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b]Libia, Serraj-Haftar: accordo per cessate il fuoco ed elezioni[/b]
Il presidente francese Macron: «Ora la pace può vincere»
Pubblicato il 25/07/2017
Ultima modifica il 25/07/2017 alle ore 18:48
Il premier libico Serraj e il generale Haftar, a Parigi per un incontro promosso dal presidente Macron, si sono impegnati per un cessate il fuoco in Libia e lo svolgimento di elezioni appena possibile.
Gli impegni tra il capo del governo di Tripoli e l’uomo forte dell’est della Libia sono contenuti in una bozza di dichiarazione comune diffusa dalla presidenza della Repubblica francese. Fayez al-Serraj e Khalifa Haftar si incontreranno nel pomeriggio sotto l’egida del presidente francese, Emmanuel Macron.
«Oggi la causa della pace in Libia ha fatto un grande progresso. Voglio ringraziarvi per gli sforzi fatti», ha detto Macron, annunciando che il presidente del Consiglio presidenziale di Tripoli e il comandante dell’Esercito nazionale libico hanno adottato la dichiarazione congiunta sull’avvenire del Paese. «Oggi la pace può vincere», ha aggiunto, parlando di «impegno storico».
Sarraj e Haftar «possono diventare un simbolo per la riconciliazione e la pace. La dichiarazione congiunta è un documento storico», ha affermato il presidente francese al termine dell’incontro. La «vostra determinazione di oggi sarà anche la nostra», ha aggiunto.
Ecco perché l’Italia ha rinunciato ad avere l’inviato Onu in Libia
Roma non ha appoggiato la candidatura del nostro diplomatico Lamberto Zannier. La motivazione ufficiale: il passato coloniale. Stupore a Palazzo di Vetro
Pubblicato il 26/07/2017
FRANCESCO SEMPRINI
NEW YORK
Qualunque seguito abbia il vertice di Celle Saint-Cloud tra Fayez al-Sarraj e Khalifa Haftar, emerge l’intento di Emmanuel Macron di infilarsi sul terreno libico dove l’Italia ha cercato di ritagliarsi un ruolo di interlocutore privilegiato negli ultimi anni. E lo fa anche sfruttando gli spazi vuoti lasciati dalla stessa Italia in merito al dossier del Paese maghrebino, come ad esempio l’incarico di rappresentante del segretario generale delle Nazioni Unite in Libia. Incarico oggi ricoperto da Ghassan Salamè, politico e diplomatico libanese con vigorosi legami proprio con la Francia, ma che poteva essere di titolarità italiana. A confermarlo sono funzionari del Palazzo di Vetro tanto quanto fonti vicine agli ambienti governativi di Roma e Tripoli. «Antonio Guterres aveva preso in seria considerazione la persona di Lamberto Zannier quale inviato per la Libia - spiegano - e lo aveva inserito nella rosa ristretta dei finalisti, forte anche della conoscenza che i due avevano sviluppato nei rispettivi incarichi operativi proprio in ambito Onu».
Tutto questo accadeva proprio quando Zannier, proveniente dai ranghi della Farnesina, ma fuori ruolo in organismi internazionali per gran parte della carriera, era prossimo a completare il suo mandato di segretario generale dell’Osce. Già rappresentante speciale di Ban Ki-moon per il Kosovo, il diplomatico italiano appariva all’attuale numero uno del Palazzo di Vetro la scelta forse più opportuna per sostituire il tedesco Martin Kobler, per il suo profilo e per le connessioni di carattere politico, sociale e geostrategico che il Paese maghrebino ha con l’Italia, a partire dalla questione dei migranti. La tempistica inoltre giocava a suo favore visto che avrebbe terminato di lì a poco il suo incarico alla guida dell’Osce iniziato nel 2011.
Le cose però hanno seguito un corso diverso visto che l’incarico in Libia è stato affidato dapprima al palestinese Salam Fayyad e poi al libanese Ghassan Salamè. A Zannier è stato invece assegnato l’Alto Commissariato per le Minoranze Nazionali per l’Osce, incarico assunto qualche giorno fa. «Sembra che Guterres sia rimasto sorpreso dalla posizione defilata di Roma al Palazzo di Vetro per quanto riguarda la Libia - spiegano fonti Onu - così come Ban Ki-moon rimase interdetto osservando lo stesso atteggiamento qualche anno prima», quando a farsi avanti per la Libia fu Romano Prodi. L’ex premier italiano era visto come la persona che aveva tutte le carte in regola per «tentare l’impresa», anche per la conoscenza della regione circostante sviluppata durante il suo incarico di inviato speciale per la crisi nel Sahel, dal 2012 al 1° maggio 2014. «Opportunità mancate del tutto incomprensibilmente» affermano fonti vicine all’esecutivo di Roma, e «quand’anche Prodi fosse stato ritenuto troppo “politico” avremmo potuto lanciare un diplomatico di frontiera in uscita dal secondo mandato alla guida dell’Osce».
Da Palazzo Chigi e dalla Farnesina, la linea di fatto seguita in materia è stata sempre quella del «siamo un’ex potenza coloniale, non è opportuno». O forse c’è dell’altro. In ogni caso però si tratta di un’impostazione che esclude Roma da un osservatorio, quello di inviato Onu, che ha una certa valenza per il Paese, e che lo vede ora nelle mani di Salamè, diplomatico di abilità e integrità indiscusse. Come indiscusse sono la sua formazione alla Sorbona, la sua presidenza della Scuola di studi internazionali di Parigi e, fra le altre, le onorificenze di cui è stato insignito in Francia, come quella di Cavaliere della Legione d’onore. Una candidatura la sua alla quale Macron non si è certo opposto.
gabriele ha scritto:Fino a ieri questo atteggiamento era razzista, xonofoba, leghista, grillina, fascista...
forse è ora che la "sinistra" faccia un po' di autocritica per capire che la puzza sotto il naso serve solo a chi ce l'ha
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