Buona riflessione, anche se ci sono molte analisi sulle cause della crisi europea, mentre sul "cosa fare" ci sono poche idee e anche confuse.
http://www.corriere.it/esteri/16_giugno ... f010.shtml
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Effetto Brexit, Europa già divisa
di Francesca Pierantozzi
PARIGI Gli inglesi partono, le divisioni restano. Incorreggibile Europa: dopo i disaccordi su crescita, rigore, controllo di bilancio, unione bancaria e migranti, mancava soltanto il divorzio dal Regno Unito ad alimentare le innate divergenze dei futuri Ventisette. Lungi dal ricompattare - almeno per ora - la squadra, la nuova Brexit ripropone antiche divisioni e noti schieramenti. Con la solita linea Maginot tra Francia e Germania. Come salvare (e possibilmente rilanciare) l'Europa amputata dell'Inghilterra? Con più integrazione economica e solidarietà, come vorrebbero i francesi? Con maggiori trasferimenti di sovranità e prudenza di bilancio, come al solito auspicano i tedeschi? Meglio accelerare e spingere al più presto gli inglesi alla porta, come si chiede al sud? Prendere tempo, evitare di precipitarsi, avanzare gemeinsam, insieme, come si propende al nord?
GLI OBIETTIVI
Ieri i figli dei padri fondatori (nella fattispecie i ministri degli Esteri di Germania, Francia, Italia, Paesi Bassi, Belgio e Lussemburgo riuniti a Berlino) hanno fatto una prova generale di dichiarazione comune, che ha suonato più o meno così: «Cominciamo le procedure il prima possibile». Per andare dove? Come? Tutto da vedere anche perhè alcuni Paesi, Germania in testa con i Paesi nordici non mettono fretta a Londra nella sua uscita dalla Ue. Se ne parlerà domani a Berlino (di nuovo), tra Merkel, Hollande, Renzi e Tusk, e poi a Bruxelles, al consiglio di martedì e mercoledì.
E poi di nuovo, per mesi, anni, almeno due, quanti ne serviranno, come minimo, per finalizzare la separazione, e almeno cinque o sei, quanti ne serviranno, come minimo, per annullare, rinegoziare e riscrivere decine di migliaia di trattati e accordi commerciali. La lettera da Londra con la richiesta formale di divorzio non è ancora stata spedita che già sono cominciate le scaramucce sulla risposta. La mancanza di precedenti non basta da sola a spiegare l'ordine sparso con cui stati e istituzioni guardano oltremanica. Il Parlamento è stato finora l'unico istituto a dare una risposta veloce e chiara: inutile temporeggiare, tempi rapidissimi per il recesso britannico. Sul versante della Commissione, Jean-Claude Juncker fatica a farsi sentire, nonostante i suoi toni continuino a salire.
Tra «Unione Europea e Regno Unito non ci sarà un divorzio consensuale, ma non c'è stata neppure una grande storia d'amore», ha detto ieri il presidente della Commissione in un'intervista alla tv pubblica tedesca Ard. Nei nuovi, difficili, equilibri, che si immaginano nell'Europa a 27, il suo ruolo di fervente partigiano di una maggiore integrazione è per ora quello più in bilico. Non invitato a Berlino da Merkel con Hollande, Renzi e Tusk, Juncker ha subito chiarito che «l'Europa non sarà determinata in futuro da nessun altro trio, così come non è stata determinata dalla Gran Bretagna».
Domenica 26 Giugno 2016, 09:11 - Ultimo aggiornamento: 26-06-2016 14:00
flaviomob ha scritto:Forse va ribaltato l'adagio che la presenza della CEE / UE ha garantito la pace in Europa. E' il contrario: la pace in Europa (frutto della tragica memoria di due guerre mondiali) ha permesso la costruzione dell'unità continentale. Oggi la perdita della pace - sul piano sociale e su quello bellico internazionale, con interessi divergenti e con politiche frammentarie e centrifughe su migranti e rifugiati - porta la disgregazione.
Jean-Claude Juncker 1999 ha scritto:"Prendiamo una decisione, poi la mettiamo sul tavolo e aspettiamo un po’ per vedere cosa succede. Se non provoca proteste né rivolte, perché la maggior parte della gente non capisce niente di cosa è stato deciso, andiamo avanti passo dopo passo fino al punto di non ritorno".
L’ora della “Jihad bianca”, a Londra razzisti scatenati
Insulti e aggressioni ai musulmani ma anche ai polacchi. Un fenomeno che è cresciuto nei giorni del referendum
27/06/2016
ALBERTO SIMONI
INVIATO A LONDRA
«Io parlo polacco, tu quale super potere hai?». Jacek viene da un paesino vicino a Varsavia e vive a Londra da qualche anno. Indossa una maglietta nera, la scritta gialla con la frase che tradisce l’orgoglio per le origini. È uno dei 600 mila sbarcati nel Regno Unito negli ultimi dieci anni. I polacchi oltre Manica erano 95 mila nel 2004, poi la via londinese è diventata facile e fruttuosa. Da qualche tempo però anche molto rischiosa. Sta appoggiato a una ringhiera di fronte all’ufficio culturale polacco ad Hammersmith, zona occidentale della capitale britannica e guarda i muri dell’edificio sul quale sono stati disegnati graffiti e scritti con la vernice insulti contro i polacchi, definiti «parassiti». La polizia pattuglia la zona e ha aperto un’inchiesta contro ignoti.
Ma la tensione da tempo è palpabile. Appena due giorni fa, nella zona orientale della città, alcuni musulmani e immigrati dell’Est Europa sono stati aggrediti da bande suprematiste inglesi. «È il clima post Brexit che non volevamo», dice la Baronessa ed ex ministro Sayeeda Warsi che una settimana fa aveva lasciato la campagna del Leave poiché diventata «razzista e odiosa».
Gli episodi di intolleranza sono aumentati nei giorni dopo il referendum. Una lavoratrice musulmana, nata in Galles, è stata apostrofata in strada e invitata a «fare le valigie»; nel Cambridgeshire è partita una campagna d’odio via posta contro la comunità polacca. E volantini sui «polacchi parassiti» sono stati recapitati anche a una scuola elementare.
La retorica incendiaria contro i migranti di Nigel Farage amplificata dal poster con le immagini di migliaia di profughi in coda in Slovenia con la scritta «punto di rottura» è ancora un punto di riferimento per alcune - non così minoritarie - frange della società.
La percezione che siano gli «altri», gli «stranieri» a sottrarre il lavoro agli inglesi, ad abbassare i salari, a congestionare i servizi pubblici ha alla fine ha pesato sul voto: il tema immigrazione è stato il secondo motivo a indirizzare le scelte degli elettori, sia conservatori sia laburisti. Soprattutto nelle zone rurali, nel Sud e nel Nord del Paese, fra le classi meno agiate. Farage proprio ieri ha ricordato che quelle zone - molte sono feudi laburisti - sono ora nel mirino dello Ukip.
Se c’è una protesta visibile contro i migranti, talvolta violenta ma comunque molto rumorosa, c’è ne è una che corre sul Web, si nutre di adepti su Twitter, Facebook e sguazza nei video su YouTube. L’intelligence britannica monitora molti gruppi. Ieri il «Sunday Times» ne ha fatto una radiografia. L’estrema destra (suprematista, razzista, isolazionista, anti-migranti) fa proseliti e ha un seguito crescente. Materiale estremista è disponibile ovunque sulla Rete. Un gruppo come National Action, quello che è nato per «celebrare» la morte della deputata Jo Cox, ha appena sessanta adepti, ma i suoi video su YouTube hanno quasi 2800 adepti. Pochi, nel mare del Web, molti, spiegano gli esperti dell’antiterrorismo, se si considera che la visibilità il gruppo la sta avendo solo da poco tempo. Proclamano una «White Jihad», una guerra santa bianca, che significa rendere omogenea e aderente «ai valori tradizionali inglesi» questa terra che oggi invece ospita persone provenienti da ogni angolo del mondo ed è un crogiolo di culture. «I rifugiati non sono i benvenuti» si legge in uno dei loro proclami che va di pari passo alla proclamazione che «Hitler aveva ragione, i rifugiati devono tornare a casa».
Sabato a Newcastle, città nel Nord-Est, vivace, gli estremisti hanno manifestato dinanzi alla stazione centrale scandendo slogan contro i migranti. Negli ultimi tempi è nata un’altra associazione, NorthWest Infidels, derivata dalla English Defense League, che vorrebbe «l’impiccagione di Corbyn» e ha nell’islam il nemico dichiarato. Così come Britain First, l’associazione che ha invocato il killer di Jo Cox. A proposito dell’aggressore, Thomas Mair, proprio NorthWest Infidels ha rilanciato un messaggio nel quale invita i suoi a continuare la difesa dell’Inghilterra «dall’invasione dei profughi affinché il sacrificio di Thomas Mair non sia stato invano».
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