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Inaudito: ambasciate in campagna elettorale

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Inaudito: ambasciate in campagna elettorale

Messaggioda flaviomob il 29/09/2016, 9:07

Buenos Aires, Boschi ringrazia l’ambasciatrice: ha organizzato il comizio per il Sì
Referendum. 400mila elettori da convincere nella capitale argentina, la diplomazia va in aiuto del governo. Altro caso in Canada. Il video della serata al teatro Coliseo a Buenos Aires, dove il Pd è schierato per il No. Ieri la replica in Uruguay, oggi e domani in Brasile. Incontri di stato accompagnati da tappe elettorali

Andrea Fabozzi
PUBBLICATO 28.9.2016, 23:59

Riempire il teatro Coliseo di Buenos Aires – 1.800 posti di proprietà dello stato italiano – non è facile il lunedì pomeriggio. Lunedì 26 settembre Maria Elena Boschi ha iniziato il suo comizio per il Sì al referendum alle 18.30. Sul palco con lei c’era l’ambasciatrice italiana Teresa Castaldo. La ministra delle riforme l’ha subito, e «sentitamente» ringraziata, «per aver organizzato questo incontro».


Boschi ha ringraziato anche il console generale. Nei giorni precedenti, dalla segreteria del consolato erano partite lettere e telefonate di invito. Alla fine nel teatro c’erano quasi mille persone. Platea piena, gallerie vuote. E la ministra, dietro lo stemma della Repubblica italiana, ha spiegato con i consueti argomenti – «non ci saranno altre opportunità per avere un paese che funziona meglio» – come bisogna regolarsi al referendum. Del resto «sarei ipocrita se non vi chiedessi di votare Sì».

A Buenos Aires vivono circa 400mila elettori italiani. «Più che a Bologna», notò una volta Renzi. La ministra è stata in Argentina due giorni, ieri è partita per l’Uruguay, chiuderà il viaggio in Brasile. In Italia c’è stata una polemica per i costi del viaggio. Ieri gli uffici del ministero hanno potuto replicare che il tour è costato solo 12mila euro per tutta la delegazione, e Boschi ha viaggiato in classe economica (c’è chi dice malignamente perché ha prenotato tardi e la business era esaurita). Il punto però, come il manifesto aveva scritto ieri, non sono tanto i costi.Ma l’uso di parte delle rappresentanze diplomatiche italiane. In appoggio a una manifestazione per il Sì, e non solo all’attività diplomatica della ministra.

Nelle email partita dal consolato di Buenos Aires a tutte le (tantissime) associazioni italo-argentine si raccomandava di arrivare al teatro in anticipo sull’orario. L’incontro con la comunità italiana, ha spiegato ieri l’ufficio stampa della ministra, non è un’iniziativa di partito. È stata però inequivocabilmente l’occasione per un comizio ministeriale per il Sì. E per esaltare «il nuovo modo di fare politica» del governo Renzi, con tanto di narrazione in rosa su Jobs act e altre riforme. L’ambasciatrice Castaldo ha ascoltato la ministra restando alla sua sinistra, sul palco, seduta. Al termine ha ricevuto anche lei un mazzo di fiori. Curiosamente all’iniziativa non ha partecipato il partito democratico di Buenos Aires, in maggioranza schierato per il No al referendum (situazione identica anche a Montevideo). Qualcosa non ha funzionato alla perfezione nell’organizzazione del viaggio della ministra, tant’è vero che lunedì a Buenos Aires c’era la coreografia tricolore, c’era il coro della scuola Cristoforo Colombo ma non era stato coinvolto il Maie che ha eletto tre parlamentari, peraltro schierati per il Sì, e a Buenos Aires ha raccolto il 50% dei voti.

Sull’appoggio dell’ambasciata alla campagna per il Sì il senatore De Cristofaro di Sinistra italiana ha annunciato ieri un’interrogazione urgente al ministro degli esteri. Il partito aveva già denunciato un altro episodio che coinvolge questa volta l’ambasciatore italiano in Canada Gian Lorenzo Cornado, la cui presenza a un’iniziativa per il Sì del circolo Pd di Toronto, il prossimo 3 ottobre, è annunciata addirittura sui manifesti.

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Voto all’estero, come potremo fidarci?

Massimo Villone
EDIZIONE DEL
29.09.2016

Boschi si autocelebra in un tour mondiale per il Sì fra gli italiani all’estero. Fin qui si può forse capire, anche se è bassa cucina propagandistica. Non si capisce e non si perdona, invece, il supporto logistico e la presenza ufficiale di un’ambasciata. I pubblici impiegati – inclusi quelli di altissimo rango come gli ambasciatori – sono al servizio esclusivo della Nazione (art. 98.1 Cost.). Non del governo o di singoli ministri. Mezzo paese vuole il No, unitamente a un ampio arco di forze politiche parlamentari. Dovremmo forse cambiare cittadinanza e passaporto? E come potremo domani fidarci che il voto sia libero e uguale, non inquinato come le scorse esperienze di voto all’estero ci fanno temere? Prepariamo le carte bollate? E poi, ha detto la Boschi agli esultanti convenuti che la riforma li espelle dal senato, e li esclude dal ballottaggio per la camera?

Una lunga galleria di spot ci accompagnerà al voto referendario. È rispuntato persino il ponte sullo Stretto, che, senza mettere una pietra, ci è già costato – pare – circa 600 milioni. Equivalenti, secondo le stime dei risparmi fatte dalla Ragioneria dello Stato, a oltre 12 anni di riforma del senato, che sopravvive, mentre si abolisce il diritto dei cittadini di votare per i senatori.
Qualcuno ancora finge di non capire che il no referendario non viene da chi pretende un insuperabile bicameralismo paritario, ma da chi rivendica il diritto di scegliere i propri rappresentanti in parlamento. Il diritto di voto è in democrazia come il farmaco salvavita nel sistema sanitario: per entrambi non vale il criterio del massimo risparmio. Ora, per i gravosi impegni del ponte, riformeremo anche la camera? Potremmo chiuderla del tutto. Sarebbe un miliardo tondo risparmiato.
Lo spot pubblicitario di Renzi non reca traccia delle tante polemiche pregresse. A che serve traversare lo Stretto a grande velocità se prima e dopo si va a passo di lumaca? Quisquilie. Conta il colpo di teatro, i 100mila posti di lavoro che fanno il paio con i 500 milioni di euro della riforma costituzionale. Cifre fantasiose, ma basta l’annuncio. Tanto prima del voto referendario nulla potrebbe davvero succedere.

Si dice che abbiamo bisogno di un governo autorevole. Ma tale non è un governo che racconta favole smentite dai fatti, come per l’uscita dalla crisi o i vantaggi per i lavoratori derivanti dal Jobs Act, mentre stiamo diventando il paese dei voucher.
Per spiegare e convincere ci vuole certo autorevolezza. Ma per rendere la menzogna una verità di stato ci vuole un governo blindato nelle stanze del potere. Un governo non già autorevole, ma vestito di autoritarismo, sia pure blando. Una democrazia decidente, come dicono i sostenitori, tralasciando che si tratta di un decidere reso possibile da una legge elettorale taroccata e da un governo che domina il parlamento e spiega una pesante influenza sugli organi di garanzia. Mentre le voci fuori dal coro sono messe nell’angolo.
Circola una teoria per cui la perdurante crisi economica mette in crisi la democrazia come l’abbiamo conosciuta, e ne rende anzi necessario il superamento. E certo sentiamo scricchiolii preoccupanti. Ma qual è la risposta? Ridurre la rappresentanza politica attraverso leggi elettorali capestro, indebolire il parlamento, concentrare il potere sull’esecutivo e in particolare sul leader al comando? Al fine di lasciare il futuro al dominio del dio mercato, tagliando diritti conquistati con il sangue di generazioni ed esaltando le diseguaglianze? O al contrario puntare sulla più ampia partecipazione, sulla piena rappresentatività delle assemblee elettive, sulla necessità di ritrovare la coesione attraverso la politica, il confronto, la mediazione, il consenso? Con l’obiettivo di recuperare parità nei diritti e protezione dei più deboli?

l’Italia ha sostanzialmente fin qui seguito la prima strada, che si vuole ora definitivamente consolidare con le riforme in campo, costituzionale ed elettorale. Salvare la democrazia serrandola in catene, e riducendo i cittadini a sudditi. E perché non eleggendo solo il presidente del consiglio, magari trovandogli una location – in inglese per Renzi – sul balcone di palazzo Venezia? Massimo risparmio, esito garantito. Votiamo No, grazie.


(IL MANIFESTO)


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Re: Inaudito: ambasciate in campagna elettorale

Messaggioda pianogrande il 29/09/2016, 14:09

E' per me un po' imbarazzante stabilire se Renzi debba propagandare il SI come segretario di partito o come capo del governo.

Cameron, in UK, non ha avuto nessun problema a schierarsi per il remain e dichiararlo davanti al portoncino di Downing Street nella veste ufficiale di capo del governo.

In modo un po' più spartano, era anche quello un "supporto logistico" improprio?

Alla fine, se la spesa è stata davvero di dodicimila Euro, siamo a niente in confronto ai supporti oogistici di cui ha goduto Renzi in varie sedi in cui ha parlato a favore del SI.

Il Manifesto, poi, va a finire sui voucher e sul jobs act.
In questo caso è improprio l'abbinamento ma il supporto... cartaceo indiscutibilmente legittimo.
Fotti il sistema. Studia.
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Re: Inaudito: ambasciate in campagna elettorale

Messaggioda flaviomob il 29/09/2016, 14:23

Renzi e Boschi possono schierarsi finché vogliono, ma rispettando le regole. Non si usano gli ambasciatori per fare campagna elettorale, non si usano le cariche pubbliche (e le trasferte pagate da noi), ma si fanno comizi a spese proprie (o del partito).


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Re: Inaudito: ambasciate in campagna elettorale

Messaggioda mariok il 29/09/2016, 18:33

Sarei curioso di sapere con quali soldi Di Battista si è fatto il giro d'Italia in moto per il No, tra l'altro fermandosi anche in posti molto piacevoli come Amalfi. :mrgreen:
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