Ma che giustizia è?

Non entro nel merito dell'innocenza o della colpevolezza di Marino e Cota.
Come si dice spesso, occorre leggere le motivazioni, cosa che non credo siano in molti a fare soprattutto perché non si tratta in genere di letture agevoli, chiare e risolutive.
Quello che tuttavia non riesco a non chiedermi consiste nelle seguenti semplici domande:
ma come è possibile che indagini durate alcuni anni si risolvano in bolle di sapone, addirittura a seguito di un rito abbreviato in poche battute in base a valutazioni evidentemente non difficilissime da parte del Gup?
Si tratta di processi relativamente semplici. Non c'è da valutare indizi, scoprire moventi, verificare alibi.
Il tutto si basa su documenti (scontrini, fatture, movimenti di carte di credito) su cui non dovrebbero sussistere tanti margini interpretativi.
Nel caso di Cota l'accusa era di aver fatto acquisti a spese della regione che niente avevano a che vedere con le funzioni istituzionali: addirittura mutande ed un regalo di nozze!
Nel caso di Marino, l'oggetto del contendere erano 56 cene pagate con la carta di credito del comune alle quali, invece dei personaggi annotati nella documentazione, avrebbero partecipato parenti e amici.
Cosa c'è di complicato e di opinabile nell'accertamento di questi fatti?
Come è possibile che ben due sostituti procuratori arrivino a chiedere una condanna a tre anni e che un giudici dia un'assoluzione "perché il fatto non sussiste".
Quando lavoravo, le mie note spese me le controllava un addetto all'ufficio del personale e non ci sarebbe voluto poi tanto rilevare eventuali irregolarità.
I casi sono tre: o i magistrati inquirenti si sono impropriamente accaniti contro degli onesti cittadini, o i magistrati giudicanti hanno valutato i fatti con superficialità o peggio con imparziale indulgenza o, peggio ancora, le azioni giudiziarie sono motivate da intenti politici che nulla hanno a che fare con i fatti.
La questione ha una notevole rilevanza, dal momento che sono ormai demandate completamente alla magistratura valutazioni che dovrebbero riguardare le responsabilità della politica.
Come si dice spesso, occorre leggere le motivazioni, cosa che non credo siano in molti a fare soprattutto perché non si tratta in genere di letture agevoli, chiare e risolutive.
Quello che tuttavia non riesco a non chiedermi consiste nelle seguenti semplici domande:
ma come è possibile che indagini durate alcuni anni si risolvano in bolle di sapone, addirittura a seguito di un rito abbreviato in poche battute in base a valutazioni evidentemente non difficilissime da parte del Gup?
Si tratta di processi relativamente semplici. Non c'è da valutare indizi, scoprire moventi, verificare alibi.
Il tutto si basa su documenti (scontrini, fatture, movimenti di carte di credito) su cui non dovrebbero sussistere tanti margini interpretativi.
Nel caso di Cota l'accusa era di aver fatto acquisti a spese della regione che niente avevano a che vedere con le funzioni istituzionali: addirittura mutande ed un regalo di nozze!
Nel caso di Marino, l'oggetto del contendere erano 56 cene pagate con la carta di credito del comune alle quali, invece dei personaggi annotati nella documentazione, avrebbero partecipato parenti e amici.
Cosa c'è di complicato e di opinabile nell'accertamento di questi fatti?
Come è possibile che ben due sostituti procuratori arrivino a chiedere una condanna a tre anni e che un giudici dia un'assoluzione "perché il fatto non sussiste".
Quando lavoravo, le mie note spese me le controllava un addetto all'ufficio del personale e non ci sarebbe voluto poi tanto rilevare eventuali irregolarità.
I casi sono tre: o i magistrati inquirenti si sono impropriamente accaniti contro degli onesti cittadini, o i magistrati giudicanti hanno valutato i fatti con superficialità o peggio con imparziale indulgenza o, peggio ancora, le azioni giudiziarie sono motivate da intenti politici che nulla hanno a che fare con i fatti.
La questione ha una notevole rilevanza, dal momento che sono ormai demandate completamente alla magistratura valutazioni che dovrebbero riguardare le responsabilità della politica.
LE SENTENZE
Fondi Piemonte, assolto Cota
A Roma, assolto l’ex sindaco Marino
10 condannati e 15 assoluzioni, tra cui quella dell’ex presidente del Piemonte, nel processo per l’uso distorto dei fondi destinati ai gruppi politici in Consiglio regionale
di Elisa Sola
È stato assolto Roberto Cota, al processo ribattezzato Rimborsopoli sui presunti casi di peculato di cui erano imputati l’ex governatore del Piemonte e altri ex consiglieri regionali. La sentenza è stata pronunciata di prima mattina, a Torino, il 7 ottobre 2016, al termine di un processo durato oltre un anno, dalla corte presieduta dal giudice Silvia Bersani Begey.
I rimborsi ‘personali e non istituzionali’
Il politico leghista, avvocato di professione, era accusato dai pm Enrica Gabetta e Giancarlo Avenati Bassi di aver utilizzato circa trentamila euro della Regione Piemonte per il rimborso di spese considerate personali e non istituzionali. Nel fascicolo della Guardia di finanza era finito anche lo scontrino di quelle che poi diventarono famose come “mutande verdi”, un paio di boxer acquistati oltre oceano dall’ex leader del Carroccio piemontese durante una trasferta a Boston. Tra le spese contestate dall’accusa, c’erano anche cene, pranzi, foulard, cravatte, penne e un regalo di nozze. Cota, così come molti altri dei consiglieri alla sbarra, aveva risarcito oltre 32mila euro al consiglio regionale, come «gesto di trasparenza». Si era sempre difeso sostenendo che quei soldi chiesti all’ente pubblico sarebbero stati usati o per regali di rappresentanza o per motivi prettamente «istituzionali». Il segretario della Lega, difeso dagli avvocati Carlo Guido Alleva e Domenico Aiello, aveva scelto il rito immediato e non riti alternativi proprio per «dimostrare l’estraneità ai fatti» e in più occasioni aveva denunciato pubblicamente di essere stato vittima di una «vicenda strumentalizzata». Il tribunale di Torino gli ha dato ragione, è stato assolto dall’accusa di peculato. Se la procura non farà appello, e il procedimento penale a suo carico si concluderà, sarà innocente definitivamente.
Assolti e condannati
Il processo si è chiuso con 15 assolti e dieci condannanti. La pena più alta è quella inflitta a Michele Giovine, a 3 anni e 10 mesi, la più bassa è per Augusta Montaruli ex An, di quattro mesi.
«Oggi è un giorno in cui mi sono liberato di un peso, anzi di un macigno» ha detto Cota, che ha ricevuto in mattinata la telefonata di Salvini. «Ciao Matteo, hai visto, ci hanno fatto perdere la Regione per una cosa che non esisteva», ha detto l’ex governatore al leader del Carroccio. «Sarà da un anno che non lo chiamava» ha bofonchiato un militante del Carroccio, riferendosi al fatto che Cota, dal momento dell’indagine sarebbe stato lasciato “solo” dalla Lega nord. «Sono stati momenti difficili» si è limitato a dichiarare l’ex presidente della Regione Piemonte. «Sono stato mandato a casa con una manovra di palazzo – ha aggiunto – e sono stato sotto attacco mediatico per anni, anche la mia famiglia ha molto sofferto. Mi hanno impedito di ripresentarmi alle elezioni, Chiamparino invece ha preso la poltrona in modo non democratico».
Tra gli assolti c’è anche Alberto Goffi, ex leader piemontese dell’Udc, difeso dall’avvocato Erica Gilardino. Goffi, sostenitore della battaglia contro Equitalia, racconta di essere stato abbandonato da Pierferdinando Casini. «Provo soddisfazione per una sentenza con formula piena per non avere commesso il fatto – confessa - mi sono difeso nel processo benché le accuse le abbia lette sui giornali, ma la grande amarezza è essere stato abbandonato dai vertici del partito che hanno approfittato di questa vicenda per eliminarmi».
A Roma assolto Marino
Intanto, a Roma, l’ex sindaco Ignazio Marino è stato assolto «perché il fatto non costituisce reato» in merito alla vicenda della Onlus Imagine, e «perché il fatto non sussiste» per quanto riguardo la contestazione di peculato. Nei suoi confronti le accuse erano di falso, peculato e truffa. La decisione è stata presa dal gup Pierluigi Balestrieri. Oggetto del processo 56 cene, per circa 13 mila euro, pagate dall’ex sindaco con la carta di credito, e la predisposizione di certificati che attestavano compensi destinati a collaboratori fittizi o inesistenti che avrebbe procurato alla Onlus un ingiusto profitto di seimila euro.
7 ottobre 2016 (modifica il 7 ottobre 2016 | 16:56)