Scusi, chi ha fatto palo?
Non c’è un vincitore, non c’è uno sconfitto, non c’è un allarme affluenza, non c’è boom a 5 stelle, non si è imposto alcun modello Le Pen, non esiste un mondo possibile a sinistra del Pd. Ma uno schema c’è. Lezioni dal voto
di Claudio Cerasa | 07 Giugno 2016 ore 06:15
I risultati delle elezioni comunali si possono commentare utilizzando i punti di osservazione più creativi a seconda di ciò che si vuole dimostrare, ma comunque lo si voglia utilizzare il voto di domenica scorsa ci dice che non c’è un vero vincitore, che non c’è un vero sconfitto, che non c’è un allarme affluenza (62 per cento, 67 cinque anni fa ai tempi del dàgli al Cav.), che non c’è un boom del 5 stelle, che non c’è un voto sistematico contro Renzi, che non si è imposto alcun modello Le Pen, che non esiste un mondo possibile alla sinistra del Pd e che salvo alcuni casi particolari il centrosinistra e il centrodestra, laddove non hanno vinto al primo turno, sono arrivati quasi sempre al ballottaggio (sedici volte i primi, dodici volte i secondi), al contrario del Movimento 5 stelle che su venticinque comuni capoluogo è arrivato fino in fondo appena tre volte (è al ballottaggio a Torino, a Roma, a Carbonia). A parte le quantità (Raggi più del previsto a Roma, Fassino meno del previsto a Torino, Merola meno del previsto a Bologna, Parisi più del previsto a Milano) non ci sono state sorprese di scenario, si dice così, e cercare a tutti i costi un filo comune che leghi i risultati dei vari partiti è impossibile e forse non ha neanche senso.
l Pd ha dei problemi, lo ha riconosciuto anche Renzi, ma a parte Napoli se la gioca in tutte le grandi città (a Milano, Torino e Bologna parte in vantaggio ed è favorito) e se la gioca persino a Roma dove la differenza di voti tra la candidata grillina (Raggi) e il candidato del centrosinistra (Giachetti) è di 130 mila voti, più o meno lo stesso numero di voti (141 mila voti) ottenuti da Marchini (che al ballottaggio sosterrà Giachetti e il Cav. ieri non ha invitato a votare Raggi ma ha detto che voterà scheda bianca) e poco più dello scarto registrato nel 2008 al primo turno tra Francesco Rutelli e Gianni Alemanno (Rutelli fu in vantaggio di 84 mila voti, poi al ballottaggio Alemanno recuperò 180 mila voti e vinse le elezioni). Uno scarto ancora minore è quello che si trova a Milano, dove Sala arriva al ballottaggio forte di appena 4.938 voti di vantaggio su Parisi, e se proprio dobbiamo trovare al voto locale una chiave di lettura nazionale bisogna partire da qui. Milano ci dice infatti che in una città particolarmente in salute i movimenti e i partiti anti sistema fanno fatica (i 5 stelle sono al 10 per cento, la Lega è al 12 per cento ed è stata doppiata da un partito che non esiste più e si chiama Forza Italia). Ma ci dice anche che il modello del candidato trasversale (lo è Parisi, che da posizioni di centrodestra sorride al centrosinistra, e lo è Sala, che da posizioni di centrosinistra sorride al centrodestra) vale l’83 per cento di Milano e che le elezioni si vincono con programmi di governo, provando a conquistare il centro dell’elettorato, e non scopiazzando il Movimento 5 stelle (come ha provato a fare senza risultati la Lega nord, andata così così a Milano, andata male a Torino, dove ottiene il 5,8, e andata ancora peggio a Roma, dove si è fermata al 2,7). Chi non accetta questa logica finisce male – vale anche per Meloni a Roma. E per quanto la minoranza del Pd provi a impostare la sua battaglia congressuale (“dobbiamo guardare a sinistra!”, opponendosi al modello del Partito della nazione per via del risultato ottenuto a Napoli dal Pd sostenuto da Verdini, ma senza rendersi conto che a Napoli il Pd ha perso perché non ha saputo fare opposizione per cinque anni), anche gli avversari interni di Renzi non possono non essersi resi conto che il turno di domenica segna la fine prematura di ogni progetto alternativo che si ponga alla sinistra del Pd (4,7 per cento di Fassina a Roma, 3,7 per cento di Airaudo a Torino, Podemos uguale Perdemos).