europeisti o non Europeisti.

L'altro è dittatura o democrazia; visto il dilagare di elogi ai dittatori vari nel mondo che (tranne ovviamente in casa nostra dove l'uomo solo al comando turba il sonno dei difensori dello status quo) vengono ritenuti "necessari".

Allora pare che i due fronti (grossolanamente e violentemente ma abbastanza realisticamente) che si stanno formando sono:

- Democrazia e nell'ambito dell'Unione Europea

- Sempre meno democrazia e in nome di un sovranismo liberatorio (da che e per che andrebbe magari definito meglio) anche a costo di dare appoggio (fino all'applauso) a dittatori vari a partire da Putin e passando per Istanbul e per arrivare perfino a Pyongyang.

Questi sono i due fronti che si delineano ormai con sempre maggiore evidenza e il sottoscritto si schiera con il primo senza se, senza ma e con grande voglia di dare una mano.
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Re: Macron ce la fara?

Messaggioda trilogy il 27/04/2017, 8:02

pianogrande ha scritto:Direi che, se c'è un superamento del concetto destra sinistra, questo non può risolversi in una semplicistica negazione ma portarci su parametri sostitutivi....


Che ci sia ormai una fetta consistente di cittadini che non si riconosce nello schema destra e sinistra è un dato evidente.
Poi Macron e Monti sono due tecnocrati.
Se potessero dei partiti e delle elezioni ne farebbero volentieri a meno. In alternativa vedono bene le grandi coalizioni che annacquano tutto e lasciano la gestione del potere effettivo a loro: banchieri, tecnici, burocrati formati nelle scuole di elite.
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Re: Macron ce la fara?

Messaggioda mariok il 27/04/2017, 9:42

trilogy ha scritto:Poi Macron e Monti sono due tecnocrati.
Se potessero dei partiti e delle elezioni ne farebbero volentieri a meno. In alternativa vedono bene le grandi coalizioni che annacquano tutto e lasciano la gestione del potere effettivo a loro: banchieri, tecnici, burocrati formati nelle scuole di elite.

Non so se Macron è un tecnocrate con tendenze addirittura liberticide.

Ma una persona normale non dovrebbe avere dubbi tra lui e Le Pen.

Quanto a Monti, il suo errore è stato quello di pensare di poter fare qualcosa di serio con l'appoggio di vecchie volpi come Bersani, Berlusconi e Casini.

Quando si è accordo che lo avevano usato solo per guadagnare tempo ed ha tentato di mettersi in proprio era ormai troppo tardi.
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Re: Macron ce la fara?

Messaggioda trilogy il 27/04/2017, 10:31

mariok ha scritto:
trilogy ha scritto:Poi Macron e Monti sono due tecnocrati.
Se potessero dei partiti e delle elezioni ne farebbero volentieri a meno. In alternativa vedono bene le grandi coalizioni che annacquano tutto e lasciano la gestione del potere effettivo a loro: banchieri, tecnici, burocrati formati nelle scuole di elite.

Non so se Macron è un tecnocrate con tendenze addirittura liberticide.

Ma una persona normale non dovrebbe avere dubbi tra lui e Le Pen...


Intendiamoci Macron non è un liberticida è un prodotto dell'elite burocratica francese. Fa parte di un club molto esclusivo. Per loro chi dirige lo si sceglie per cooptazione dopo studi durissimi ed esperienze di lavoro qualificate in ambiente internazionale. Grandi aziende multinazionali, banche d'affari. In questo è simile a draghi e moedas, in parte a monti. Sono ottimi tecnici, preparati, possono essere buoni consiglieri del principe, ma in genere pessimi politici.
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Re: Macron ce la fara?

Messaggioda ranvit il 27/04/2017, 11:32

Si, i tecnici dovrebbero fare i.... tecnici.
Il guaio è che i politici europei attuali (non solo in Italia) sono mediocri...
Il 60% degli italiani si è fatta infinocchiare votando contro il Referendum che pur tra errori vari proponeva un deciso rinnovamento del Paese...continueremo nella palude delle non decisioni, degli intrallazzi, etc etc.
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Re: Macron ce la fara?

Messaggioda pianogrande il 27/04/2017, 12:09

E allora sia Monti che Macron (che spero, per la Francia e per l'Europa di avere occasione di conoscere meglio) sono la certificazione della politica che finisce nell'angolo nei momenti difficili.

Nel caso di Monti, una fuga vergognosa dalle responsabilità.
Nel caso di Macron, il voto popolare che si orienta su un outsider fuori dai partiti.

Insomma, la voglia di nuovo (vero) e lo sputtanamento della politica tradizionale sono di tale forza che per avere il voto bisogna essere o un estremista (come la Le Pen) o un indipendente.

Un primo segnale del genere lo avemmo alle europee con la "Lista Bonino" del 1999 che prese un 9 %.

Anche allora si parlò di voglia di nuovo ma si preferì tenere duro.
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Re: Macron ce la fara?

Messaggioda Robyn il 27/04/2017, 16:11

Macron dovrebbe agire in piena indipendenza e autonomia dalle elite che lo hanno partorito più che altro dovrebbe fare tesoro dell'esperienza e non lasciarsi condizionare dalle elitè.Il fenomeno Macron è inseribile nel fatto che è proprio la sinistra che esce dalla socialdemocrazia classica e che cerca una sinistra liberal laburista al passo con i tempi che sia all'altezza delle sfide.Berlinguer diceva che la socialdemocrazia classica mostrava segni di cedimento e davanti ad essa si aprivano sfide fino a quel momento inimmaginabili
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