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Europa, sfiducia ed egoismo

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Europa, sfiducia ed egoismo

Messaggioda flaviomob il 10/05/2016, 14:33

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Sfiducia ed egoismo, i mali di un'Europa sempre più centrifuga
09 Maggio 2016

Di Piero S. Graglia,



Oggi 9 maggio ricorre la giornata dell'Europa. Tuttavia, mai come quest'anno, la celebrazione appare un artificio retorico assai poco sentito. L’Europa attraversa un periodo difficile a causa di molteplici motivazioni. Parafrasando Metternich, che alla notizia dell’abdicazione di Luigi Filippo d’Orleans sentenziò «quando Parigi starnutisce l’Europa si becca un raffreddore», si potrebbe dire a nostra volta che quando l’Europa ha il raffreddore tutti starnutiscono, e qualcuno si prende pure la polmonite. Sembrano lontani anni luce i giorni in cui le magnifiche sorti e progressive dell’Europa sembravano inarrestabili e la fiducia sul ruolo regolatore dell’Unione sembrava essere, se non infinita, almeno ben fondata.

Salutando ad esempio l’ingresso dell’Italia nella convenzione di Schengen nel 1998, il presidente della Camera Luciano Violante scriveva: «Il consolidamento del sistema Schengen pone come urgenza la necessità di costruire una politica comune capace di governare i flussi migratori dei cittadini extracomunitari. Lo spazio Schengen, e più in generale l’Unione europea, non possono infatti concepirsi come fortezze assediate, né possono pensare di delegare ai singoli paesi di frontiera la gestione di quei flussi»[1]. Parole, come si vede, profetiche, ma parole che non sono state inverate dallo sviluppo successivo dell’accordo Schengen, che oggi viene sovente sospeso da più paesi e non gode affatto, neppure lui di buona salute. Mentre al solo parlare di cooperazione nella gestione dei flussi dei rifugiati più di un paese europeo mette mano alla pistola.

In definitiva, pare come se la spinta degli anni passati si sia via via esaurita e manchi ormai, più che il know-how su come affrontare i diversi problemi continentali, proprio la fiducia sulla capacità dell’Unione di risolverli.

Schengen in questo senso è un esempio abbastanza calzante: nato nel 1985 come strumento di semplificazione per un’area (quella compresa tra Francia, Germania e Benelux) già di fatto integrata, esso nel tempo è stato assorbito dalla normativa comunitaria diventando, con il trattato di Amsterdam (1997) parte integrante dell’acquis comunitario. Le barriere fisiche tra gli stati aderenti alla convenzione sono state rimosse, i caselli e le pensiline dei posti di frontiere sono state smantellate oppure sono rimaste oggetto di curiosità di artisti e fotografi, quasi una nuova forma di archeologia post-industriale. Tutto questo però non è servito a mettere al riparo dalla possibilità che ostacoli o barriere alla libera circolazione venissero riproposti perché gli stati sono comunque rimasti padroni del loro spazio e dei loro confini, mostrando chiaramente che rimuovere una barriera fisica e rimuovere la legittimità di tale barriera sono due cose diverse: quando la paura e la sfiducia hanno fatto sentire il loro peso, Schengen è diventato un semplice nome e non più un vincolo.

La sfiducia – e l’egoismo – gioca anche nel caso dell’acceso dibattito sul Brexit, l’uscita del Regno Unito dall’Unione. Nessuno che abbia una minima conoscenza della storia recente può ignorare i vantaggi che l’ingresso di Londra nella Cee portò a suo tempo a Londra. Un sistema economico invecchiato e non più competitivo, che aveva subito per tutti gli anni Sessanta l’impetuosa ripresa dei paesi del continente favorita dall’abbassamento delle barriere commerciali e dal sistema della politica agricola comune, ritrovò negli anni Settanta il respiro e la competitività grazie all’adesione alla tanto criticata, odiata e discussa “piccola Europa” comunitaria. Ebbene, proprio il danno che il Regno Unito, nel suo complesso, sopporterebbe se uscisse dal sistema dell’Unione è la migliore garanzia che il Brexit non vi sarà; vi saranno però, e vi sono già, le pressioni strumentali per guadagnare vantaggi negoziali da parte britannica paventando la minaccia di un’uscita dal sistema. Uscita che nessuno vuole veramente, ma che serve come ipotesi strumentale e arma negoziale anche sul piano politico interno britannico.

Del resto, l’Unione non deve essere preoccupata del Brexit quanto piuttosto delle iniziative che vengono prese, con ossessiva ripetitività, nei paesi dell’est europeo; iniziative spesso apertamente liberticide che colpiscono alla radice il concetto stesso di “diritti e valori europei” condivisi. Dopo le notizie di alcuni mesi fa sulle pulsioni autoritarie in Ungheria per il controllo della stampa e del dissenso e la polemica sui contenuti della nuova costituzione, si è aggiunta anche la Polonia con l’iniziativa dell’applicazione della censura alla stampa; l’Ungheria in aggiunta ha varato un referendum sui criteri di distribuzione dei profughi in aperta critica e violazione della direttiva europea varata alla fine del 2015.

L’est europeo è inquieto e sopporta a fatica il concetto stesso di sovranazionalità e di rispetto di valori condivisi, vissuti spesso come lesivi delle diverse identità nazionali e tradizioni; un effetto di riflusso a suo tempo previsto da numerosi osservatori e analisti del processo di transizione democratica nell’Europa orientale, come ad esempio, tra i primi, Pietro Grilli di Cortona, ma un effetto che oggi fa sentire in maniera molto più pesante i suoi effetti, poiché ogni sommovimento o iniziativa centrifuga non trova un centro di core politics coeso e saldo, bensì un insieme di stati fondatori dove forze politiche come Front national o Lega cavalcano e alimentano un malcontento molto istintivo basato su motivazioni economiche. Non è infatti il “malgoverno Ue” a essere nel mirino degli euro-negativisti, quanto l’invadenza di istituzioni che vengono presentate come distanti, malate di tecnicismo e ottuse, messe a confronto con un nuovo nazionalismo tranquillizzante e maggiormente rispondente al “carattere nazionale”.

Tutto congiura quindi contro il metodo comunitario; un metodo che, vale la pena ricordarlo, sin dall’inizio si è contraddistinto per la realizzazione del connubio tra interessi nazionali e soluzioni sovranazionali, producendo un caso unico nella storia dell’Europa contemporanea.

Ciò che però non suggerisce ottimismo è l’atteggiamento degli eurocrati di Bruxelles: invece di affrontare di petto la critica nazionale e nazionalista che coinvolge il sistema dell’Unione, a Bruxelles si continua a procedere col business as usual: le procedure di allargamento a paesi come Serbia e Montenegro continuano indisturbate, senza un briciolo di autocritica basata sull’esperienza del grande allargamento verso l’Europa dell’est, che evidentemente non ha curato i vecchi e nuovi nazionalismi esclusivi. Senza contare le intense relazioni con Kosovo, Albania, Georgia, Moldova e Ucraina, realtà – soprattutto le ultime tre – che pongono l’Unione (entità economica e non politica) in rotta di collisione con gli interessi della Russia, aumentando una tensione che l’Unione non può semplicemente gestire con strumenti propri.

Da un lato quindi l’Unione si abbandona a sogni di ulteriori ampliamenti, incurante delle criticità che essi implicano, ma dall’altro non fa molto per curare la crisi di credibilità che alimenta forze centrifughe al suo interno, fin nei recessi dei Paesi una volta più fedelmente europeisti.

Un successo internazionale, la conclusione di un grande negoziato globale che confermi il ruolo normativo e garantista dell’Unione, soprattutto nel campo della difesa dei diritti dei consumatori e della salute pubblica e alimentare potrebbe forse aiutare; ma la discussione su questo grande negoziato, il Ttip, mostra abbastanza chiaramente quanta opacità e mancanza di decisione l’Unione stia mostrando, pur avendo ben chiaro ciò che NON vuole nella ridefinizione dei suoi rapporti economici con l’area nordamericana.

L’Europa quindi non sta bene; e l’invocazione medice, cura te ipse parrebbe quanto mai appropriata per un’Unione in affanno, alla ricerca prima di tutto di ricette buone per guarire l’endemica epidemia di sfiducia che la travaglia.



[1] Luciano Violante, Messaggio di saluto, in AA.VV., L’Italia e Schengen. Lo spazio di libertà, sicurezza e giustizia tra problemi applicativi e prospettive, Roma, Camera dei Deputati, 1998.



Piero S. Graglia, Università di Milano


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Re: Europa, sfiducia ed egoismo

Messaggioda pianogrande il 10/05/2016, 15:03

Una unione nella quale l'Europa sono sempre gli altri.

Vale sopratutto per l'UK dove risiedono i maestri del cry and fuck ma vale un po' per tutti.
Fotti il sistema. Studia.
pianogrande
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