Spesa sociale e donne maltrattate

A picco la spesa per il sociale: -81% in 7 anni. Lo dice il Censis
(Il Sole 24 Ore)
La spesa sociale è crollata dell'81% nel periodo 2007-2014. In cinque anni, si è ridotta al lumicino e cioè a 1/5 di quello che era. Le risorse assegnate al Fondo sociale sono passate da 1,6 miliardi di euro nel 2007 a 435,3 milioni nel 2010, per poi scendere a soli 43,7 milioni nel 2012. Negli ultimi due anni c'è stato un qualche recupero arrivando ai 297,4 milioni del 2014.
Lo rileva il Censis in “Salvare il sociale” nell'ambito dell'annuale appuntamento di riflessione di giugno “Un mese di sociale”.Anche il Fondo per la non autosufficienza è passato dai 400 milioni di euro del 2010 al totale annullamento nel 2012, per poi risalire a 350 milioni nell'ultimo anno.
Secondo gli ultimi dati disponibili, la spesa sociale dei Comuni supera i 7 miliardi di euro l'anno, pari a 115,7 euro per abitante. La spesa è destinata per il 38,9% a garantire interventi e servizi, per il 34,4% al funzionamento delle strutture, per il 26,7% ai trasferimenti in denaro. E il Sud ha i maggiori trasferimenti statali rispetto alle risorse proprie dei Comuni, e queste ultime coprono meno della metà delle spese per il welfare locale, a fronte di una media nazionale del 62,5%, amplifinando il divario con il Nord.
“Le categorie che assorbono la quota maggiore di spesa - spiega il Censis - sono le famiglie e i minori (40%), i disabili (23,2%), gli anziani (19,8%), i poveri e i senza fissa dimora (7,9%). Ma le differenze territoriali sono macroscopiche. Si passa dai 282,5 euro per abitante nella Provincia autonoma di Trento ai 25,6 euro della Calabria. Mentre gran parte delle regioni del Centro-Nord si colloca al di sopra della media nazionale, il Sud presenta una spesa media pro-capite che ammonta a meno di un terzo (50,3 euro) di quella del Nord-Est (159,4 euro). Il Mezzogiorno è l'area del Paese in cui è maggiore il peso dei trasferimenti statali rispetto alle risorse proprie dei Comuni. Al Sud queste ultime coprono meno della metà delle spese per il welfare locale, a fronte di una media nazionale del 62,5%. Di conseguenza, i tagli ai trasferimenti statali hanno un impatto diretto sulla riduzione delle risorse disponibili e quindi dei servizi destinati al sociale a livello locale, ampliando il divario già profondo tra Nord e Sud”.
Le istituzioni non profit sono 104 ogni 10.000 abitanti in Valle d'Aosta, 100 in Trentino Alto Adige, 82 in Friuli Venezia Giulia, ma solo 41 ogni 10.000 abitanti in Calabria, 40 in Sicilia, 37 in Puglia, 25 in Campania. Le associazioni non riconosciute sono più di 200.000 (il 66,7% del totale), più di 68.000 sono associazioni riconosciute (22,7%), le cooperative sociali sono oltre 11.000 (3,7%), più di 6.000 le fondazioni (2,1%), oltre 14.000 sono istituzioni con altra forma giuridica (4,8%). Sul totale delle istituzioni non profit, quelle impegnate nel settore sanitario e nell'assistenza sociale sono 36.000 (rappresentano il 12% del totale), precedute da quelle attive nel settore cultura, sport e ricreazione, che da sole rappresentano il 65% del totale.
Per il Censis “l'andamento del Fondo per le politiche sociali, istituito nel 1997 per trasferire risorse aggiuntive agli enti locali e garantire l'offerta di servizi per anziani, disabili, minori, famiglie in difficoltà, testimonia il progressivo ridimensionamento dell'impegno pubblico sul fronte delle politiche socio-sanitarie e socio-assistenziali”.
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(Stessa fonte)
Gli interventi sociali a sostegno della famiglia in Italia pesano solo per il 4,1% della spesa totale per le prestazioni sociali, pari a 313 euro procapite, «valore tra i più bassi in Europa».
Lo ha evidenziato il presidente dell'Istat, Giorgio Alleva, in un’audizione ieri alla Commissione finanze del Senato, citando gli ultimi dati disponibili (relativi al 2013) secondo cui la quota di spesa per le famiglie raggiunge il massimo in Irlanda (13,4%), Danimarca (11,5%) e Germania (11,5%). Se si considerano tutte le prestazioni sociali - esclusi costi amministrativi e altre spese - la spesa per i paesi Ue si è attestata mediamente al 27,7% del Pil, in media 7.406 euro annui procapite. L’Italia è in linea con questi valori, con una spesa pari al 28,6% del Pil (7.627 euro procapite), che tuttavia viene assorbita per il 50,7% dagli interventi per la vecchiaia contro, appunto, il 4,1% destinato alla famiglia.
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Questi dati sono fermi al 2013-2014. Al governo Renzi va riconosciuto di aver ripristinato il fondo per la non-autosufficienza, nell'area della disabilità.
Tuttavia questi numeri sono molto significativi in correlazione a un altro fenomeno: la violenza sulle donne. In molte realtà locali le donne che denunciano violenze hanno bisogno di essere protette, talvolta anche spostate dall'area di residenza. In particolare le madri con figli molto piccoli possono trovarsi nella situazione di denunciare il marito / compagno che costituisce però l'unica fonte di sostentamento per il nucleo familiare. In queste ed altre realtà di disagio e fragilità entrano in gioco le comunità dette "per mamma/bambino" o più propriamente per "donne sole con figli". Anche queste strutture, fondamentali nel garantire assistenza e supporto educativo, sono toccate pesantemente dai "tagli" sulla spesa sociale. Insieme con i centri antiviolenza e strutture simili.
Frizione di fondo con il governo è sui finanziamenti ai centri antiviolenza. «La ministra fa solo tavoli tecnici, le Regioni si tengono i soldi in tasca e i centri sono sempre a rischio chiusura», sintetizza Maria Marinelli della casa-rifugio di Latina. Lì una donna che tenta di uscire da maltrattamenti domestici ha ricamato a mano uno striscione a fiori: «L’Amore non uccide». «Vogliamo che i centri siano gestiti da associazioni vere, che trattano le donne non da malate o da utenti, basate sui nostri criteri», dicono.
http://ilmanifesto.info/a-roma-la-caric ... -violenza/
(Il Manifesto)